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Il Foglio Rassegna Stampa
13.04.2006 Il punto sulla minaccia iraniana
un dossier informato e realistico

Testata: Il Foglio
Data: 13 aprile 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione - Fausto Biloslavo
Titolo: «Rice vuole misure forti contro Teheran, dove si parla di un colpo di scena - I mullah corrono veloci. Natanz è il centro nevralgico della Bomba - L’American Jewish Committee smonta la solita “politica delle parole” - Iran e America possono incontrarsi in»

Dalla prima pagina del FOGLIO  di giovedì 13 aprile 2006 un articolo sulle reazioni della comunità internazionale alla sempre più pressante minaccia iraniana.
Ecco il testo:

Roma. Con tempismo calibrato “la buona notizia” dell’ingresso di Teheran nel club nucleare è arrivata alla vigilia della missione di Mohammed ElBaradei. Ma le “belle novelle” dall’Iran non arrivano per caso e non arrivano da sole. Il biasimo della comunità internazionale si è sparso da Mosca e Pechino, passando per Tokio, Bruxelles, Londra, Parigi e Berlino. I russi, pur ribadendo l’ostilità a qualsiasi ipotesi militare, non hanno segnalato la consueta ritrosia nei confronti dell’ipotesi di sanzioni. Ma l’unica voce grossa si è alzata da Washington, da Condoleezza Rice, segretario di stato americano, che ha invocato “misure forti” contro Teheran. Ma intanto, a Teheran, alla “prima buona notizia” se n’è aggiunta una seconda.
La dirigenza iraniana, non contenta di aver gettato lo scompiglio nelle cancellerie internazionali annunciando di aver raggiunto un livello d’arricchimento di uranio del 3,5 per cento, utilizzando 164 centrifughe, ha rilanciato: “Espanderemo le nostre attività di arricchimento nella centrale di Natanz (a oggi su piccola scala, ndr) fino a portarle a livello industriale”, ha dichiarato Mohammed Saeidi, vicedirettore dell’Agenzia nucleare iraniana. L’Iran avrebbe inoltre informato l’Aiea circa l’intenzione di installare altre 3.000 centrifughe nella centrale di Natanz entro il 2006. Il futuro della scienza nucleare iraniano è inarrestabile “come il corso di una cascata che ha iniziato il suo percorso e non può essere fermata”, ha chiarito un diplomatico iraniano. Da giorni l’entourage del presidente Mahmoud Ahmadinejad faceva intendere di voler rispondere alle voci di probabili attacchi con una prova di forza e la stampa iraniana ha colto nella notizia l’intenzione di fornire una risposta “alla guerra psicologica” intentata da Washington. I media hanno dato grande rilievo ai progressi raggiunti nell’arricchimento dell’uranio, una rivelazione sottratta alla gloria di Ahmadinejad dall’ex presidente Hashemi Rafsanjani a poche ore dall’annuncio previsto nella città di Mashad. L’influente quotidiano Resalat ha proposto di celebrare “la grande vittoria” nominando l’11 aprile, data dell’annuncio, come “giornata nazionale della tecnologia nucleare”, mentre il quotidiano conservatore Iran ha sottolineato che l’exploit degli scienziati iraniani chiude definitivamente l’era dell’arroganza e dell’“apartheid nucleare”.

Molti quotidiani lanciano il compromesso
Trionfalismo a parte, il pragmatico Sharq ha evidenziato il peso dei dividendi diplomatici offerti dalla svolta tecnologica. “Questo risultato fornisce all’Iran una fiche molto utile per la trattativa sia per i possibili colloqui con gli Stati Uniti sia per i negoziati sul nucleare. La possibilità di un compromesso tra l’Iran e i suoi interlocutori è aumentata”. La visita di ElBaradei – rileva il quotidiano Mardomsalari – nasce sotto una buona stella: “Potrebbe essere arrivato il momento di archiviare la disputa con la comunità internazionale”. Secondo fonti diplomatiche a Teheran, dietro le “buone notizie” a orologeria potrebbe celarsi la volontà di piegarsi alle richieste delle comunità internazionale. ElBaradei sarà condotto alla centrale di Natanz e gli sarà fornito un saggio dell’avanzamento scientifico. Avendo dimostrato di avere in mano il controllo del ciclo di arricchimento dell’uranio, l’Iran si piegherebbe infine all’Aiea, facendo pagare a caro prezzo il suo “sacrificio” e riservandosi la possibilità di riprendere il suo cammino in un secondo tempo. Da Teheran fonti del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale fanno notare il legame tra la questione degli incontri con gli Stati Uniti a proposito dell’Iraq e la querelle nucleare. Rafsanjani ha ammesso ieri nel corso di un’intervista al quotidiano arabo Al Rai al Aam che il negoziato con la Casa Bianca potrebbe portare ad altro: “Non abbiamo il mandato per discutere la questione nucleare con gli Stati Uniti, ma se i colloqui con l’Iraq andranno nella giusta direzione potrebbe esserci una possibilità”. In un’altra dichiarazione su al Hayat, Rafsanjani sottolinea: “Ci sono stati molti casi in cui grandi decisioni sono partite da piccoli inizi”. Nessuno dei palazzi del potere a Teheran si scalda per l’ultimatum del Consiglio di sicurezza che scade il 28 aprile. “Molta acqua dovrà ancora passare sotto i ponti – dice una fonte del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale – perché ci facciano tremare e quel momento potrebbe non arrivare. L’opzione militare ha troppi costi. E’ più utile per tutti trovare un compromesso, e nel frattempo noi siamo ottimi giocatori di scacchi”.

