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La Stampa Rassegna Stampa
19.04.2006 Olmert ferma la risposta militare all'attentato
mentre Al Fatah si ribella ad Abu Mazen

Testata: La Stampa
Data: 19 aprile 2006
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein - Aldo Baquis
Titolo: «Hamas, Olmert frena il contrattacco - Anche il Fatah si ribella al suo leader «Nessuno può fermare la resistenza»»

Da La STAMPA di mercoledì 19 aprile 2006 l'analisi di Fiamma Nirenstein sulla decisione del governo israeliano di sospendere la risposta all'attentato del 17 aprile.
Ecco il testo:


E’un silenzio acquattato come un gatto prima del balzo quello sospeso nell’aria di Gerusalemme mentre si seppelliscono le nove povere vittime dell’attacco di ieri, tanti immigrati, un ragazzo di 29 anni, una madre il cui figlio col codino grida al feretro: «Mamma, spero che lassù tu stia tanto bene, che tutto ti sorrida; almeno tu, stai tranquilla, noi siamo rimasti così soli». Dove porteranno i prossimi giorni? Quanti terroristi ci sono per strada? A sentire il portavoce della Jihad islamica, Abu Ahmed, «questa operazione è il primo frutto di un’unità militare formatasi di recente che include 70 suicidi fra uomini e donne». E sempre a sentire lui che non è certo isolato, ma grida dall’interno di una moltitudine formata da tutti i gruppi, e persino da molti nel suo stesso partito, il Fatah, Abu Mazen dovrebbe scusarsi per aver condannato l’attacco terrorista di lunedì. Aveva osato coraggiosamente dire che l’attacco era «biasimevole». Ma la gente non l’ha seguito, neppure la sua, e continua la gara che basa il primato politico sulla corsa alla violenza. IL GOVERNO ESITA Di fronte a questa situazione il gabinetto guidato da Ehud Olmert si è trovato ieri a discutere opzioni fatali: agire con una occupazione delle aree da cui provengono gli uomini con la cintura di tritolo? Lanciare un’operazione sullo stile di Scudo di Difesa, come avvenne nell’aprile del 2002? Olmert ha scelto la linea che fu di Sharon quando scoppiò l’Intifada. Aspettare. Vedere come si sviluppano le cose e prepararsi bene a ogni evenienza. Fu così che poi il terrorismo fu, per quanto è possibile, battuto. L’Intifada era scoppiata nel settembre del 2001: nonostante i tanti attentati sanguinosi, fra cui quello del Dolphinarium, la discoteca in cui si compì una strage di adolescenti, Sharon non mosse le truppe se non per piccole operazioni fino all’aprile del 2002, proprio in questa stagione, quando dopo la strage della cena rituale della Pasqua, il premier comprese che lo stillicidio di attentati sarebbe stato una spirale con effetti imprevedibili se i soldati non fossero tornati dentro le città, sgomberate in base agli accordi di Oslo. E avviò anche la costruzione del recinto di separazione. Olmert non se l’è dimenticato, anche se, ieri, ha certo vissuto un momento drammatico quando gli è stato chiesto da una figura molto importante nella gerarchia militare, e di fronte a tutti i ministri e agli ufficiali dei servizi, se non fosse stato il caso, dato il sostegno aperto di Hamas all’attentato, di considerare gli islamisti direttamente responsabili dell’attacco e di dichiararli «entità nemica» aprendo così la strada all’azione militare diretta. Ma Olmert non ha accettato: ha dichiarato che la risposta più giusta e ponderata verrà al momento opportuno, ha revocato a tre ministri di Hamas il diritto di risiedere a Gerusalemme e ha deciso di limitare con decisione il continuo contrabbando di palestinesi senza permessi di lavoro o di soggiorno all’interno di Israele. CHIUSI I TERRITORI Intanto, si ponderano le proposte del ministro della Difesa Shaul Mofaz che vuole separare la Cisgiordania in due parti, in modo che i terroristi di Jenin e di Tulkarem non possano più scambiare uomini, armi, esplosivo e decisioni, come fanno oggi, con quelli delle aree di Nablus e Ramallah. Mofaz intende portare avanti operazioni di eliminazione dei capi di organizzazioni impegnate nel terrorismo suicida e nel lancio di missili Kassam sul territorio israeliano, intensificare le ronde, stringere la Jihad islamica che da gennaio ha ucciso 