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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.04.2006 Israele, un albero marcio che verrà annientato, sostiene Ahmadinejad
ma la protesta europea è quasi inesistente

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 aprile 2006
Pagina: 11
Autore: Andrea Nicastro-Ehud Gol
Titolo: «Israele sarà presto distrutto- Nessun cedimento»

Oggi, sabato 15 aprile 2006, tutti i giornali riportano con grande visibilità le folli,reiterate dichiarazioni dell'Hitler iraniano. Dal CORRIERE della SERA riportiamo due servizi da Teheran di Andrea Nicastro e un intervento dell'ambasciatore d'Israele Ehud Gol.

Ecco il primo articolo di Andrea Nicastro:

TEHERAN — In un solo giorno hanno parlato praticamente tutti gli esponenti del regime iraniano. Dalla Guida suprema al presidente eletto, passando dai vertici militari ai cosiddetti «pragmatici» fino ai vecchi megafoni. Un'occasione per cercare di decifrare come Teheran intenda uscire dal vicolo cieco sulla scelta nucleare in cui è finita. A sera, le conclusioni sembrerebbero almeno tre. Primo che tutte le anime del sistema sono compatte nel tentativo di raggiungere lo status di Paese nucleare, anche se ufficialmente solo per produrre energia. Secondo, che Teheran non prepara retromarce. Terzo, l'Iran è convinto che i guai americani in Iraq impediscano a Washington un'ulteriore avventura militare ed è, questa, un'occasione da non perdere.
A dare il via al fuoco di fila è stato, come ormai di consueto, il presidente Mahmoud Ahmadinejad. Appena sveglio ha chiamato l'agenzia di stampa governativa e ha dettato la sua risposta al Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, che la sera prima aveva espresso l'intenzione di chiedere all'Onu una Risoluzione contro l'Iran che prevedesse anche l'uso della forza. La Rice, ha detto il presidente iraniano, «è libera di dire quel che vuole, le sue parole non contano».
Perché non contino, l'ha spiegato poche ore più tardi alla consueta preghiera del venerdì nella moschea dell'università tra i cori di «morte all'America, morte a Israele», l'anziano capo del Consiglio dei Guardiani, l'ayatollah Ahmad Jannati. Parlando delle recenti manovre navali nelle quali Teheran ha sperimentato una serie di nuovi missili capaci di sfuggire ai radar, Jannati ha declamato: «Nemici dell'Iran, aprite gli occhi e le orecchie, non pensate di attaccarci perché ciò vi porterà pentimento e dolore. L'Iran non è l'Iraq o l'Afghanistan », prede facili da digerire.
Achi siano rivolti questi avvertimenti è intuibile, ma ha fugato ogni dubbio il comandante dei Pasdaran, generale Yahiya Rahim Safav: «Noi sorvegliamo con attenzione le truppe Usa in Iraq. E gli americani sanno meglio di chiunque altro che le loro forze sono vulnerabili, consiglio loro di non commettere l'errore strategico di attaccarci». Magari qualcuno di quei nuovi missili li farebbe pentire.
Sono intervenuti quindi i due pesi massimi: la Guida Suprema e il presidente. Entrambi all'apertura di una tre giorni di dibattiti sui diritti palestinesi organizzata qui a Teheran. Ecco l'ayatollah Ali Khamenei che conferma l'analisi degli altri sulla crisi di Washington: «Gli Usa complottano con lo Stato sionista — Israele, ndr
— per dominare Libano, Siria, Iraq e Iran. Ma ciò non porterà loro che perdite. La dissoluzione dello Stato sionista è imminente per la sua grave crisi intestina. Ormai nemmeno gli Stati Uniti sono in grado di garantirne la sopravvivenza perché sono alle prese con problemi non risolvibili» in Iraq.
Quindi è toccato al presidente Ahmadinejad tornare su uno dei suoi temi preferiti, la negazione dell'Olocausto: «Il regime sionista è in decadenza. È come un albero rinsecchito pronto a crollare alla prima tempesta. Se possono esserci dubbi sull'Olocausto degli ebrei, non ce ne è alcuno sull'Olocausto che si è verificato negli ultimi anni contro il popolo palestinese. Perché devono essere le genti musulmane a pagare le colpe del comportamento degli europei? La vera fede e la libertà stanno sbocciando e la Palestina sarà presto libera».
Palestina, Iraq, forse anche Siria e Libano: Teheran sogna di mettersi alla guida di un blocco regionale siffatto. Persino il vecchio Hashemi Rafsanjani, sconfitto alle elezioni presidenziali del 2005, è d'accordo. «Siamo determinati a dotarci di una scienza moderna e siamo disposti a pagare il prezzo pesante che questo comporta», ha affermato durante la sua visita, guarda caso, in Siria. «Prendiamo seriamente le minacce poste da Israele e dagli Usa. Possono sicuramente creare disturbi all'Iran, alla regione e a se stessi, ma avranno una risposta appropriata».
L'Iran ufficiale è pronto a tutto. Meno convinti gli iraniani che si incontrano davanti al palazzo dove si tiene la conferenza di solidarietà nei confronti dei palestinesi. «Mi spiace per loro — dice Alì Reza, studente di agraria —, come per gli eritrei, i sudanesi e tanti altri al mondo, ma spero proprio che gli ayatollah non decidano di togliere la minestra dal nostro piatto per darla a loro». E l'atomica? «Certo che ne abbiamo diritto — sostiene Hussein, tra i volontari della conferenza —, ma prego che i nostri leader sappiano portarci sin là senza rischiare la vita di nessuno».