Fausto biloslavo a  a pagina 1 dell'inserto spiega lo stato di avanzamento dei progetti iraniani

Gli ayatollah accelerano il programma nucleare, anche se sono ancora a qualche anno dalla bomba atomica; e rafforzano le difese dei siti che potrebbero essere colpiti da un raid aereo israeliano o americano. Ieri, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha detto: “Abbiamo raggiunto il club dei paesi nucleari, imboccando una strada senza ritorno. I nostri nemici possono gridare quanto vogliono, ma né una guerra psicologica né minacce politiche ci impediranno d’andare avanti”. Il riferimento è all’annunciato funzionamento delle prime centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, nella centrale di Natanz. Le cancellerie europee, compresa Mosca, hanno criticato l’annuncio. Il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, ha chiesto all’Onu “misure forti” contro l’Iran. La Casa Bianca ha ribadito come “ipotizzabile” l’imposizione di sanzioni. Il responsabile dell’Agenzia per l’energia nucleare iraniana, Mohammed Saeidi, ha aggiunto nelle ultime ore che il suo paese intende “allargare su scala industriale l’arricchimento dell’uranio”. A Natanz, dove sono state rese operative le prime 164 centrifughe, si passerà a tremila alla fine di quest’anno, con l’obiettivo di raggiungere la capacità massima di 54 mila. L’operazione è comprovata dalle foto satellitari del sito nucleare degli ayatollah. Anthony Cordesman, del Centro internazionale di studi strategici di Washington, ha appena pubblicato due analisi sul programma nucleare iraniano, per capire a che punto sono gli ayatollah nella corsa all’energia atomica. “Iniziare l’arricchimento dell’uranio al 3,5 per cento (come aveva dichiarato 48 ore fa Ahmadinejad, ndr) con 164 centrifughe non è sufficiente per fare una bomba atomica – scrive Cordesman – Ci sarebbe bisogno del lavoro continuo di almeno diecimila centrifughe, per un anno, al fine di considerare la produzione d’armamento nucleare”. Inoltre, Cordesman fa notare che le centrifughe di Natanz sono di tipo P-1, quindi antiquate. Il progetto “Green Salt Project” Ufficialmente, l’Iran possiede soltanto una fabbrica di conversione dell’uranio, a Isfahan, la cui produzione è destinata al centro d’arricchimento di Natanz. A Isfahan sono già state prodotte 110 tonnellate di Ucf6, gas ricavato dal minerale d’uranio, destinato a essere immesso nelle centrifughe. L’arricchimento dell’uranio permette d’ottenere sia il combustibile per una centrale nucleare sia il carico fissile di una bomba atomica. Il vero problema è stato sottolineato ieri dal generale Hassan Forouzabadi, capo di stato maggiore congiunto delle forze armate iraniane. “Quando un popolo gestisce la tecnologia nucleare e il combustibile atomico, nulla lo può fermare – ha dichiarato l’alto ufficiale – Adesso questa scienza è nostra e siamo capaci di costruire centinaia di fabbriche di conversione e installare migliaia di centrifughe”. Il benvenuto è duro per il direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, Mohammed El- Baradei, in questi giorni a Teheran. L’impossibile obiettivo della missione è convincere gli iraniani a desistere dal braccio di ferro nucleare. Il Consiglio di sicurezza ha imposto al paese l’ultimatum del 28 aprile per cessare l’arricchimento. Nonostante gli ayatollah giurino di voler utilizzare l’energia atomica per scopi pacifici, gli analisti americani come Cordesman non escludono che gli iraniani puntino a dotarsi di armi nucleari. Secondo l’intelligence americano, il piano d’armamento segreto si chiama “Green Salt Project” e già prevede l’adattamento dei missili iraniani alle testate nucleari. L’Iran potrebbe dotarsi del primo ordigno atomico non prima del 2009, secondo lo scenario più accreditato, ma gli Stati Uniti temono che Teheran posso accelerare i tempi arrivando alla bomba “in due o tre anni”. E’ della stessa opinione il capo del Mossad, il servizio segreto israeliano, Meir Dagan che ha dichiarato al Parlamento israeliano come il programma nucleare iraniano “sia al punto di non ritorno”. Cordesman fa notare che i tempi potrebbero essere ridotti a nove mesi se gli ayatollah decidessero “di comprare materiale fissile da un’altra nazione”, come fecero gli Stati Uniti con il Kazakistan nel 1994. Siti superprotetti Gli ayatollah hanno dato ordine d’aumentare la protezione dei siti nucleari, spiega l’analista. Il Centro di controllo nucleare, con l’appoggio della guida suprema del paese, il grande ayatollah Alì Khamenei, ha incaricato il corpo di élite dei pasdaran, i Guardiani della rivoluzione iraniana, della difesa dei siti. “Il programma, coordinato con esperti nord coreani, prevede la costruzione di tunnel e vani sotterranei per centinaia di milioni di dollari – scrive Cordesman – Gli impianti di Isfahan e Natanz sono i primi della lista delle nuove protezioni”. I lavori, che prevedono per i siti più esposti almeno diecimila metri quadrati di bunker sotterranei, sono ancora in corso e dovrebbero venir conclusi il prossimo giugno. Inoltre, i militari iraniani hanno acquistato dai russi una ventina di moderne batterie di missili terra-aria Tor-M-1, che inizieranno a venir consegnati da quest’anno fino al 2009. Cordesman segnala anche alcuni rapporti che indicano come gli iraniani puntino a modernizzare il loro intero sistema di difesa aerea grazie alla Russia”.

