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Il Manifesto Rassegna Stampa
19.04.2006 Perché uccidere israeliani innocenti é un' "opzione realistica"
lo spiega Danilo Zolo, in un articolo agghiacciante

Testata: Il Manifesto
Data: 19 aprile 2006
Pagina: 9
Autore: la redazione - Danilo Zolo
Titolo: «Israele, prime rappresaglie - Terrorismo, le ragioni dell'»

Anche Il MANIFESTO ha un doppio linguaggio: da un lato nega le responsabilità dei dirigenti palestinesi nel terrorismo, dall'altro spiega la legittimità di quest'ultimo

La prima linea di condotta si trova nella cronaca firmata S. SH. 
La tanto temuta "rappresaglia" israeliana per la strage del 17 aprile 2006 non c'é stata, ma per Il MANIFESTO ci sono invece già le "prime rappresaglie", cioè una risposta ai lanci di razzi qassam a Gaza e l'ingresso di truppe a Nablus, Qalqilliya e Jenin (senza che nessun obiettivo venisse colpito).
Le accuse al governo palestinese , che prima dell'attentato aveva garantito impunità e protezione ai terroristi e dopo lo ha apertamente legittimato, sono infondate per il quotidiano comunista. Come lo erano quelle verso il "povero Arafat" (testuale) e il "mite Abu Mazen".
Su quest'ultimo, occorre ricordare che Israele non gli ha mai imputato altro che
l'evidente mancanza nel contrastare il terrorismo.
Arafat , come Hamas, era invece attivamente complice del terrorismo. soltanto, com maggiore ipocrisia.
Ipocrisia inutile nei confronti dei giornalisti del MANIFESTO, che oggi giurano sull'innocenza di Hamas, contro ogni evidenza, come ieri giuravano su quella del raìs.
Ecco il testo:

Elicotteri israeliani hanno colpito lunedì sera la striscia di Gaza mentre l'esercito di Tel Aviv occupava con oltre 80 carri armati, blindati e bulldozer la città di Nablus ed entrava in forze a Qalqiliya e Jenin, la città nel nord della Cisgiordania dalla quale proveniva il giovane attentatore suicida della Jihad islamica che lunedì ha ucciso a Tel Aviv nove persone e ne ha ferite sessanta. Si tratta di una prima risposta del nuovo governo israeliano guidato da Ehud Olmert all'attentato di lunedì, il più grave da 20 mesi e il primo da quando le recenti elezioni palestinesi hanno dato la maggioranza assoluta al movimento di resistenza islamica Hamas che ha dato vita al nuovo esecutivo dell'Anp. Il premier israeliano, incurante del fatto che Hamas continui a rispettare fedelmente la tregua proclamata unilateralmente per quanto riguarda le operazioni dentro Israele, ha puntato il dito contro il nuovo governo palestinese accusandolo - come hanno sempre fatto i governi israeliani persino con il povero Yasser Arafat e con il mite Abu Mazen - di essere comunque responsabile dell'attentato. Una comoda copertura per non trattare con i palestinesi e continuare nella colonizzazione dei territori occupati di Palestina. «Per il momento» - ha annunciato ieri il premier israeliano al termine di una riunione con i vertici militari e dei servizi segreti e con i ministri della difesa, degli esteri e della sicurezza pubblica - Israele non colpirà direttamente gli esponenti del governo palestinese (la generosità degli occupanti è sempre grande) ma si «limiterà» a deportare (in violazione della convenzione di Ginevra) da Gerusalemme Est occupata tre esponenti di Hamas della città Mohamed Abu Tir (numero due della lista islamica alle elezioni di gennaio), Ahmad Attun e Mohamad Totah; bloccherà completamente riducendole a ghetti dai quali non sarà più possibile entrare o uscire le città di Jenin e Tulkarem, Nablus e, in parte, Ramallah; rilancerà gli omicidi di esponenti della Jihad Islamica nella striscia di Gaza e nella West Bank; organizzerà nuove massicce retate all'interno di Israele contro i lavoratori palestinesi che vi risiedono senza permesso (pur essendone i legittimi abitanti) e quegli israeliani che li ospitano o aiutano; continuerà a bloccare del tutto i territori occupati. In altri termini rafforzerà ulteriormente quell'occupazione che è all'origine della violenza, della resistenza e del terrorismo in Palestina ed in Israele. Sullo sfondo la possibilità di una rioccupazione di vasti tratti della stessa striscia di Gaza. Intanto da Damasco il numero due dell'ufficio di Hamas a Damasco Mousa Abu Marzouk, commentando l'attentato di lunedì, ha accusato Israele di essere «l'unico responsabile dell'escalation delle violenze che stiamo vivendo» a causa delle sue «azioni ingiustificate» contro i palestinesi, che non fanno altro che difendersi contro «gli arresti, gli attacchi, gli omicidi e i blocchi» dello Stato ebraico nei territori occupati. Marzouk ha inoltre denunciato la condanna che il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas ha fatto ieri dell'attentato di Tel Aviv, definendola «detestabile»: «Quello che serviva era un appello per fermare le aggressioni, gli omicidi e gli arresti perpetrati da Israele e la mancanza di generi alimentari per la popolazione palestinese». Un isolato ma non per questo meno importante tentativo di far ripartire il processo di pace è stato messo in atto in queste ore dal governo norvegese che si è detto pronto ad incontrare, il mese prossimo, degli esponenti del Movimento palestinese di resistenza islamica (Hamas), nonostante il tentativo israeliano e americano di isolare i legittimi rappresentanti palestinesi ponendo loro la condizione di riconoscere Israele senza che lo stato ebraico riconosca il diritto dei palestinesi ad avere uno stato sovrano nei confini del 1967 con capitale Gerusalemme est. «Il governo crede nel dialogo anche con gruppi dei quali non approviamo le azioni» ha sostenuto in una intervista alla radio «Nrk» il ministro per gli aiuti allo sviluppo Erik Solheim. Il portavoce del gruppo parlamentare di Hamas nel parlamento palestinese Salah Bardawil e Mohammed Rantisi, fratello dell'ex capo di Hamas ucciso dagli israeliani nel 2004, sono attesi a Oslo il 15 maggio su invito del Comitato Norvegese per la Palestina.

