La REPUBBLICA di venerdì 14 aprile 2006 titola in prima pagina "Iran, ultimatum Usa all'Onu".
Si é portati a immaginare che gli Stati Uniti abbiano minacciato un bombardamento del Palazzo di Vetro, ma naturalmente non é così.
Condoleezza Rice ha soltanto chiesto che l'Onu autorizzi tutte le opzioni, dalle sanzioni economiche all'intervento militare se l'Iran continuerà sulla strada della sfida alla comunità internazionale e della corsa alla bomba atomica.
L'articolo di Riccardo Staglianò a pagina 16 minimizza la portata del progetto iraniano (esiste una dichiarazione di Ahmadinejad secondo la quale l'Iran fa ormai parte del "club nucleare", ma si può riuscire a sminuire persino questa, dato che il presidente dell'Aiea "non é ingrado di confermarne l'autenticità")
Un breve trafiletto é intitolato "Si può ancora trattare l'atomica é lontana" Quanto lontana, ci si domanda e nell'intervista la risposta dell'ex ispettore David Albright é "non prima del 2009".
Una anno prima delle stime israeliane, considerete le più pessimistiche.
Di seguito, l'articolo:
UN VIAGGIO a vuoto. ElBaradei è andato e tornato a Teheran in giornata per farsi dire "no" su tutta la linea. L´Iran non sospenderà le sue attività di arricchimento dell´uranio. Da Washington, per tutta risposta, Condoleezza Rice esorta l´Onu a considerare l´uso della forza: «Quando il Consiglio di Sicurezza si riunirà, ci dovranno essere conseguenze per questo atto, per questa sfida, ed esamineremo tutte le opzioni di cui il Consiglio dispone».
Il tentativo di mediazione, intanto, è a un punto morto. «Tali proposte» ha quasi ironizzato il capo negoziatore Ali Larijani al termine di due ore di colloqui con il direttore dell´Agenzia internazionale per l´energia atomica, «non sono molto importanti per risolvere i problemi». Anzi, a dirla tutta sono solo una perdita di tempo per il segretario del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale dal momento che la Repubblica islamica «coopera in maniera costruttiva con l´agenzia, che El Baradei è qui e che gli ispettori e le loro telecamere sono in Iran». Quanto alla recente affermazione-minaccia di Mahmoud Ahmadinejad («siamo entrati nel club nucleare»), il numero uno dell´Aiea non è in grado di confermarne l´autenticità. Non ci sono prove di «diversione» verso fini militari. Per il resto, è stato il suo mesto commento, «i nostri ispettori hanno raccolto dei campioni e ne riferiranno al Consiglio dei Governatori». Sul volo di ritorno a Ginevra, ieri sera, il diplomatico non aveva niente da mettere nel suo carniere.
D´altronde la missione era partita sotto i peggiori auspici. Poco prima che ElBaradei atterrasse a Teheran, mercoledì notte, il presidente della Repubblica islamica l´aveva accolto con una dichiarazione raggelante: «Non negoziamo con nessuno sui diritti del nostro popolo e nessuno ha il diritto di retrocedere di un centimetro sulla strada che abbiamo imboccato». L´Iran ha un nuovo status, è il senso, e il mondo farebbe bene a prendere nota. Con le sue parole: «Siamo un Paese nucleare e parliamo agli altri Paesi da questa posizione». Rispetto a un viatico così il margine di manovra era molto stretto. Da Larijani ha ottenuto un laconico impegno a «lavorare a stretto contatto per accelerare il processo di chiarificazione sui punti controversi». Al resto del mondo continua a dire che non ci sono altre soluzioni che «il negoziato» e le «vie pacifiche». Ma il 28 aprile è il termine che il Consiglio di Sicurezza Onu ha dato agli irriducibili iraniani per sospendere le attività più controverse e fare piena chiarezza sul programma.