Un altro articolo presenta le analisi dell'American Jewish Commitee:

Fino a che punto la minaccia atomica dell’Iran è affar nostro? E’ soltanto un problema d’Israele oppure di tutti noi? Se lo domandano gli studiosi dell’American Jewish Committee – importante think tank neoconservatore – che hanno deciso di analizzare la strategia del leader di Teheran, Mahmoud Ahmadinejad. Il direttore del centro studi, David A. Harris, spiega al Foglio che la sfida del presidente iraniano, direttamente o tramite ricatto politico, minaccia almeno 50-60 paesi e finora, Ahmadinejad, sembra essere l’unico vincitore di una partita giocata su una tensione mantenuta costante. Ormai, ogni sua dichiarazione rappresenta un pericolo poiché, attraverso l’establishment del paese, impiega poco tempo a passare ai fatti: “Con i suoi missili e un programma nucleare tutt’altro che pacifico”. Dall’altra parte, c’è “un’Europa titubante, poco concreta, divisa al suo interno quando ci sarebbe bisogno di una voce univoca” come è successo con la Bielorussia dopo la contestata elezione del leader Viktor Lukashenka. “In quell’occasione – ricorda Harris – si è vietato l’ingresso al presidente e al suo staff nei paesi dell’Ue. Invece con l’Iran non si riesce ad andare oltre le parole”. “Gli Stati Uniti non hanno minacciato nessuno, e neppure l’American Jewish Commitee sostiene una soluzione militare, ma un passo concreto va fatto”: sanzioni economiche e niente ambasciatori a Teheran, come l’America, per esempio. “Soltanto così Ahmadinejad potrà capire che le risposte euroamericane sono serie, e pronte a valutare altre strade, qualora fallisse la via diplomatica”. L’Iran ha già rifiutato l’offerta di Mosca – arricchire l’uranio negli stabilimenti russi – e non sembra impensierito dalle parole delle singole nazioni europee. “Francia, Germania e Inghilterra non hanno ancora preso in considerazione altre possibilità e confidano soltanto sulla diplomazia. Il risultato è che i politici iraniani, e i loro conti bancari depositati all’estero, continuano a muoversi indisturbati”. “Ecco perché abbiamo deciso di lanciare la nostra campagna di sensibilizzazione” che dal portale ajc.org ha raggiunto i maggiori enti di comunicazione del mondo, Financial Times compreso”. Stuzzicato su un possibile coinvolgimento della regione irachena nelle trattative diplomatiche tra Teheran e Washington – nell’ipotesi che l’America sia pronta a chiudere un occhio su un Iran nucleare in cambio di maggiore stabilità in Iraq – Harris spiega che “il regime degli ayatollah ha una certa influenza sulla componente sciita”, ma non crede che si possa arrivare a un accordo del genere. “Lo scopo dell’Iran non è questo – dice – ma per Ahmadinejad potrebbe essere un primo passo, verso un altro obiettivo”. Non dimentichiamo che l’Iran è una Repubblica islamica, con una componente estremista da non sottovalutare nelle stanze del potere. Allora che fare? Harris insiste su una “dimostrazione di forza, che passa da una politica comune”. Abbandonare le parole e trovare un accordo al più presto. Perché, come ha già detto nei giorni scorsi Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano, per la bomba “è soltanto questione di tempo”. L’America nei giorni scorsi è stata divisa anche dalle prese di posizione della senatrice Hillary Clinton. Dopo le pericolose dichiarazioni del presidente Ahmadinejad sull’arricchimento dell’uranio, come hanno reagito i politici americani? “Negli ultimi tempi i democratici sono quasi più preoccupati dei repubblicani per ciò che sta accadendo in Iran”, spiega Harris, che definisce un’autentica “ladyhawk” la probabile candidata democratica alle prossime presidenziali americane.