Al quale segue un "ritratto" di Ahmadinejaed dal titolo "Capelli unti, non si lava",dal tono ovviamente sarcastico, anche se non si deve dimenticare che in Iran chi invia SMS non graditi o frequenta siti internet non di regime viene intimidito e anche arrestato.

TEHERAN — Gli avversari disprezzano il suo giubbino antiquato eppure è diventato una sorta di eskimo per i giovani iraniani fedeli alla linea. Gli danno del populista, ma il suo aspetto dimesso resta per i più un indice di onestà. C'è una sola critica alla sua immagine che continua a perseguitare Mahmud Ahmadinejad. Un'accusa che circola con gli sms e lo fa imbestialire: riguarda quella sua aria stantia e la capigliatura un po' unta che fanno pensare a una scarsa dimestichezza con acqua e sapone. «All'inferno, Ahmadinejad balla guancia a guancia con Jennifer Lopez. I peccatori guardano invidiosi: sarebbe una punizione questa? Sì, per Jennifer Lopez».
La barzelletta sarebbe arrivata niente meno che sul cellulare di uno dei due ballerini, il presidente. Il senso dell'umorismo che i collaboratori attribuiscono al capo, non sarebbe bastato a salvare le poltrone di quattro alti funzionari e dello stesso responsabile della società di telecomunicazioni, ufficialmente per collusione con il Mossad, i servizi segreti israeliani.
È un sito dell'opposizione, Rooz Online, ad aver denunciato il caso e ieri il Guardian l'ha rilanciato. «A dicembre — ricorda il quotidiano londinese — il regime ha per la prima volta ammesso di monitorare gli sms» e stima che «tra 70 e 100mila» frequentatori di siti internet «sono stati arrestati o intimiditi».
Risale poi al clima elettorale dello scorso anno la denuncia di un gruppo di 5 studenti arrestati per il contenuto «antirivoluzionario» dei loro messaggini. I barzellettari iraniani, però, sono pluralisti. Ahmadinejad non è il loro unico bersaglio. Contro il puritanesimo degli ayatollah circola una statistica sul comportamento dei maschi persiani dopo il sesso: «Il due per cento fuma, il tre dorme, il 95 per cento torna dalla moglie ». Ce n'è anche per il «doppio standard» che gli iraniani vedono usare da Washington nei confronti dei loro alleati con la bomba atomica (Israele e Pakistan) e l'Iran che starebbe solo cercando di ottenere tecnologia nucleare pacifica.
«Un aereo Usa va in avaria e deve ridurre il carico. Uno dei tre passeggeri, un americano, un inglese e un iraniano, deve essere buttato fuori bordo. Deciderà il pilota con delle domande. All'americano chiede: Chi è stato il primo presidente degli Stati Uniti? George Washington. Bravo. All'inglese: Quanti sono gli abitanti del pianeta? Circa sei miliardi. Giusto. All'iraniano: Sai dirmi i nomi di tutti?».

