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Il Foglio Rassegna Stampa
14.04.2006 Tariq Ramadan in Italia
invitato da Giuliano Amato

Testata: Il Foglio
Data: 14 aprile 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Il Pen Club e il think tank di Amato invitano Tariq Ramadan. Imbarazzi»

Dal FOGLIO di venerdì 14 aprile 2006:

Roma. Giovedì 4 maggio Tariq Ramadan sarà a Roma per partecipare – in qualità di “keynote speaker”, sottolinea il comunicato stampa – a una tavola rotonda su “Immigrazione e integrazione: islam in Europa e islam negli Stati Uniti”. L’invito gli è stato recapitato dal Centro studi americani, un’organizzazione no profit riconosciuta anche negli Stati Uniti e presieduta da Giuliano Amato, candidato a ruoli di primo piano nella prossima legislatura. Sponsor dell’evento dedicato al dialogo è l’ambasciata americana in Italia, che fa sapere al Foglio che il Centro studi è indipendente e non gode di finanziamenti statunitensi e che, soprattutto, Tariq Ramadan non è stato invitato dall’ambasciata. La sponsorizzazione dell’evento è dovuta al fatto che il tema di discussione al Centro di Amato è molto importante e ancora di più lo è far sapere il punto di vista statunitense: per questo l’ambasciata ha espressamente invitato alcuni relatori dagli Stati Uniti.
La decisione di portare in Italia Tariq Ramadan è stata presa dal Centro studi. Lui è un personaggio molto controverso, ogni volta che si muove – e cerca di farlo spesso – scatena polemiche. Rispettato e ascoltato da gran parte dell’establishment liberal – dopo l’attentato terroristico del 7 luglio a Londra il Guardian pubblicò all’istante un suo commento – Ramadan è spesso indicato come un punto di riferimento indispensabile per chi voglia instaurare un dialogo tra occidente e islam. Lo stesso Tony Blair, premier britannico, lo ha incluso in un panel di esperti dedicato al tema dell’integrazione all’indomani degli attacchi nella metropolitana londinese. Ma l’ambiguità con cui Ramadan parla di terrorismo e relazioni tra islam e occidente non è piaciuta a molti, come gli Stati Uniti, per esempio, che non gli permettono l’entrata nel loro territorio. Docente all’Università di Ginevra, Ramadan è nipote del fondatore dei Fratelli musulmani, Hassan al Banna, e ha l’abitudine di definire gli attentati terroristici “interventi”, di condannare sì le azioni di terrore, ma sempre con qualche giustificazione, di definire spesso e volentieri il terrorismo “resistenza”. E’ uno che fa distinzioni, insomma, uno che, se vede un fine ultimo giustificabile – come la difesa dell’islam dalle ondate laiche, per esempio – è pronto ad accettare ogni mezzo.
Nel 2004 gli Stati Uniti gli hanno negato il visto richiesto per insegnare all’Università di Notre Dame, nell’Indiana, dove aveva ottenuto una cattedra per un semestre, motivando la misura sulla base delle leggi antiterrorismo in vigore. Il divieto, come spesso accade, ha contribuito a renderlo un “martire”: è la vittima di un “veto ideologico”, si dice in molti ambienti di intellettuali, che hanno lanciato una campagna per evitare che i cosiddetti “scholar” che esprimono “idee in controtendenza rispetto all’Amministrazione” siano banditi dal suolo americano.