Infine, analisti eun deputato iracheno spiegano l'illusorietà e la pericolosità delle ipotesi di accordo tra Usa e Iran sull'Iraq

In Iran non esiste alcun pragmatismo. Per Alexandre Adler, editorialista del Figaro, Mahmoud Ahmadinejad, presidente della Repubblica islamica, vuole a tutti i costi il nucleare anche a rischio d’ingenti sanzioni. Il paese ha già raggiunto in breve tempo ottimi risultati tecnologici. Lo ha annunciato orgoglioso il presidente iraniano, parlando davanti a un pannello azzurro con colombe della pace. E il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, ha risposto che le dichiarazioni del leader richiedono “misure forti” da parte del Consiglio di sicurezza. Ahmadinejad ha dichiarato che le sue intenzioni non sono bellicose. “Nessuno, però, può credere realmente a queste parole – dice Adler al Foglio – Gli scopi della leadership iraniana sono palesemente egemonici”. I canali di stato mostrano tutte le sere installazioni nucleari, ostentando la loro potenza, mentre una marcetta in stile sovietico inneggia: “Iran, Iran”. Mohamed ElBaradei, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), in questi giorni in visita a Teheran, ha auspicato che l’Iran adotti misure necessarie per adempiere appieno a quanto richiesto dalla comunità internazionale. Persino il Cremlino, spaventato dalle dichiarazioni di Ahmadinejad, ha chiesto a Teheran di fermare ogni tipo di attività, facendo un passo indietro sulle proprie morbide posizioni. La Russia aveva appoggiato i progetti iraniani – spiega Adler – sperando di portare a termine buoni affari economici. Aveva messo a disposizione i propri tecnici nella centrale di Busher, nel sud del paese, per avere il controllo della situazione e ingraziarsi un ricco partner finanziario. I russi, però, non hanno mai fornito il know how per l’arricchimento. Adesso che l’Iran ha tutto quello che serve per la realizzazione della bomba, la vicina Russia ha paura. I quotidiani internazionali, si chiedono che fine abbiano fatto gli Stati Uniti. Le sanzioni promesse da John Bolton, ambasciatore americano all’Onu, sembrano svanite, mentre si attende l’incontro tra la Casa Bianca e l’Iran sulla situazione in Iraq. “Sia sul fronte nucleare sia su quello iracheno le attuali ambizioni di Teheran sono opposte a quelle americane”, sostiene l’editorialista. Se Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente iraniano, fosse stato al potere – spiega Adler – si sarebbe potuto sperare in un comportamento più pragmatico. Da parte del presidente niente di tutto ciò è pensabile. “Soltanto una presa di coscienza della mullahcrazia – dice Adler – può salvare il paese dall’estremismo di Ahmadinejad”. “Il dipartimento di stato vuole l’aiuto di Teheran – dice al Foglio Ayad Jamal Eddin, prominente parlamentare iracheno della lista Allawi – per ricostruire il nostro paese”. Eddin spera, però, che sia soltanto una trappola per fare ammettere alla Repubblica islamica di manipolare e gestire direttamente gli interessi iracheni, venendo allo scoperto. Se così non fosse, allora gli Stati Uniti sono in guai seri. “Sarebbe ingenuo e pericoloso credere nell’onestà dei leader iraniani”, sostiene Eddin, durate un viaggio a Washington. La lentezza nell’evoluzione della questione mi colpisce molto, ha detto al Foglio Mohammed Reza Djalili, professore all’Istituto universitario di alti studi internazionali di Ginevra. Dopo tre settimane il Consiglio di sicurezza è arrivato a un esito che è soltanto formale: una dichiarazione presidenziale non vincolante, per un altro mese non accadrà nulla, poi si tornerà all’Agenzia atomica internazionale, per un altro rapporto e così via. Se non è stasi, davvero ci si sta muovendo lentamente. Il professore non crede che la comunità sia rassegnata, crede però che manchi una strategia. C’è il gruppo che vuole esercitare maggiore pressione, formato da Stati Uniti ed