L'Europa sceglie la linea della fermezza ? con Hamas e Ahmadinejad
Testata: Il Foglio Data: 11 aprile 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Ignorare Hamas e sanzionare Teheran. Solana tiene duro»
Un articolo dal FOGLIO di lunedì 11 aprile 2006:
Lussemburgo. Sostenere Abu Mazen, ignorando Hamas. Dopo lunghe settimane d’esitazione, l’Unione europea sembra essersi rassegnata a seguire Israele e Stati Uniti nella linea della fermezza contro il governo di Ismail Haniye e per il rafforzamento del presidente palestinese. Nonostante le riserve di Francia, Spagna, Irlanda e paesi scandinavi, ieri i ministri degli Esteri dei Venticinque hanno formalizzato la sospensione degli aiuti finanziari diretti all’Autorità palestinese, annunciata venerdì scorso dalla Commissione. “Il programma del nuovo governo palestinese – ha constatato l’Ue – non contiene impegni chiari” sulle tre condizioni (rinuncia al terrorismo, disarmo delle milizie e riconoscimento del diritto d’Israele a esistere) poste all’indomani delle legislative per continuare la cooperazione politico-finanziaria. Non è bastato l’appello del ministro degli Esteri di Hamas, Mahmoud Zahar, a “rispettare l’elezione democratica del popolo palestinese” e continuare i versamenti per non “causare gravi danni alla popolazione” dei Territori. “Hamas – ha risposto il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw – deve riconoscere che essere un governo democraticamente eletto comporta responsabilità: fare tutto ciò che gli altri fanno in quanto democratici: rinunciare alla violenza”. Anche la strategia della vittimizzazione – tremila persone hanno marciato a Gaza per denunciare il ricatto europeo – non sembra funzionare: “I palestinesi hanno scelto questo governo e dovranno subirne le conseguenze”, ha detto il ministro degli Esteri olandese, Ben Bot. Subito saranno sospesi 30 milioni di euro, cui s’aggiungono i contributi individuali già congelati dai singoli stati membri, ma l’ammontare complessivo dei tagli dell’Ue potrebbe arrivare a 75 milioni entro la fine dell’anno. Hamas si trova così in una pesante crisi finanziaria. Il ministro delle Finanze, Omar Abdel Razeq, ha confermato che il governo non riuscirà a pagare gli stipendi di marzo ai 140 mila funzionari dell’Autorità nazionale palestinese, compresi i 58 mila membri delle forze di sicurezza. Ad Hamas è mancata la solidarietà tante volte declamata dei paesi arabi e musulmani. La Lega araba ha fatto sapere che donerà circa 55 milioni di dollari, ma i soldi non sono ancora arrivati. Abdel Razeq ha ricevuto e già speso i 35 milioni di dollari dall’Algeria, meno della metà di quanto pattuito con gli altri regimi della regione, mentre le collette islamiste dei Fratelli musulmani e la solidarietà di Teheran non sono formalmente mai arrivate. L’incubo di una “iranizzazione” dei Territori è venuto meno e, di conseguenza, anche le reticenze dei Venticinque su misure drastiche. Il flusso di denaro europeo verso i Territori, comunque, non sarà completamente interrotto. “Resteremo al fianco del popolo palestinese, vogliamo aiutarlo a soddisfare i propri bisogni essenziali: elettricità, istruzione, cibo”, ha chiarito la commissaria alle Relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner. Oltre ai fondi umanitari destinati alle organizzazioni non governative, l’Ue pensa ad altre soluzioni, come il pagamento diretto delle bollette di scuole e ospedali, che possano rafforzare la posizione del rais Abu Mazen. Le decisioni d’ieri segnano una piccola ma significativa svolta nella politica dell’Ue. Alcuni paesi rimangono favorevoli a “contatti tecnici” con i ministri di Hamas, i Venticinque “rivaluteranno la situazione entro un mese” e la Francia insiste affinché l’Europa trovi “entro l’estate” altri modi per far arrivare una parte degli aiuti sospesi. Ma l’allineamento con gli Stati Uniti è ormai un dato di fatto. Parigi ha negato il visto d’ingresso a un deputato di Hamas che doveva partecipare alla riunione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo. Il presidente Abu Mazen è stato invitato all’Eliseo il 27 aprile e al Parlamento europeo a maggio. Ancor più indicativa è la nuova posizione che sembra delinearsi sull’Iran e il nucleare. Nessuno vuole discutere della prospettiva di un attacco americano, perché “non c’è nessuna pistola fumante”, ha spiegato Straw. Tuttavia i ministri degli Esteri si sono trovati sul tavolo un documento dell’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, in cui s’ipotizzano sanzioni contro Teheran, che l’Europa potrebbe applicare anche in caso di mancato accordo al Consiglio di sicurezza. Tra le misure ci sono il taglio dei crediti all’esportazione alle imprese europee che fanno affari con l’Iran, il divieto d’ingresso nell’Ue per i responsabili del programma nucleare, un embargo formale sulle armi e la fine definitiva dei negoziati per un accordo commerciale – attualmente soltanto sospesi – con Teheran. La bushizzazione della politica europea nei confronti dell’Iran passerebbe anche attraverso aiuti alla dissidenza, con trasmissioni satellitari e sostegno finanziario alla società civile. Dopo tre anni di inutili negoziati, “l’Ue non ha né bastoni né carote per trattare con l’Iran”, spiegano alcuni diplomatici.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio