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Informazione Corretta Rassegna Stampa
18.04.2006 L'Unione scopre cos'é davvero Hamas?
opinioni e linee politiche a confronto

Testata: Informazione Corretta
Data: 18 aprile 2006
Pagina: 0
Autore: la redazione
Titolo: «L'Unione scopre cos'é davvero Hamas?»
L'editoriale del RIFORMISTA di martedì 18 aprile 2006 critica quanti nell'Unione hanno concesso un mal riposto credito ad Hamas:

L’attentato perpetrato a Tel Aviv da un giovanissimo suicida aderente alla Jihad islamica pone un immediato problema a Romano Prodi. All’indomani delle elezioni, il presidente del Consiglio in pectore ebbe a dichiarare che rispetto al governo italiano uscente avrebbe impresso alla politica estera italiana un avvicinamento alle posizioni di Hamas, reduce dalla recente vittoria alle consultazioni elettorali, e che tale riavvicinamento avrebbe ricondotto l’Italia sulla linea di una politica più europea che filoamericana. Ma ieri, nelle prime ore successive alla ripresa in grande stile degli attentati suicidi proprio nel giorno dell’insediamento della nuova Knesset israeliana, sono stati gli Stati Uniti e la Russia ad ammonire duramente la nuova leadership palestinese che l’abbandono e la condanna di ogni mezzo terroristico devono obbligatoriamente costituire il punto di partenza inderogabile, perché Hamas venga considerato un interlocutore credibile ed efficace. L’Europa in quanto tale aveva proceduto alla sospensione degli aiuti finanziari all’Autorità palestinese proprio in assenza di una netta dichiarazione unilaterale della rinuncia ad ogni attività terroristica. Tale iniziativa, criticata da alcuni che l’hanno considerata una spinta capace di far slittare ulteriormente Hamas verso posizioni estreme, si rivela in realtà più che mai fondata. A dichiarare aiuti finanziari immediati alla nuova Anp di Hamas è stato infatti l’Iran insieme al Qatar, e se nel fine settimana la Russia di Putin aveva dichiarato di prendere a propria volta in considerazione l’ipotesi, ecco che l’immediata condanna dell’attentato da parte di Mosca mostra che quest’ultima starà molto attenta, prima di impelagarsi in sostegni che apparirebbero contrastanti all’obiettivo del pugno di ferro contro il terrorismo di matrice islamica che Putin persegue a casa propria e in Cecenia.
Noi pensiamo che per Prodi e l’Italia sarebbe un grave errore, la scelta eventuale di rimarcare una maggiore distanza dal governo israeliano aprendo a una Hamas i cui portavoce ufficiali ieri hanno difeso l’attentato. La scelta maggioritaria dei palestinesi a favore di Hamas non va affatto demonizzata, alla luce del rigetto che le disinvolture e le ruberie della classe dirigente di Al Fatah aveva ingenerato nei territori occupati. Ma perché si dispieghi quella dialettica tra la dirigenza di Hamas da anni in esilio in altre capitali interessate a tenere la situazione nell’impasse a colpi di attentato, e l’ala interna che col tempo considererà l’interlocuzione magari indiretta con Israele un passaggio necessario verso i due Stati nell’area, occorre assolutamente evitare ogni solidarietà a chi fa strage di civili israeliani armando la mano di ragazzini.
Israele ha fatto una grande scelta di coraggio e responsabilità nelle urne, premiando Kadima e il progetto di ritiro dal Wst Bank preannunciato da Olmert. Ora che il governo si formerà e il progetto tenderà a diventare concreto, proprio alla luce dei difficilissimi passaggi riguardanti la definizione precisa della aree da cui Israele è pronta al ritiro e dei territori di cui vorrà mantenere il controllo di sicurezza anche al di là della frontiera del 1967, la comunità internazionale potrà dosare le sue pressioni sul governo Olmert con tanta maggior efficacia quanto meno graverà il sospetto di legittimare il terrorismo. Gli interessi dei palestinesi che hanno votato Hamas, dall’Italia e dall’Europa si tutelano tanto meglio quanto più dure sono le parole di condanna verso i kamikaze.
 