Chi non prova nemmeno a scagionare Hamas dalle sue responsabilità nelle stragi antisraeliane é il filosofo del diritto Danilo Zolo, che firma una esplicita e agghiacciante giustificazione del terrorismo.
Che, ci spiega, non é tale se esercitato in nome di una "lotta di liberazione" .
Viceversa, anche le risposte israeliane alle stragi devono essere ritenute terroristiche, ignorando il fatto che non sono mai intenzionalmente rivolte verso i civili.
D'altro canto il concetto di Zolo di "occupazione" é molto ampio.  D'accordo con l'analista statunitense Robert Pape intende infatti con questa parola

 non tanto la conquista del territorio da parte di una potenza straniera, quanto la pressione ideologica che viene esercitata per trasformare in radice le strutture sociali, culturali e politiche del paese occupato.

Una definizione,, come si vede, che potrebbe essere adottata anche da Bin Laden e che mette nero su bianco che le stragi di occidentali sono legittime anche per difendere la sharia,  persecuzioni e discriminazioni di ogni genere, violazioni dei diritti umani purché radicate nelle strutture "sociali, culturali e politiche" del paese "occupato". 

Chiusura del testo estremamente esplicita, con tanto di citazione del fondatore del gruppo responsabile della strage di Tel Aviv del 17 aprile:

 Il terrorismo non è che l'«ultima risorsa» a disposizione di attori estremamente deboli che operano in condizioni di totale asimmetria delle forze in campo. E' un'«opzione realistica», come nel 1995 la definì al-Shaqaqi, il segretario generale di Jihad islamico.

E' soltanto opportuno ricordare che il terrorismo non é mai stato"l'ultima risorsa" dei palestinesi, che nella loro storia hanno avuto numerose possibilità di raggiungere i loro obiettivi nazionali attraverso un compromesso con Israele e le hanno sempre rifiutate.
Che il terrorismo sia stato  , come vuole al Shaqaqi, un'"opzione realistica"  é un argomento più controverso. Certo la complicità e il fiancheggiamento politico di cui ha goduto per molti anni , e di cui l'articolo di Zolo costituisce un eloquente esempio, hanno conferito una certa plausibilità a questa valutazione.
Si può sperare, però, che sia giunto il momento della sua smentita?
E che posizioni come quelle di Zolo e del MANIFESTO siano relegate alla marginalità riservata, per esempio, ai negazionisti o ai fautori del ritorno dell'Inquisizione?

Ecco il testo completo dell'articolo di Zolo:

