Il MANIFESTO di martedì 11 aprile 2006 pubblica a pagina 12 l'articolo di Alberto D'Argenzio "L'Ue congela Hamas", nel quale si sottolinea la base "democratica" del governo di Hamas per condannare la sospensione dei finanziamenti da parte dell'Europa.
Ecco il testo:
Tutto come previsto: l'Europa congela i soldi destinati al governo di Hamas ma al tempo stesso prova a non far mancare il suo sostegno al popolo palestinese, promettendo di inventarsi nuove forme di sovvenzione che taglino fuori l'esecutivo (democraticamente eletto). In questa maniera la Ue fa come gli Usa, mette il fiato sul collo su Hamas in modo da obbligarla a un doppio gesto: riconoscere lo stato d'Israele e rinunciare alla violenza, cosa che il nuovo governo non ha ancora intenzione di fare. «È una decisione erronea ed ingiusta - la risposta di Gazhi Hamad, portavoce dell'Anp - un castigo collettivo contro il popolo palestinese per aver esercitato un suo diritto democratico». «La risposta della Ue - afferma invece l'austriaca Ursula Plassnik, presidente di turno del Consiglio - non è una minaccia né un ricatto per il risultato delle elezioni palestinesi, ma è importante restare chiari sul messaggio da lanciare, perché siamo responsabili di fronte ai nostri contribuenti su come utilizzare i nostri soldi». «L'Ue ha una responsabilità, quella di non far soffrire il popolo palestinese - riassume il britannico Jack Straw - ma anche Hamas ha delle responsabilità». L'Europa è il maggior finanziatore dell'Anp con circa 500 milioni di euro.
La notizia era stata anticipata venerdì dalla Commissione europea, ieri i 25, riuniti a Lussemburgo, non hanno fatto altro che confermarla, cercando però di indorare la pillola. «Continueremo ad appoggiare il popolo palestinese - afferma Javier Solana, alto rappresentante per la politica estera della Ue - non lo abbandoneremo. Ieri, oggi e domani avranno il nostro sostegno». «Continueremo a stare al lato dei palestinesi», l'eco della commissaria agli esteri Benita Ferrero Waldner. Per coniugare pressione politica ed aiuto umanitario, l'Ue punta tutto sulle organizzazioni internazionali, un cammino ambiguo e in cui inevitabilmente il grosso dei fondi si perde per strada.
L'operazione non è infatti né semplice e nemmeno indolore, come avverte la stessa Croce rossa internazionale: «Siamo pronti a intensificare le nostre attività per venire in aiuto alla popolazione palestinese - afferma Pierre Krahenbuhl, direttore della Croce rossa - ma né noi né qualsiasi altra organizzazione umanitaria possiamo rimpiazzare le autorità nel loro ruolo di erogatori di servizi pubblici». All'Anp non resta che lanciare l'allarme bancarotta mentre il presidente Mahmud Abbas ha già organizzato per dopo Pasqua un viaggio in Turchia, Norvegia, Finlandia e soprattutto Francia per fare la questua.
Dal vecchio continente partono circa 500 milioni di euro per la Palestina, la metà dalla Commissione ed il resto dagli stati membri. Con la decisione di ieri, si dà per sicuro un congelamento di 75 milioni di Bruxelles che andavano a finanziare gli stipendi dei funzionari dell'Anp, dai poliziotti fino ai maestri. Rimangono salvi i fondi gestiti direttamente dall'Acnur, dalla Croce rossa e da altre Ong (la metà del totale), mentre rimane un rebus vedere come la Ue riuscirà a pagare la bollette di acqua, gas, elettricità, scuole ed ospedali, che prima passavano per l'Anp. Singolarmente anche Gran Bretagna, Olanda e Danimarca hanno già deciso di bloccare i loro aiuti.
Stop per i soldi, ma anche per i politici. Ieri è toccato al rappresentante di Hamas invitato a Strasburgo dal Consiglio d'Europa (organo che non ha nulla a che fare con la Ue) per uno scambio di vedute per formare un forum tripartito anche con rappresentanti israeliani. La Francia gli ha negato il visto perché la sua organizzazione fa parte della lista dei gruppi terroristici della Ue. Una dimostrazione di più come la lista, oltre a non servire a nulla (sono pochissimi i fondi bloccati), sia pure un ostacolo per la politica.
Un altro articolo, intitolato "Tel Aviv silura l'Anp" si segnala, oltre che per il titolo che sposta la capitale di Israele, per il rilievo dato alla prese di posizione di Hamas, per il totale oblio del ruolo quanto meno ambiguo dei servizi di sicurezza palestinesi verso il terrorismo e per la mancata spiegazione delle circostanze (ripetuti lanci, da zone densamente popolate, di razzi katiuscia verso i centri abitati israeliani) nelle quali é stata decisa l'azione antiterroristica nella quale é morta una bambina palestinese di 12 anni.
Ecco il testo:
«Una dichiarazione di guerra». Così Hamas ha commentato la decisione. presa domenica dall'esecutivo israeliano, di congelare i rapporti sulla sicurezza che lo stato ebraico intratteneva con l'Autorità nazionale palestinese (Anp). Israele continua quindi la sua politica unilaterale, contrassegnata da raid su Gaza (ieri una bimba di 12 anni è stata uccisa in un bombardamento) e da decisioni politiche non concordate con la leadership palestinese.
Ieri Tel Aviv ha detto che completerà il piano di ritiro da gran parte della Cisgiordania, per la definizione unilaterale dei suoi confini, entro la fine del secondo mandato del presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nel novembre 2008. Lo ha detto Yoram Turbowicz, uno stretto consigliere del premier ad interim e leader di Kadima Ehud Olmert, secondo quanto riportava il quotidiano israeliano Yediot Ahronot. Turbowicz, designato come nuovo capo dello staff di Olmert, ha spiegato che il piano di «convergenza» (come viene definito il piano di ritiro, che prevede lo spostamento dei coloni evacuati negli insediamenti che rimarranno sotto il controllo israeliano) sarà attuato entro il novembre 2008. Inizialmente Olmert aveva fissato come termine per l'attuazione del suo piano il 2010. Turbowicz ha illustrato il piano ieri nel corso dei negoziati per la formazione del nuovo governo, che sarà guidato da Olmert. «Abbiamo un calendario molto stretto, perché vogliamo il sostegno dell'amministrazione americana e del presidente Bush», ha detto. «Questo è il nostro piano. Se non ci saranno partner nei negoziati, lavoreremo sul dialogo interno, e formeremo una maggioranza in Parlamento per attuare il piano».
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