Un articolo violentemente ostile sul settimanale cattolico on line Alberto Bobbio, il suo è solo un pregiudizio ?
Testata: Famiglia Cristiana Data: 10 aprile 2006 Pagina: 1 Autore: Alberto Bobbio Titolo: «Lungo la via della croce»
Famiglia Cristiana nel numero 15 on line pubblica un articolo di Alberto Bobbio intitolato “Lungo la via della croce”. Era da qualche tempo che sul settimanale in edicola non leggevamo un pezzo così ostile a Israele, Chissà, forse il fatto di pubblicarlo on line e non su carta viene sentito dal settimanale cattolico come una licenza buona a tutti gli usi.
Il giornalista presenta una nuova iniziativa editoriale del settimanale cattolico intitolata “Pellegrini in Terra Santa”.
La “Terra Santa” per i cristiani è “anche” Israele per tutto il mondo ( a parte per alcuni paesi arabi e per le formazioni terroristiche come Hamas che non ne riconoscono l’esistenza); eppure nell’articolo non si parla mai di ISRAELE e l’immagine che emerge degli ebrei e degli israeliani è pregiudizialmente negativa. Alcune frasi in particolare brillano per la loro faziosità:
- “Bisogna guardare lo spettacolo del mercato arabo, ……………………………. accompagnare con lo sguardo soldati israeliani armati fino ai denti, ragazzini con il giubbotto e la pistola, guardie armate di chissà quale corpo di polizia di questo Paese che ha a gran cuore la sicurezza e nessuna regola che la definisca.”
- “, …………in faccia alla porta di ferro dove sbuca il tunnel degli ebrei, costruito per rivendicare nuovo potere e avviare nuove tensioni”
- “………..La terza stazione è accanto a una cappella dei cattolici armeni, ma la domina una grande bandiera israeliana, casa di Sharon, comperata e mai abitata, solo per rivendicare altro possesso della terra e l’idea che nulla della Città santa è precluso agli ebrei””
Cosa emerge da questo articolo? I soldati israeliani armati fino ai denti, gli ebrei che rivendicano nuovo potere e il possesso della terra, fomentano le tensioni e usurpano la Città santa. Un perfetto campionario di antisemitismo!!
Pubblichiamo di seguito l’articolo per dare l’opportunità ai lettori di ulteriori riflessioni.
I simboli sono ovunque, dentro le pietre, sotto le pietre. Eppure quello che conta non sono i tesori architettonici, e neppure ciò che è stato attribuito loro nel corso di secoli di tensioni e di tenzone. Nella città vecchia conta solo la memoria della morte e della risurrezione di Cristo. C’è una processione che ogni venerdì l’attraversa dal quartiere musulmano fino a quello cristiano e finisce al Santo Sepolcro. È uno dei simboli della religiosità dell’Occidente, inventato dai frati di Gerusalemme quasi cinque secoli fa. Via Crucis, Via della Croce, quella che uno ha portato per queste strade quasi duemila anni fa, sicuramente tra l’indifferenza della gente, perché ne ammazzavano tanti di uomini in questo modo e li costringevano a portare il legno sulle spalle in mezzo ai traffici del mercato, le donne con le ceste, gli asini, uomini che imprecavano e si lamentavano, perché quel corteo di soldati e di poche donne in lacrime disturbava e infastidiva. Forse per questo la folla era ostile, forse neppure sapeva chi era quel poveraccio pieno di sangue, che prolungava l’agonia sulle pietre. Non basta avere in mano il rosario e il libretto delle preghiere per percorrere la Via dolorosa. Non è una devozione come le altre, non bisogna cercare il raccoglimento e il silenzio. Qui la preghiera vale perché fai fatica, raccoglie gli odori e il clamore della folla, perché abbraccia la geografia e la geopolitica di una topografia non solo sacra, piegata nel tempo alle esigenze di tutti coloro che subito capirono la fila di problemi che sarebbero venuti dalla sorte di quell’uomo. La Via dolorosa fa parte della città, s’attorciglia tra case e gente che neppure sa chi era quel tale Gesù. Ci hanno scritto una storia secondo interessi, hanno coltivato alcune memorie e cancellato altre. Davanti alla chiesa della Flagellazione nascono ancora gli arbusti con le spine. Il dramma parte da qui, le spine sono lunghe, spietate, come allora. Ma è proprio questo