L’alleanza pericolosa
In Italia la polemica è già sotto traccia. Proprio due giorni fa Magdi Allam, editorialista del Corriere della Sera, ha dichiarato di aver rifiutato l’invito di Salman Rushdie a partecipare a un mega evento letterario a New York organizzato dal Pen Club – il World Voices Festival – per non sedere allo stesso tavolo di Ramadan. Allam dice al Foglio che “è in atto uno sdoganamento dei Fratelli musulmani sia da parte degli Stati Uniti sia da parte dell’Europa”: per questo persone come Ramadan possono circolare con molta più libertà di quanto non potessero farlo prima, “perché l’occidente si è convinto che alleandosi con loro potrà vincere sui terroristi di bin Laden”. La tesi di Allam è chiara: questa legittimazione è miope e condannerà i musulmani all’ideologia islamica e all’estremismo. Dal Pen Club, il responsabile del Programma di difesa della libertà di scrittura, Larry Siems, dice al Foglio che, con tutta probabilità, l’intellettuale ginevrino (di origini egiziane) alla fine non andrà a New York: “Ramadan ha accettato l’invito ma, nonostante sia stato chiamato negli Stati Uniti per un colloquio per il visto a dicembre, è stato informato che la decisione se concederglielo o no sarà presa nel giro di almeno due anni, se non di più. Al momento sembra che non potrà raggiungerci”.
Karim Mezran, direttore esecutivo del Centro studi americani, dice di essere “curioso” di incontrare Ramadan, che al momento la sua adesione l’ha data, “anche se è noto per dare buca all’ultimo minuto”, ricorda sorridendo Mezran. Mezran spiega che in molti casi la linea di Ramadan è subdola, ma è convinto che sia meglio incontrarlo, farlo parlare e criticarlo pubblicamente piuttosto che non considerarlo, perché in questo modo cresce la sua aura d’intellettuale. “Sulle differenze poi ci si ragiona”, conclude Mezran, che non teme le critiche di chi dice che, così facendo, si legittimano le idee massimaliste di Ramadan. Stando al racconto del direttore del Centro studi americani, anche il presidente Giuliano Amato condivide questa visione, emersa nella riunione nella quale ha preso forma l’invito.
Decidere gli interlocutori con cui discutere di un problema così delicato come il dialogo con l’islam in tempi di guerra al terrorismo non è cosa semplice, e si sa. Yahya Pallavicini, membro della Consulta islamica istituita dal ministro Beppe Pisanu e vicepresidente della Comunità religiosa islamica, racconta di un incontro appena avvenuto a Vienna con gli imam europei e riconosce che “il dialogo aperto a tutti non è utile”, sarebbe meglio invitare “le persone giuste”. “Invitare Ramadan non è opportuno”, insomma. Alla tavola rotonda del Centro studi americani ci sarà anche Khaled Fouad Allam, neoparlamentare della Margherita: è il predestinato a mettere in difficoltà l’intellettuale dei Fratelli musulmani. “Non ero a favore di questo invito – spiega Fouad Allam – Lo trovo un po’ strano. Ho curato una tesi di laurea su tutti i discorsi di Ramadan, ho fatto un’analisi scientifica, e sono molto perplesso sull’utilità di invitarlo: si porta dietro l’eredità della Fratellanza e tende a infilare tutto il mondo musulmano in una gabbia etnico-confessionale. Poi, quando si parla di libertà di religione, Ramadan tace”. Nonostante questo, Fouad Allam pensa di partecipare all’incontro, anche se si riserva di decidere all’ultimo minuto. Con il nuovo lavoro è difficile fare previsioni, ride il neodeputato, “sarà una legislatura sturm und drang”. Il dialogo con l’islam e con il mondo musulmano sarà uno dei temi più importanti e l’arrivo di Ramadan, per di più invitato da Amato, crea già imbarazzi. E neppure Romano Prodi ha cominciato bene. In cinque minuti di intervista ad al Jazeera sui rapporti tra Italia e Hamas ha già avuto bisogno di una smentita del suo portavoce, Silvio Sircana, che al Foglio dice: “Stamattina è arrivato un comunicato di Hamas che dice che il gruppo islamico confida nel fatto che Prodi apra il dialogo. Ma questa commedia degli equivoci deve finire subito: Prodi è stato chiaro, con Hamas si segue la linea dell’Europa, se non rispettano le condizioni non si dialoga”. Sembrava avesse detto tutt’altro, ma per Sircana è solo “speculazione interessata”.

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