42 persone e nei giorni prossimi, visto che gli avvertimenti sui suicidi in marcia non sono pochi, tenere chiusi i Territori. La linea è più o meno quella dei giorni scorsi, in cui anche se le artiglierie hanno ruggito in campo aperto davanti a Gaza spaventando le persone, e stata sempre palese l’intenzione, se non nei casi specifici dei ricercati, di non colpire obiettivi civili o cittadini di Gaza. Ma Olmert sa che non basterà compiere piccole operazioni cosmetiche, che sia a Gaza che in Cisgiordania ormai con l’aiuto di Hamas tutti i gruppi lavorano insieme alla preparazione di una nuova ondata terrorista: tutte le organizzazioni sono unite. Hamas inoltre ha avuto ieri un incontro con alti rappresentanti dell’esercito iraniano che si è concluso con un accordo che prevede l’addestramento da parte di Teheran delle forze palestinesi. Il lancio dei Kasssam, che hanno già ferito decine di persone e fatto almeno cinque morti, fra cui due bambini, e che non permette di vivere una vita normale, si organizza e si distribuisce variamente. Soprattutto, si spendono in attentati i denari che secondo l’intelligence israeliana arrivano con flusso notevole dai Paesi amici di Hamas. L’ISOLAMENTO AUMENTA Quindi, perché Olmert non agisce e si limita a piccole misure? Innanzitutto, l’esercito che fino ad ora ha agito penetrando con piccoli blitz per fare prigionieri nelle varie città palestinesi, probabilmente non è del tutto pronto. Infatti, in questi giorni si tengono per i soldati della fanteria corsi di addestramento alla difficile e tediosa tecnica della controguerriglia urbana. Le operazioni chirurgiche tenutesi fino ad oggi nel nord della Samaria da soldati allenati ai blitz notturni e a arresti improvvisi, vengono in queste ore riconsiderate. Dice il generale Ytzhack Arel, capo della pianificazione di Tzahal: «Abbiamo tentato con il metodo leggero e mirato. Se non funziona, ovviamente dobbiamo piegarci alla realtà». In secondo luogo, Olmert non vuole agire contro l’Autorità Palestinese se non ce ne sarà proprio bisogno: preferisce che il consesso internazionale si renda conto da solo dei rischi che corre Israele, delle connessioni di Hamas sia con gli altri gruppi terroristici che con l’Iran, sempre più aggressivo, e la Siria. Oltre a questi Paesi solo la Russia ha annunciato di nuovo la sua intenzione di assistere l’Autonomia con finanziamenti. Ma questo, come ormai è chiaro sia agli Usa (con i quali il premier israeliano si è consultato), che alla Comunità Europea, significa aiutare chi ha interesse a bombardare Israele, e non sono soltanto i palestinesi. Ieri il primo ministro danese, dopo che Hamas ha dichiarato il suo appoggio al terrore, ha detto: «Un portavoce di Hamas che giustifica l’attacco! Questo è del tutto inaccettabile». Eppure la Danimarca è sempre stata uno dei Paesi più amichevoli verso la causa palestinese. Amici e parenti piangono Lily Younis: aveva 42 anni ed è stata tra le nove vittime del kamikaze davanti al fast food di Tel Aviv Il premier israeliano Ehud Olmert Il presidente francese Jacques Chirac, da oggi in visita ufficiale in Egitto, chiederà al suo omologo Hosni Mubarak di intercedere con Hamas per convincere il movimento di resistenza islamico a cambiare rotta, partecipando attivamente al processo di pace con Israele. Chirac si tratterà al Cairo per due giorni. È la sua settima visita in Egitto dall’entrata in carica, nel 1995. Il leader francese sarà ricevuto da Mubarak oggi pomeriggio: oltre ai rapporti israelo-palestinesi alla luce del sanguinoso attentato di Tel Aviv, i due capi di Stato affronteranno anche il nodo del nucleare iraniano. Parigi, ha tenuto a precisare il portavoce del governo, rappresenta per l’Egitto un «interlocutore ascoltato e rispettato»: in questa ottica, il governo francese è convinto che il Cairo possa giocare un ruolo «particolare» nel convincere Hamas a «riformare le sue posizioni», a cominciare dalle tre condizioni poste dalla comunità internazionale per far ripartire il dialogo - e cioè che il movimento islamico riconosca lo Stato ebraico, rinunci alla violenza e rispetti gli accordi di pace siglati in passato.

