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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.04.2006 Le memorie dell'ex capo del Mossad
in una corrispondenza di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 aprile 2006
Pagina: 13
Autore: Davide Frattini
Titolo: «L'ex capo del Mossad svela 30 anni di segreti»

"Man in the Shadows" (un uomo in ombra) è il titolo del libro di memorie di Efraim Halevy, capo del Mossad fra il 1998 e il 2002. Ne scrive Davide Frattini sul CORRIERE della SERA di oggi 9.4.2006 in un interessante articolo-recensione.  A seguire un breve articolo di aggiornamento dei rapporti Ehud Olmert-Abu Mazen.

Ecco l'articolo:

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — È lui che ha ideato l'assedio a Yasser Arafat. Che ha suggerito al premier Ariel Sharon di confinare il raìs tra le macerie della Mukata, invece di spedirlo in esilio, in qualche Paese arabo «da dove avrebbe potuto girare il mondo atteggiandosi a martire». Eppure Efraim Halevy ha incrociato una sola volta il leader palestinese, morto nel novembre 2004: per anni il loro duello si è giocato a distanza, attraverso emissari e informatori, bugie pubbliche e minacce segrete. E per buona parte di quell'incontro, a Bruxelles in una saletta surriscaldata, Arafat ha dormito. «Si è svegliato con un sobbalzo, solo quando ha sentito nominare "25 milioni di dollari". Ripeteva la cifra ma chiaramente non sapeva di che cosa stessimo parlando».
Halevy — capo del Mossad tra il 1998 e il 2002, nell'organizzazione per un trentennio, ambasciatore all'Unione Europea — ha deciso di declassificare i suoi ricordi nel libro
Man in the Shadows (L'uomo delle ombre) e di raccontare le trame, gli omicidi mirati o mancati che i servizi segreti israeliani hanno organizzato negli ultimi quindici anni. Rivelando i dettagli di qualche incidente alla Austin Powers, che ne ridimensionano la fama di inarrestabile meccanismo per uccidere. Come il pasticcio di Amman, quando nel 1997 una squadra di agenti tenta di avvelenare Khaled Mashal, leader di Hamas, e mette in moto un flipper diplomatico che porta lo Stato ebraico sull'orlo della guerra con la Giordania per finire con la liberazione dello sceicco Yassin. «La sua scarcerazione è stata un'idea mia — racconta Halevy —. Quando la proposi ai colleghi, nella stanza scese il silenzio, il premier Benjamin Netanyahu la respinse scandendo che non ci avrebbe dedicato neppure un minuto di riflessione. Il mattino dopo mi convocò e disse di cercare una soluzione secondo la strategia che avevo indicato».
Halevy non ha rimorsi per le tattiche utilizzate e gli ordini dati da capo del Mossad (gli resta qualche rimpianto piuttosto per non essere diventato macchinista di treni, come sognava a Londra da bambino). «Siamo in guerra e in una guerra devi prendere misure drastiche per sconfiggere il nemico». Sa riconoscere le occasioni mancate di dialogo. «Pochi giorni prima della missione contro Mashal, re Hussein di Giordania aveva affidato a un agente del Mossad un messaggio di Hamas per il governo israeliano. Con un'offerta: una tregua di trent'anni. Il re non aveva ricevuto nessuna risposta e il tentativo di assassinio — come poi mi ha raccontato, eravamo in confidenza — gli era sembrato ancora più assurdo. Solo più tardi si scoprì che al messaggio non era stata data alcuna priorità e seguendo la routine burocratica era arrivato al primo ministro Netanyahu quando l'operazione era già conclusa». Episodi come questo e una vita dentro al Mossad hanno insegnato ad Halevy che l'Occidente prima o poi dovrà trattare con il movimento fondamentalista. «Hamas e l'Hezbollah sono esempi del tipo di partner che le società libere potrebbero essere costrette ad accettare, se vuol vincere la guerra al terrore e ad Al Qaeda. Non sono due opzioni ideali, ma non c'è mai una situazione perfetta. Si potrebbero creare le condizioni per cui i due gruppi giocheranno un ruolo nell'affrontare la minaccia dall'interno del mondo musulmano».
Nell'autobiografia, l'ex capo dell'intelligence lascia filtrare retroscena quasi comici. Londra, gennaio 1991, supervertice segreto tra Yitzhak Shamir e re Hussein. Sul tavolo delle trattative, c'è il ruolo della Giordania nella prima guerra del Golfo, il suo appoggio a Saddam, l'uso dello spazio aereo per eventuali ritorsioni israeliane contro i lanci di missili Scud dall'Iraq.
È venerdì, il sole sta per tramontare e due dei consiglieri più vicini a Shamir, religiosi ultraortodossi, si rifiutano di prendere appunti per non dissacrare lo Shabbat. «Immagino sarà stato molto bizzarro per i giordani assistere al dibattito. Io sostenevo che secondo la legge ebraica le regole possono essere infrante per questioni di vita o di morte, come quelle che stavamo discutendo. I due assistenti minacciavano di lasciare la stanza. Alla fine anche la soluzione è stata tipica: il primo ministro mi chiese di prendere appunti. Clandestinamente».

Segue, sempre di D.Frattini:

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Si lanciano messaggi a distanza, attraverso i giornali. Abu Mazen fa sapere a Ehud Olmert, parlando con un gruppo di giornalisti britannici, che il suo piano di ritiro unilaterale dalla Cisgiordania non fa altro che porre le basi per una nuova guerra: «Fra dieci anni i nostri figli vedranno che è una soluzione ingiusta e ricominceranno la lotta». Il primo ministro israeliano spiega al
Washington Post di non considerare più il presidente palestinese un interlocutore per il dialogo: «Ha perso la sua autorità con l'arrivo di Hamas al potere. E' con loro che dovremmo parlare, ma non è possibile fino a quando non accettano le condizioni poste dalla road map e dal Quartetto: riconoscimento di Israele, rinuncia alla violenza, approvazione degli accordi precedenti firmati dall'Autorità palestinese».
Dopo la decisione americana ed europea di sospendere gli aiuti, il primo ministro Ismail Haniyeh ha risposto che «Hamas e il governo palestinese non possono rinunciare ai loro principi. L'Occidente si deve rendere conto che la nostra vittoria alle elezioni ha segnato un punto di svolta nel conflitto. Non cederemo ai ricatti». Gli israeliani hanno alzato la pressione militare con tre omicidi mirati in meno di 24 ore: dopo quello di venerdì sera (6 morti, tra cui un bimbo di cinque anni), ieri l'esercito ha ucciso con un missile due estremisti delle Brigate Al Aqsa che stavano ritornando in auto da un campo di lancio utilizzato per i razzi Qassam e nella notte altri sei militanti in una zona d'addestramento. L'ala militare di Hamas, che fino ad ora ha rispettato la tregua dichiarata nel febbraio 2005 dalle fazioni, ha minacciato rappresaglie per gli attacchi: «I prossimi giorni dimostreranno che siamo in grado di mantenere le nostre promesse».

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