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La Stampa Rassegna Stampa
19.04.2006 I luoghi comuni e gli assurdi paragoni di Igor Man
attacano Israele e lodano l'Iran

Testata: La Stampa
Data: 19 aprile 2006
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «La bomba atomica dei poveri»

Gli Stati Uniti che nei quali Condoleezza Rice, appartenente  una minoranza che ha subito la schiavitù e la segregazione razziale, diventa Segretario di Stato paragonati all'Iran nel quale l'"umile" Ahmadinejad diventa Presidente della "Repubblica".
La "questione palestinese" falsamente indicata come causa del terrorismo islamista.
In un articolo piuttosto insignificante, pubblicato dalla STAMPA di mercoledì 19 aprile 2006,  Igor Man riesce comunque ad allineare un pericoloso luogo comune politicamente corretto e una incredibile riabilitazione di un regime totalitario.
Ecco il testo:

La misurata severità dell’Onu, gli aspri rimproveri che tuttavia non escludono ragionevoli compromessi, gli inviti alla prudenza verbale sussurrati da quel complesso potere nel potere ch’è il Bazar di Teheran, niente e nessuno riescono a fermare il fiume di jattanza che ininterrottamente straripa dalla bocca compiaciuta di Mohammed Ahmadinejad, presidente eletto (a sorpresa) della Repubblica islamica dell’Iran. Nemmeno l’ammonimento, quanto mai esplicito, della Casa Bianca è valso a temperare la foga oratoria del «figlio del fabbro» travolto, si direbbe, da un allarmante delirio di onnipotenza. L’Iran vuole produrre energia nucleare, è suo diritto e nessuno potrà contestarlo, tanto meno Israele «corpo estraneo» che va cancellato dalle mappe geografiche: [\FIRMA]ipse dixit Ahmadinejad nel suo primo discorso da presidente - e non si stanca di ripeterlo - sia che parli al popolino ovvero ai corrispondenti stranieri.
Gli esperti affermano che se veramente Teheran punta all’atomica dovrà aspettare almeno sino al 2009 ma al Dipartimento di Stato non fanno questione di data bensì di principio: l’Iran non possiede i «giusti requisiti» richiesti a chi coltiva energia nucleare. Insomma, gli Stati Uniti vedono nelle aspirazioni iraniane la «pistola fumante» da spegnere, con le buone, con le cattive, a scanso di disastri. La fuga di notizie abilmente pilotata dal segretario di Stato, la signora Rice, ha fatto scrivere a testate autorevoli che esistono piani militari invero punitivi che soltanto un «comportamento responsabile» dell’
Iran potrà non rendere operativi.
Ancora: il segretario di Stato, Condoleezza Rice, ha scandito che gli Stati Uniti non scartano l’opzione bellica pur di impedire che la teocrazia iraniana cavi dal turbante l’atomica. Ma la dura minaccia della pantera nera («Condy») non sembra preoccupare il lupo grigio (Ahmadinejad). Il duello sinora verbale continua, dunque, e ogni giorno che passa ci accorgiamo come e quanto i suoi connotati siano «emblematici». «Condy» è il risvolto vincente dell’America nera salita al proscenio dei Wasp in forza del dettato democratico che trasforma il sogno in realtà premiando il melting-pot. Ahmadinejad è, a sua volta, il risvolto vincente dell’Iran dei mostazafin (senza scarpe), i sanculotti iraniani che stentano la giornata ma pazientemente aspettano. Aspettano la promessa ridistribuzione della ricchezza che viene dal petrolio che già ingrassò lo Scià e la sua corte e oggi ingrassa i religiosi che non camminano più in sandali bensì in Mercedes. Sarà pur vero, come ci dicono i «Rastignac persiani» laureati in Usa o a Perugia, che Ahmadinejad pratica la surenchère per ragioni interne, per tenersi buoni i mostazafin, appunto; e non va dimenticato che il 28 di luglio del 1981 un attentato alla von Stauffemberg fece saltare in aria l’Ayatollah Behesti, un fanatico freddo al quale Ahmadinejad apertamente si ispira. Di più: Ahmadinejad aveva tre amici stretti e potenti; due di essi sono morti in circostanze misteriose sicché la fortuna del giovine lupo grigio persiano dipende dalla buona sorte della Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei, un mistico sotto scorta anche quando dorme. A preoccuparci, in definitiva, è la semina dell’odio incessantemente perseguita dal giovine presidente iraniano. E qui va detto chiaro che il suo linguaggio, bombastico finché si vuole, è espressione dell’identità islamica. In esso si identificano infatti quelli di Hamas e quei tanti islamici che guardano a Osama bin Laden, lo sceicco della morte, con fede e disciplina. Perché lui, o un suo clone, hanno giurato di distruggere noi «cani infedeli» per costruire sulle nostre ceneri uno Stato musulmano sul modulo del governo di Maometto alla Medina fra gli anni 621 e 631.
A infastidirci non è la problematica corsa al nucleare dell’Iran in sottana. A preoccuparci è la bomba atomica dei poveri. Davvero a buon mercato poiché composta non da costose particelle ma da giovani manovali del terrore drogati, nel nome di Dio, da un odio furioso contro il mondo occidentale, verso una società ch’essi ritengono responsabile della disgrazia dei palestinesi senza patria.

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