Chi da tempo ha perso la pazienza è l´Amministrazione Bush. Ieri il segretario di stato Rice ha lanciato un appello alle Nazioni Unite perché adottino una risoluzione sulla base del capitolo 7 della Carta, il più ultimativo, quello che prevede anche l´uso della forza. Molti vi leggono però una "trovata pubblicitaria", dal momento che l´invito non ha molte possibilità di passare. Il 29 marzo l´Onu aveva già chiesto di sospendere tutte le attività legate al ciclo dell´arricchimento, compresa la ricerca. Due giorni dopo Pasqua a Mosca si incontreranno i suoi cinque membri permanenti più la Germania per pensare contromisure.
Ma a qualsiasi escalation è contraria Russia e Cina. Pur avendo criticato («un passo falso») l´ennesima muscolare uscita di Ahmadinejad, il Cremlino non sottoscriverebbe sanzioni. Il capo dell´agenzia atomica Sergei Kiriyenko ha dichiarato ieri che quella iraniana è propaganda: «L´arricchimento industriale dell´uranio è fuori discussione» dato lo stato della loro infrastruttura. E si riferiva in particolar modo all´ambizione espressa il giorno prima dal suo omologo iraniano Muhammad Saeedi di espandere la propria capacità di arrivare al combustile nucleare indispensabile per la bomba passando dalle attuali 164 centrifughe a 54 mila da far lavorare in serie. Un salto che nessun esperto reputa verosimile. Pechino, dal canto suo, ha ripetuto a tutti gli interlocutori un invito alla «moderazione». Oggi il suo viceministro degli Esteri Chiu Tiankai sarà a Teheran per colloqui, poi proseguirà verso la Russia. Se la diplomazia può farcela non c´è da perdere un minuto.
Ecco invece l'intervista, condotta sempre da Staglianò
«Nel peggiore scenario possibile l´Iran non avrà un´atomica prima del 2009, e potrebbe volerci anche assai di più». David Albright, direttore dell´Institute for Science and International Security di Washington ed ex ispettore di armi nucleari, segue da anni i progressi nucleari della Repubblica islamica. Ed è sorpreso soprattutto da quelli che ora gridano "al lupo": «L´Aiea e l´intelligence sanno che stanno rispettando il loro piano di marcia. Chi parla di "preoccupante accelerazione" mente sapendo di mentire. E lo fa per motivi politici».
Come fa a essere così sicuro che mancano ancora almeno tre anni?
«Perché so cosa serve per costruire una bomba. Ovvero 15-20 chili di uranio altamente arricchito. Per produrlo ci vuole un impianto che lavori per un anno e che contenga almeno 1500 centrifughe. Non è cosa semplice».
Ma gli iraniani hanno detto di aver cominciato l´arricchimento...
«È molto più complicato di testare un nuovo motore di un´auto. Quando il prototipo esce dalla fabbrica non lo montano subito dentro il cofano. Devono far funzionare le centrali a cascata».
La Rice chiede all´Onu di autorizzare anche l´uso della forza. Una fretta giustificata?
«Assolutamente no se si considera che lo stesso John Negroponte, zar dell´intelligence Usa, in un´audizione al senato a febbraio ha detto che continuando così l´Iran "avrà probabilmente la capacità di produrre un´arma atomica entro il prossimo decennio". C´è tutto il tempo che serve per negoziare».
Lei dice che qualcuno ha interesse a dare un´altra impressione. Chi?
«A metà maggio l´Aiea ha fatto un briefing privato a membri del Consiglio di sicurezza avvisandoli che l´Iran stava per far partire le prime 164 centrifughe di Natanz. Un passo importante ma con un´enorme quantità di ostacoli tecnici da superare. Al termine di quell´incontro alti ufficiali dell´Amministrazione hanno, con la garanzia dell´anonimato, detto ai giornalisti che l´Aiea era "scioccata", "sconvolta" dai progressi iraniani. Una manipolazione totale. Al punto che l´Agenzia ha poi dovuto smentire dicendo che erano frasi di "gente che cercava una crisi, non una soluzione"».
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