A pagina del quotidiano  diversi esponenti del centrosinistra sono interpellati sulla questione. Inadeguato il titolo: "Nè soldi nè dialogo coi signori del terrore" Colombo e Caldarola dettano la linea". Che Colombo e Calderola "dettino la linea"dell'Unione, infatti, non é  per nulla certo.
Ecco il testo:  

 
Piaccia o meno, nel momento in cui la coalizione unionista farà il proprio ingresso nei palazzi del potere dovrà fare i conti anche con Hamas. Di conseguenza, sulla questione israelo-palestinese - che rappresenta uno degli asset principali sul fronte della politica estera - bisognerà tener conto della reazione di Hamas a proposito dell’attentato di ieri a Tel Aviv, che il movimento terrorista che governa la Palestina ha definito «un atto di autodifesa, l’esito naturale dei continui crimini israeliani contro il nostro popolo».
Come si tratta con Hamas, a partire dalla questione dei finanziamenti all’Autorità nazionale palestinese? «I soldi ad Hamas non vanno dati finché il movimento non riconoscerà lo Stato d’Israele. Purtroppo, nessuno di noi si fa illusioni: sappiamo che non sarà un problema di facile soluzione», è la risposta di Peppino Caldarola. Per il deputato diessino, «non si può fare la faccia cattiva contro il fanatismo di Ahmadinejad e contemporaneamente dialogare con Hamas. La conditio sine qua non per discutere, a mio avviso, dev’essere il riconoscimento dello stato d’Israele. Per questo penso che il governo di centrosinistra non dovrà finanziare Hamas. Se lo facesse, nel mio piccolo, non sarei d’accordo». Per usare le parole di Valdo Spini, «tutti quelli che hanno a cuore il processo di pace tra Israele e i palestinesi devono condannare nettamente e inequivocabilmente il barbaro attentato».
Identiche vedute anche sul fronte margheritino, dove il responsabile esteri Gianni Vernetti osserva che «l’Italia non potrebbe allontanarsi dalla strategia dell’Unione europea (che al momento ha congelato i trasferimenti, ndr)». Per Vernetti, le relazioni con Hamas non possono prescindere da tre condizioni: «Innanzitutto, Hamas deve condannare senza appello ogni forma di terrorismo. In secondo luogo, deve riconoscere lo stato d’Israele. Da ultimo, dovrebbe rispettare gli accordi già siglati in passato, a cominciare da quelli di Oslo».
Rispetto alla prospettiva ulivista, la posizione di Bobo Craxi è senz’altro più morbida. Per il leader dei Socialisti, «isolare definitivamente la Palestina sarebbe una cosa da folli. Certo, non c’è nulla di razionale né di giustificabile in un attacco suicida. In ogni caso, il problema dell’Europa, e quindi anche dell’Italia, è come riattivare il dialogo con la Palestina, con il governo eletto democraticamente dal popolo palestinese. Abbiamo visto gli effetti del Muro, non mi pare il caso di perseverare negli errori. Attenzione a tutte le toppe che possono rivelarsi ancora peggiori rispetto al buco». Sulla questione dei finanziamenti, Craxi minimizza. «Esistono altre forme di cooperazione».
Più articolato il ragionamento di Furio Colombo. L’ex direttore dell’Unità, e presidente di Sinistra per Israele, individua tre questioni. «La prima non può che essere la sicurezza dello stato d’Israele. E poi, il terrorismo suicida non può essere interpretato come un atto di guerra. È un barbaro atto di persecuzione». Per Colombo, «con la dichiarazione a caldo, Hamas si è dimostrato estraneo alla comunità dei popoli civili. Trattare con chi giustifica lo stragismo terroristico sarebbe stato come trattare con il nazismo dei campi di sterminio». E ancora: «Da ultimo, come non notare lo spaventoso abbandono in cui versa tutta quell’area dopo che la sciagurata guerra in Iraq ha fatto risorgere ogni tipo di terrorismo? In attesa che gli equilibri nel senato americano si rovescino, l’Europa si trova a risolvere un puzzle apparentemente insolubile. Come sostenere la maggioranza del popolo palestinese, che non è terrorista, senza aiutare il governo di Hamas? Sembra impossibile, certo. Ma i problemi umani sono fatti per essere risolti dagli uomini...». Insomma, l’ipotesi secondo cui il dossier Hamas sarà tutt’altro che di facile gestione, per il governo che verrà, è forse qualcosa di più che una semplice sensazione. Anche se la dichiarazione del pdcino Marco Rizzo («Il terribile attentato di oggi che va condannato con fermezza, così come va condannato in generale ogni atto di terrorismo, sempre. Senza se e senza ma, senza alibi giustificazioni») fa ben sperare.

Molto positivo un corsivo in prima pagina su EUROPA, quotidiano della Margherita, intitolato "Hamas":

Giorni fa nell’Unione abbiamo pasticciato su Hamas. Per distrazione, visto che fra le cose urgenti non figura discutere con al Jazeera sulla legittimazione da dare o no ad Hamas. Comunque è finita appoggiandosi all’Europa, che non si sbaglia mai. Ieri un tizio a Tel Aviv, applaudito dal suo “governo”, ci ha fatto capire quanto costoro aspirano alla nostra legittimazione.