Sempre dalla STAMPA, la cronaca di Aldo Baquis sugli scontri interni ad Al Fatah:

Quando ha definito «spregevole» l’attentato kamikaze di Tel Aviv il presidente dell’Anp Abu Mazen è uscito dal consenso nazionale palestinese e pertanto deve scusarsi di fronte al suo popolo. Questo il senso di una conferenza stampa tenuta ieri a Gaza dai portavoce di diverse fazioni armate della intifada (fra cui il braccio armato di al-Fatah) mentre Hamas continua a giustificare la strage di civili compiuta nella vecchia stazione degli autobus di Tel Aviv affermando che si è trattato di un atto di legittima difesa.
«Nessuno, qualunque ruolo rivesta, ha il diritto di fermare la resistenza contro la occupazione» hanno detto i portavoce delle Brigate al-Aqsa, dei Comitati di resistenza popolare e di altri gruppi armati in quali hanno poi confermato di aver organizzato una «Sala Operativa» comune per coordinare i futuri attacchi ad Israele. «Abu Mazen dovrebbe vergognarsi» ha dichiarato Khader Habib, un dirigente della Jihad islamica, ossia della organizzazione che ha rivendicato la paternità dell’attentato a Tel Aviv.
Che Hamas veda nelle «missioni di martirio» un messaggio educativo per le nuove generazioni dei palestinesi lo ha confermato ieri il portavoce di Hamas in parlamento, il dottor Sallah al-Bardawil, che in una conferenza a Khan Yunes (Gaza) ha esaltato la figura di Abdel Aziz Rantisi nel secondo anniversario della sua uccisione da parte di Israele. Riferendosi all’ex leader di Hamas (strenuo oppositore degli accordi di Oslo con Israele e fautore degli attentati suicidi) Bardawil ha detto che era «il leone della Palestina» e che il suo sangue versato «indica la direzione da seguire per la libertà e la indipendenza».
Del resto anche in al-Fatah spirano venti di massimalismo. In una intervista radio il portavoce di al-Fatah in parlamento, Ahmed Abdel Raham, ha precisato che le divergenze con Hamas sulla valutazione dell’attentato sono di carettere tattico. «Quell’operazione è una reazione naturale ai crimini di Israele. Ma il punto - ha aggiunto - è che essa trascina i palestinesi verso una crisi più profonda, li mette di fronte a condanne internazionali». Che sono per l’appunto l’ultima cosa di cui il governo di Ismail Haniyeh ha bisogno mentre cerca di reperire fondi in alternativa a quelli negati all’Anp da Israele, Stati Uniti ed Unione Europea.
Ieri il portavoce del governo Hamas Ghazi Hammad ha riferito che l’Iran promette di versare 100 milioni di dollari e altri 50 milioni di dollari dovrebbero giungere dal Qatar. Ma la metà di aprile è trascorsa senza che 140 mila dipendenti statali abbiano ricevuto i loro stipendi e senza che «le famiglie dei prigionieri e dei martiri» abbiano percepito i sussidi relativi al mese di marzo. Nei servizi di sicurezza palestinesi si sono avuti primi casi di insubordinazione dovuti al mancato pagamento dei salari. Anche ieri a Gaza si è avuto sentore di nuovi casi di anarchia armata.
Venerdì, parlando in una moschea di Gaza al termine delle preghiere del venerdì, il premier Haniyeh ha duramente criticato le sanzioni economiche decise nei confronti del suo governo da Israele, Stati Uniti ed Unione Europea e ha ribadito che i palestinesi, essendo un popolo orgoglioso, sono pronti a cibarsi adesso solo di olive, di timo e di olio d’oliva. Si tratta di cibi preziosi per il loro alto potere nutritivo.
Secondo Rashid Shahin, un osservatore della agenzia di stampa palestinese Maan, occorre notare nelle parole di Haniyeh un senso di allarme e di avvertimento per una collera popolare che sta montando. Il senso di assedio avvertito dai palestinesi potrebbe dare inizio ad una nuova era nel conflitto israelo-palestinese, hanno detto a Shahin esponenti della corrente pragmatica in seno a Hamas: quella in cui viene in genere identificato lo stesso premier dell’Anp. Esiste la minaccia che i palestinesi passino ad operazioni «in stile al Zarqawi». Anche la stampa israeliana teme che sia imminente una nuova fiammata di violenze. E già adesso - si dice - a Gaza operano elementi di al-Qaida nonché una unità dei guerriglieri Hezbollah

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