In occasione della Pasqua ebraica il giornalista si EUROPA Dan Rabà accusa gli israeliani (anzi, per la verità ,gli "ebrei" ) di essere divenuti essi stessi "proprietari di schiavi".
Questi ultimi sarebbero stati fino a poco tempo fa i palestinesi, che svolgevano in Israele i lavori meno qualificati. Oggi invece sono gli immigrati asiatici a ricoprire il ruolo.
Ma palestinesi e asiatici sono salariati, mossi dalla volontà di migliorare le loro condizioni di vita a cercare un lavoro in Israele, non schiavi costretti con la forza a fare qualcosa contro la lor volontà.
Gli immigrati regolari inoltre, contrariamente a quello che afferma Rabà, hanno accesso ai servizi sociali israeliani.
Ecco il testo:
È pasqua, in Israele. Per la maggioranza, pasqua ebraica. Si ricorda un popolo che fugge dalla condizione di schiavitù verso una libertà incerta. Di un faraone che reprime e schiaccia gli schiavi, ne uccide i figli maschi, ma quando la fi- glia trova un bambino abbandonato (Mosè) l’adotta. Il faraone l’accetterà come parte della famiglia e lui diventerà un principe. Adulto, ed egiziano, scoprirà di essere parte del popolo schiavo. Grande trauma. In un momento d’ira, ucciderà una guardia egiziana per difendere un vecchio schiavo ebreo. È il momento in cui emerge prepotentemente l’identificazione col popolo ebraico, e deve fuggire. Fuggire da cosa? Dall’identità egiziana? O da quella ebraica? O ancora: dal dover scegliere tra le due identità? Nel deserto incontrerà una donna bellissima, di un altro popolo e la sposerà. La religione conta, ma è l’amore che trionfa.
Il Dio terribile e punitivo degli ebrei decide di liberare il suo popolo, e sarà il balbuziente Mosè il suo condottiero, il nuovo profeta. Una scelta moderna e rivoluzionaria: Mosè, un uomo di cultura mista, imbevuto della cultura egiziana ma anche di quella ebraica, parlerà al proprio popolo senza averne condiviso le sofferenze, parlerà al faraone che fu suo fratello adottivo? Tormentato da questi interrogativi, Mosè si avvia dunque alla sua missione.
Più volte nel racconto biblico i protagonisti discutono con Dio, non è un racconto di sottomissione, è’ una storia di conflitti, di trattative, di scoppi di rabbia.
Perché Dio doveva infliggere dieci piaghe per piegare il faraone, perché uccidere i figli maschi? Il faraone padre aveva ucciso i maschi ebrei, il faraone figlio vivrà il dolore per la morte del suo primo figlio.
È una dimostrazione di forza del dio degli ebrei? Oppure un messaggio agli schiavi che devono essere pronti a grandi sofferenze, le proprie e del “nemico”? E che dire dell’imponente dimostrazione di forza dell’apertura delle acque del Mar Rosso, del passaggio dei fuggitivi inermi e impauriti e infine del richiudersi delle due muraglie d’acqua sul faraone rabbioso e sulle sue truppe? Gli ebrei in tutto il mondo devono ricordarsi di essere stati schiavi, devono tenere presente come Dio salvò i loro progenitori, e con la stessa forza salverà oggi gli ebrei.
Ma qui, si chiede il commentatore moderno, come può il popolo ebraico (in Israele) sentirsi come l’antico schiavo, quando si trova esso stesso a essere sfruttatore di schiavi? Già, gli schiavi di oggi. Se per un lungo periodo i palestinesi hanno avuto la funzione del proletariato a basso costo oggi, anche a causa della tensione militare, il fenomeno è diminuito, anche se non del tutto scomparso. In compenso, ci sono i fi- lippini, i cinesi, gli africani, i rumeni, i russi.
Sono i lavoratori stranieri, senza diritti civili, senza diritti sanitari, senza scuole e asili per i bambini, con paghe più basse di tutte le altre categorie quando sono legali, ma molti di loro sono illegali completamente nelle mani dei “padroncini” e delle agenzie che procurano la mano d’opera.
Lavorano nell’agricoltura, nell’edilizia e nell’assistenza agli anziani, come domestici in case private, nei ristoranti e in tanti altri settori.
Oggi in Israele, come in gran parte dei paesi occidentali, vi è una comunità molto grande di lavoratori immigrati. Vivono una vita occultata e misteriosa. Si vedono pochissimo, eppure la loro presenza è molto sentita.
Anche pensando a loro, non dovremmo mai dimenticare di essere stati schiavi.
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