Umberto De Giovannangeli sull'UNITA' non rinuncia invece a sostenere che con Hamas si può e si deve parlare. Nel suo editoriale propone una linea ambigua: non chiedere ad Hamas il riconoscimento di Israele, ma solo la rinuncia alla violenza.
Hamas, è noto, alla violenza non rinuncia , fatto che da solo chiuderebbe il dibattito sull'opportunità di avviare un "dialogo".
Inoltre, è chiaro che senza il riconoscimento del diritto all'esistenza di Israele qualsiasi "rinuncia alla violenza" sarebbe temporanea.
Ecco il testo:

L’Intifada del terrore torna a scuotere Israele. A colpire è un giovane kamikaze della Jihad islamica. A giustificare è il governo targato Hamas. La strage di Tel Aviv «è un atto di autodifesa, conseguenza dell’occupazione israeliana», afferma il ministro degli Interni palestinese Siad Siam, uno dei duri di Hamas. Parole pesanti, intollerabili, tanto più gravi perché a pronunciarle è l’esponente di un governo che dovrebbe agire per conto del popolo palestinese; un popolo che non può essere certo identificato né confuso con i seminatori di morte.
L’attentato suicida a Tel Aviv avviene nel giorno dell'inaugurazione del Parlamento israeliano scaturito dalle elezioni del 28 marzo, e il giorno dopo il sostegno economico sbandierato dal regime di Teheran al governo palestinese guidato da Ismail Haniyeh: in una realtà, come quella israelo-palestinese che si nutre di simboli e di messaggi questa contemporaneità non ha nulla di casuale. Nella martoriata Terra Santa si sta combattendo anche una guerra interna al variegato arcipelago del terrore jihadista per la leadership dell'Islam radicale armato: ai proclami di Al Qaeda, ecco seguire il kamikaze della Jihad islamica. «La nostra reazione sarà ferma e adeguata», ammonisce il premier ad interim israeliano Olmert, ma al contempo il successore di Sharon deve ammettere che «non vi è un modo per evitare in maniera assoluta queste azioni criminali». La strage di Tel Aviv indurrà Israele a proseguire su quella via del disimpegno unilaterale inaugurata l'estate scorsa con il ritiro dalla Striscia di Gaza; ma l'unilateralismo forzato appare più una scelta emergenziale che una efficace strategia di pace. Sul fronte opposto, in campo palestinese, ciò che più fa riflettere non è la condanna dell'attacco terroristico da parte di Abu Mazen, quanto l'esercizio di «equilibrismo» dialettico di Hamas. La linea scelta è quella giustificazionista. Al tempo stesso, un recente rapporto dello Shin Bet rileva che tra i 90 kamikaze arrestati da Israele negli ultimi tre mesi, nessuno è riconducibile alle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, mentre diversi provengono dalle fila di al-Fatah, il partito di Abu Mazen. «Ciò sembra indicare - è la conclusione a cui giunge il rapporto - che la ragione primaria dell'aumento proporzionale degli arresti è legata al cambiamento di status di Fatah dopo che Hamas ha vinto le elezioni parlamentari». Una vittoria che oggi deve cimentarsi con la prova di governo. Una prova che comporterà inevitabilmente per Hamas una scelta di campo: trasformarsi, sia pure con gradualità, in un movimento politico a pieno titolo, o implodere in una nuova, devastante, deriva militarista. Nessuna ambiguità è accettabile sullo stop al terrorismo stragista. In questo quadro, va inserita l'iniziativa internazionale. Il blocco degli aiuti all'Anp, deciso da Stati Uniti ed Europa, rischia di rivelarsi inefficace se non addirittura controproducente a fronte del sostegno incassato dal governo-Hamas da Teheran, Damasco e anche dal Qatar e dall'Arabia Saudita. L'orizzonte a cui tendere sembra a noi quello delineato dall'ex presidente Usa Bill Clinton: ad Hamas, spiega Clinton, non dobbiamo chiedere di cambiare, tutto e subito, la propria ideologia, o riconoscere lo Stato d'Israele; ciò che dobbiamo pretendere è la rinuncia totale, e definitiva, alla violenza e al terrore. Un impegno a cui l'Europa non dovrebbe sottrarsi, per il bene di due popoli, e per non trasformare il Medio Oriente in una polveriera (nucleare) pronta ad esplodere.

Altre componenti dell'Unione vanno ancora più in là.  Graziella Mascia su LIBERAZIONE si spinge addirittura ad appellarsi ad Al Fatah affinché non "isoli Hamas" e faccia fronte comune con essa.

Difficile venire a capo delle contraddizioni interne alla coalizione di centro sinistra sul Medio Oriente.
Sarebbe opportuna una parola di chiarezza, nella giusta direzione ovviamente, da parte del suo leader.

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