Europa, e chi, come Russia e Cina, tira il freno. Se si trattasse di una partita di calcio, si potrebbe dire che l’Iran ha segnato il primo gol. E’ una situazione inquietante, il sistema internazionale è incapace di trovare una soluzione. All’Iran si mandano “dichiarazioni presidenziali”, messaggi e si attende che accada qualcosa. “E’ davvero inquietante. Poi, Russia e Cina, per ora, non hanno intenzione di recedere dalle loro posizioni”. Si ha l’impressione di una corsa folle contro l’orologio, ma l’Iran corre veloce; mentre il Consiglio di sicurezza si perde nei tempi dilatati della diplomazia, Teheran organizza i giochi navali più imponenti della sua storia e presenta i suoi nuovi missili: celebra la sua forza e la comunità internazionale nel frattempo mostra le sue divisioni. Il Trattato di non proliferazione (Tnp), dice, è servito a contenere la proliferazione. Se a un paese come l’Iran, membro del Tnp, è permesso di dotarsi dell’arma nucleare, si metterà in discussione il futuro del trattato e la sua legittimità. “Credo che Teheran voglia avanzare nel suo programma fino al punto da trovarsi in una zona grigia: è più utile e più logico non uscire allo scoperto, ma insinuare, minacciare per difendersi meglio. Correre, correre mentre gli altri discutono e discutono al Consiglio di sicurezza e poi usare questo capitale per raggiungere i propri scopi”. Che entro l’8 aprile l’Iran avrebbe annunciato di essere in grado di costruire la bomba, io l’avevo scritto a gennaio, dice al Foglio Michael Ledeen, analista dell’American Enterprise Institute. “E’ fantasia”, che l’America stia cercando di trovare un accordo con l’Iran: aiutare Washington in Iraq in cambio di un atteggiamento più tollerante nei confronti del programma nucleare del mullah. “Ma chi lo sa. Certo, gli europei lo farebbero in dieci secondi. Ma l’America non credo. Questo presidente non lo farebbe. Macché pace, non c’è pace con l’Iran. Ci sono quelli che vorrebbero, ma gli iraniani non ci stanno. Il presidente americano lo ha detto 2.000 volte che l’Iran nucleare non è assolutamente accettabile”. Nessuno agisce, dice Ledeen, che ha sempre creduto che gli europei portassero avanti i negoziati con l’Iran non per bloccare Teheran, ma per ostacolare Bush. “Pensavano di poterlo intrappolare”. Le sanzioni non hanno mai funzionato. L’unica via, per Ledeen, è il regime change: esattamente come è successo per l’ex Unione sovietica. “L’alternativa alle sanzioni è la rivoluzione. Se siamo riusciti a far cadere l’Urss aiutando la rivoluzione da dentro il sistema, con l’appoggio soltanto dell’8-10 per cento dei russi, possiamo fare la stessa cosa in Iran, attraverso radio, televisioni, soldi ai sindacati”. Non è possibile che l’America faccia questo tipo d’accordo con l’Iran, dice al Foglio Gary Schmitt dell’American Enterprise Institute, ex direttore del Project for a new american century. Si riferisca alla possibilità di un’intesa sotterranea tra Washington e Teheran: un aiuto in Iraq in cambio di un atteggiamento più permissivo sul nucleare. “Una volta che l’Iran avrà la bomba, nulla potrà più fermarlo dal diventare ancor più coinvolto in Iraq. Questo potrebbe sembrare un buon accordo, in teoria, ma in pratica si rivelerebbe uno specchio per le allodole”. Secondo l’analista americano, le sanzioni potrebbero avere un impatto soltanto se imposte sia da Europa sia da Stati Uniti. Infatti, “l’Iran dipende molto da tecnologie e commercio europei. L’Europa deve essere pronta a sacrificare questi scambi, e per ora non sta succedendo”. No, Schmitt non pensa che l’occidente abbia sottovalutato la minaccia nucleare iraniana, ma crede che l’occidente sia diviso. Al contrario, considerato il mancato ritrovamento di armi di distruzione di massa in Iraq, “sono stupito che l’occidente abbia preso tanto seriamente il programma iraniano”.

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