La vittoria di Hamas nelle elezioni politiche in Palestina ha riproposto drammaticamente il problema del significato che il termine «terrorismo» ha assunto in Occidente, grazie all'uso unilaterale che ne fanno le grandi potenze. La stigmatizzazione di Hamas come «organizzazione terroristica» è stata sfruttata da Israele e dagli Stati Uniti per imporre al popolo palestinese, già stremato da decenni di occupazione militare, pesanti sanzioni economiche. E questa accusa è stata addirittura usata per screditare come non democratiche le elezioni stesse, nonostante la loro assoluta correttezza formale. Anche l'Europa, confermando ancora una volta la sua incapacità di operare come soggetto politico autonomo, si è allineata sulle posizioni degli Stati Uniti imponendo al nuovo governo palestinese condizioni inaccettabili per il suo riconoscimento politico e diplomatico. E' dunque il caso di discutere sulla legittimità che si può accordare alla qualificazione unilaterale di una organizzazione politica come «terroristica» e di domandarsi più in generale che cosa si debba intendere per «terrorismo». Manca infatti un consenso sulla nozione di terrorismo nell'ambito stesso del diritto internazionale. Per la dottrina prevalente nei paesi occidentali, un atto terroristico è caratterizzato dall'uso indiscriminato della violenza contro la popolazione civile, con l'intento di diffondere il panico e di coartare un'autorità politica nazionale o internazionale. Ma questa interpretazione è controversa, come è emerso clamorosamente al summit euromediterraneo di Barcellona del novembre 2005. Essa non tiene conto della condizione in cui si trovano i popoli oppressi dalla violenza di forze occupanti. I «combattenti per la libertà» o i partigiani in lotta per la liberazione del proprio paese - i sudafricani che lottavano contro l'apartheid, i palestinesi che combattono contro l'occupazione israeliana, i resistenti iracheni - non possono essere considerati dei terroristi. Anche lo spargimento del sangue di civili innocenti, per quanto vietato dalle Convenzioni di Ginevra, non dovrebbe essere qualificato come terrorismo. Ma vi è un'altra riserva che si può sollevare nei confronti della nozione occidentale di «terrorismo». È l'idea secondo la quale soltanto i membri di organizzazioni private e clandestine possono essere considerati terroristi, non i militari inquadrati negli eserciti nazionali. Qualsiasi azione attribuibile ad apparati militari di uno Stato - anche la più distruttiva e sanguinaria - non è considerata terroristica. Una guerra di aggressione che produca, come la recente guerra scatenata contro l'Iraq, decine di migliaia di vittime fra la popolazione civile, non ha nulla a che vedere con il terrorismo. Sono comportamenti militari di fatto legittimi, poiché lo scempio di vite umane non è che un «effetto collaterale» di una guerra che si autolegittima grazie al soverchiante potere politico e militare di chi la conduce. Le istituzioni internazionali non hanno infatti il minimo potere di delegittimare le guerre di aggressione vittoriosamente condotte dalle grandi potenze. Solo le guerre degli sconfitti sono guerre criminali. E' in questo quadro che il popolo palestinese viene universalmente accusato di essere la culla del terrorismo islamico, in particolare di quello suicida. Nello stesso tempo gli atti di aggressione dell'esercito israeliano contro la popolazione palestinese sono al più qualificati come violazioni del diritto umanitario. E questo accade anche nel caso dei cosiddetti «omicidi mirati», che oltre ad essere illegali in se stessi, provocano la morte o la mutilazione di numerose persone innocenti. Per di più, queste violazioni restano del tutto impunite. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è paralizzato dal potere di veto degli Stati Uniti mentre la Corte penale internazionale è priva, oltre che delle risorse materiali necessarie, del coraggio di iniziare indagini e di avviare processi quando sono coinvolte le grandi potenze occidentali. Ed è il caso di ricordare, infine, che la strage di centinaia di migliaia di persone innocenti causata nell'agosto 1945 dai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, voluti dal presidente Truman per affermare l'egemonia degli Stati Uniti nell'Asia del Pacifico, non è mai stata qualificata come un atto di terrorismo. E altrettanto vale per i bombardamenti decisi verso la fine del secondo conflitto mondiale dai governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti contro le popolazioni tedesca e nipponica: costarono oltre quattrocentomila morti e un milione di feriti e rasero al suolo intere città, fra le quali Dresda, Amburgo, Berlino e Tokyo. Queste stragi, che possono essere annoverate fra le più crudeli e sanguinarie nella storia dell'umanità, non sono mai state qualificate come «terroristiche». Di più, non solo sono rimaste impunite, ma sono state addirittura giustificate moralmente, in particolare da un teorico statunitense della guerra giusta come Michael Walzer. Del resto «Enola Gay», il Boeing B-29 che il 6 agosto 1945 ha sganciato la bomba atomica su Hiroshima, è stato di recente restaurato e trionfalmente collocato nel museo della US Air Force di Washington. Chi sono dunque i terroristi? Chi ha il diritto di qualificarli tali? Il popolo palestinese è davvero un popolo terrorista? L'analista statunitense Robert Pape, nel suo libro Dying to Win (New York, 2005) ha sostenuto che la variabile determinante nella genesi del fenomeno terroristico non è il fondamentalismo religioso: si tratta in realtà, nella grande maggioranza dei casi, di una risposta collettiva a ciò che viene percepito come uno stato di occupazione del proprio paese. E per «occupazione» si intende non tanto la conquista del territorio da parte di una potenza straniera, quanto la pressione ideologica che viene esercitata per trasformare in radice le strutture sociali, culturali e politiche del paese occupato. L'obiettivo delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica è essenzialmente quello di liberare il mondo islamico dall'oppressione straniera. La presenza prolungata e massiccia degli eserciti occidentali nei paesi musulmani, sostiene Pape, aumenta giorno dopo giorno la probabilità di un secondo, altrettanto micidiale «11 settembre». La tesi di Pape può sembrare esagerata, ma è suffragata da una serie rilevante di dati empirici, relativi in particolare al terrorismo suicida. A partire dal 1980, dei 315 attacchi complessivi, ben 301 sono stati il risultato di campagne organizzate collettivamente e più della metà è stata condotta da organizzazioni non religiose (ben 76 sono attribuibili alle Tigri del Tamil). E questo prova la natura politica, strategica e prevalentemente secolare della lotta terroristica. Il terrorismo non è che l'«ultima risorsa» a disposizione di attori estremamente deboli che operano in condizioni di totale asimmetria delle forze in campo. E' un'«opzione realistica», come nel 1995 la definì al-Shaqaqi, il segretario generale di Jihad islamico.

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