il percorso? E proprio da qui che Gesù è partito con la croce addosso? Gerusalemme è un valore, più che una certezza di storia. Ma gli archeologi cristiani, soprattutto i francescani, cocciuti Custodi di Terra Santa, si sono spesi nei secoli per custodire vestigia e pietre e per evitare che esse per sempre tacessero. Dicono che il Pretorio potrebbe essere da un’altra parte e allora il percorso della Via Crucis sarebbe sbagliato. Dicono che potrebbe essere sul Monte Sion, accanto alla Porta di Giaffa. Dicono. Ma lui dice che non è vero, che le pietre qui parlano chiaro. Lui è padre Michele Piccirillo, archeologo di Terra Santa, guida impareggiabile e sapiente, perché lui le pietre le ha scavate e conosce il modo di farle parlare. Dice: «Bisogna evitare le letture solo spirituali. Bisogna evitare di camminare con la testa bassa, guardandosi i piedi e sgranando il rosario>>. È vero. Bisogna guardare lo spettacolo del mercato arabo, riempirsi le narici degli odori delle spezie, ascoltare grida che possono disturbare, osservare le bandiere che segnano le proprietà, accompagnare con lo sguardo soldati israeliani armati fino ai denti, ragazzini con il giubbotto e la pistola, guardie armate di chissà quale corpo di polizia di questo Paese che ha a gran cuore la sicurezza e nessuna regola che la definisca. La prima stazione, la condanna di Gesù, sta sotto le mura ottomane della scuola coranica, la madrasa di al-Omaryeh, che si confondono con quelli dell’arco di Adriano, che poggiano su pietre di un edificio del tempo di Erode, in faccia alla porta di ferro dove sbuca il tunnel degli ebrei, costruito per rivendicare nuovo potere e avviare nuove tensioni. Padre Piccirillo con questi guardiani, che tengono in mano pistole come fossero sigarette, qualche volta scambia qualche parola un po’ più forte: «È un caso che abbiano fatto sbucare il loro tunnel proprio dove parte la Via dolorosa?>>. Ogni simbolo è eloquente. Meglio non dimenticarselo. Due passi più avanti, il convento delle suore di Sion nasconde quello che si ritiene il Litostroto, "lastricato" in lingua greca, dove Gesù fu processato da Pilato e flagellato. Sulle pietre restano ancora i segni dei giochi di dadi dei soldati romani. Ma c’è chi non ci crede e dice che si tratta di striature per evitare che i cavalli scivolassero. Si studia e si studierà ancora. C’è una memoria che va collocata, e va fatta con attenzione. Le tradizioni sono molte. Nell’VIII secolo la processione passava da tutt’altra parte: veniva dal Getsemani e aggirava la città. All’arco dell’Ecce Homo s’incontrano i primi venditori. C’è chi si spazientisce, spiega che sta pregando. Loro ti guardano con la faccia perplessa. Pregano tutti a Gerusalemme. Dove sta la novità? La terza stazione è accanto a una cappella dei cattolici armeni, ma la domina una grande bandiera israeliana, casa di Sharon, comperata e mai abitata, solo per rivendicare altro possesso della terra e l’idea che nulla della Città santa è precluso agli ebrei. Da qui in avanti la ricerca delle stazioni diventa una caccia al tesoro, in mezzo al suq, ai sacchi di spezie, ai mazzi delle verdure. Era così anche quando quell’uomo camminava e cadeva con un legno in spalla. Manca l’aria pure oggi dentro i vicoli, su per le salite di pietra, che diventano sdrucciole per l’acqua che scende dalle botteghe. Lui è caduto tre volte, faticava a respirare, faticava a salire. Trova le donne, trova il cireneo, vicino a una cappella francescana, trova la Veronica, cade un’altra volta dove oggi si vede l’incrocio tra "cardo" e "decumanus", crocicchio romano della Gerusalemme che loro hanno ricostruito. Di qui in avanti tutto s’aggroviglia e si sovrappone. Quello che tende a scomparire è la memoria cristiana. Le ultime stazioni sono dentro il Santo Sepolcro, rigorosamente divise tra riti e Chiese cristiane in un estenuante equilibrio che quotidianamente si esercita per ragioni di prestigio e insieme di potere. Arrivare fin qui non è fare tanti passi: è il groviglio della storia e delle religioni. Che mette l’affanno.
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