Ecco l'intervento di Ehud Gol dal titolo "Nessun cedimento con chi non riconosce lo Stato ebraico":

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a tre tornate elettorali che hanno lasciato un profondo segno sia a livello locale sia a livello regionale e internazionale. Solo pochi giorni fa si è conclusa la lunga e controversa tornata elettorale in Italia, in seguito alla quale il centrosinistra, con a capo Romano Prodi, ha ottenuto il mandato per guidare l'Italia nei prossimi anni.
Due settimane fa si sono svolte le elezioni in Israele, dove, per la prima volta, il più alto numero di seggi della Knesset è stato ottenuto da un partito di centro, Kadima, che raccoglie in sé le idee della terza via e al quale è stato affidato il compito di formare il nuovo governo israeliano, che dovrà affrontare tutte le difficili sfide di fronte alle quali sono posti la società e lo Stato. Ma tre mesi fa abbiamo assistito anche a un'altra tornata elettorale, di tipo diverso, nell'Autorità Palestinese. Sono state elezioni apparentemente democratiche, ma in realtà hanno causato uno scossone al Medio Oriente, portandolo all'instabilità e a passi indietro.
La vittoria di Hamas in quelle elezioni è nata nella colpa. La colpa dei paesi europei e, in qualche misura, anche degli Stati Uniti, che si sono tappati le orecchie, per non sentire gli avvertimenti israeliani. Hamas, giustamente inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche dell'Unione Europea, durante il turno di presidenza italiana, non avrebbe dovuto poter partecipare alle elezioni, e Abu Mazen e il mondo occidentale democratico avrebbero fatto bene ad ascoltare il consiglio di Israele e a disarmare l'organizzazione terroristica già alla vigilia delle elezioni.
La vittoria di Hamas con una maggioranza assoluta ci ha lasciati tutti spiazzati. La comunità internazionale, tuttavia, si è ripresa e ha richiesto all'organizzazione di accettare tre prerequisiti necessari a poter ottenere piena legittimazione: riconoscere il diritto di Israele a esistere (quanto è ridicolo pensare che, 58 anni dopo la nascita dello Stato d'Israele, vi siano ancora alcuni che si oppongono allo stesso diritto di quest'ultimo a esistere), il disarmo delle organizzazioni terroristiche e il riconoscimento degli accordi internazionali siglati dall'Anp nell'ambito dei negoziati con Israele.
di EHUD GOL
Ovviamente il nuovo governo del primo ministro Ismail Haniyeh e del Ministro degli Esteri Mahmoud az-Zahar non lo ha ancora fatto, e c'è da dubitare che lo faccia di sua propria volontà. Nei fatti esso continua a rilasciare dichiarazioni con cui si ribadiscono le aspirazioni a fondare uno stato palestinese dal mare al fiume, ovvero dal Mediterraneo al Giordano, passando attraverso la cancellazione dello Stato d'Israele. In seguito all'atteggiamento della maggioranza dei paesi del mondo, quello cioè di impedire i trasferimenti di denaro all'Anp guidata da Hamas, limitandosi solo agli aiuti umanitari per la popolazione civile attraverso le Ong, il governo di Hamas è stato costretto a un cambiamento di tattica e a rivedere le esternazioni dei propri uomini. Az-Zahar ha anche inviato una lettera al segretario generale dell'Onu, secondo la quale essi sono disposti a intraprendere un dialogo con la comunità internazionale, per trovare una soluzione equa e comprensiva. Nella lettera si parla dei diritti dei palestinesi, in particolare del diritto al ritorno, dei risarcimenti ai profughi e della fondazione di uno stato palestinese indipendente. In pratica Hamas vuole due stati palestinesi indipendenti, uno al fianco di Israele, concetto ormai accettato e condiviso da noi, e il secondo tramite la richiesta di far ritornare i profughi e tutti i loro discendenti dentro i confini dello Stato d'Israele, causandone di fatto l'eliminazione e creando al suo posto uno stato palestinese.
Hamas non è interessata alla pace e la sua stessa essenza è il terrorismo. Con tutta la preoccupazione per le condizioni umanitarie della popolazione civile nei territori, preoccupazione condivisa anche dal governo israeliano, la comunità internazionale non può e non deve cedere e rinunciare ai tre prerequisiti posti come condizione a Hamas. Solo un atteggiamento deciso, come quello tenuto finora dagli Stati Uniti, ovviamente da Israele, e da molti paesi dell'Ue, potrà portare a una soluzione del problema sorto con la vittoria di Hamas. O Hamas decida di cambiare la propria pelle e di unirsi ad Abu Mazen nel processo di dialogo con Israele, accettando pienamente le tre condizioni che le sono state poste, oppure lo stesso popolo palestinese decida di porre rimedio immediatamente al terribile sbaglio commesso, liberandosi dell'organizzazione terroristica che costituisce una catastrofe incombente su tutto il popolo, e tornando al processo di pace con Israele, nell'ambito delle linee guida del Quartetto.
* Ambasciatore d'Israele a Roma

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