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La Stampa Rassegna Stampa
08.04.2006 La tattica di Hamas, conciliante in inglese, guerra continua in arabo
L'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 08 aprile 2006
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La strana babele del premier Haniyeh, dire e poi smentire»

La UE sospende, attenzione sospende, non blocca definitivamente, gli aiuti economici all'Autorità palestinese, aiuti che verrebbero gestiti da Hamas, che anche al governo, continua ad essere classificato come movimento terrorista. Lunedì prossimo ci sara una decisione (pare) definitiva. Anche dagli USA stessa decisione, con una precisazione: gli aiuti, 240 milioni di $, andranno su progetti umanitari, e saranno pure aumentati. Ad Hamas, direttamente, nulla. Vedremo. Per intanto ecco dalla STAMPA di oggi, 8.4.06, l'analisi di Fiamma Nirenstein sul doppio linguaggio di Ismail Haniyeh, che continua la politica di Yasser Arafat. Conciliante quando si esprime in inglese, guerra continua quando parla in arabo.

Ecco l'articolo:

«Questa poi non è vera! Dove l'avete sentita?» ha risposto ieri Ismail Haniyeh ai giornalisti che chiedevano se Hamas, come dicono alcuni rappresentanti del suo governo, è disponibile alla soluzione «due stati per due popoli», e che la proposta sarebbe stata presentata al presidente Abu Mazen dal ministro degli Esteri Mahmoud Zahar. Hamas cerca la strada di qualificarsi per i fondi e il riconoscimento occidentali senza rinunciare alla sua linea. Usa il doppio registro dell’arabo e dell’inglese, mette ogni giorno in scena un nuovo teatro di dichiarazioni e smentite. Da quando il governo è in carica lo sforzo si è intensificato: un governo dichiaratamente jihadista sa che da una parte deve mantenere il consenso col messaggio della conquista totale di Israele all’Islam, ma che nel frattempo deve evitare la fame.
Così, il primo ministro Haniyeh, che per segnalare la svolta moralizzatrice di Hamas dopo la corruzione di Fatah, ha deciso il blocco degli stipendi dei parlamentari, ha dichiarato alla Cbs (in inglese) che non avrebbe mai mandato suo figlio a immolarsi come terrorista suicida e che non gli passa per la mente di spedire nessuno a compire azioni di questo tipo. Ora, a parte che è stato per molti anni braccio destro dello sceicco Yassin, inventore e stratega spirituale dello shahidismo, il giorno dopo la sua dichiarazione venivano diffuse da Hamas (in arabo) smentite e spiegazioni.
Haniyeh, appena eletto, aveva detto che qualsiasi fosse l’atteggiamento europeo e americano, i palestinesi avrebbero trovato fondi alternativi. I toni baldanzosi, il rifiuto di condannare la lotta armata ribadito dalla decisione di non prendere nessuna misura contro la «resistenza» e non riconoscere Israele, oggi marciano in parallelo con dichiarazioni più morbide: «Non impediremo contatti fra ufficiali palestinesi e israeliani per gli affari correnti», ha detto dopo l’insediamento. Il più audace è il ministro degli Esteri Mahmoud Zahar, un leader molto duro, implicato in parecchi attentati. Dopo aver ripetuto senza risparmio che Israele deve essere distrutto, domenica scorsa parlando con l’agenzia cinese Xinhua ha ripetuto: «Sogno di appendere sul muro della mia casa una enorme mappa del mondo in cui Israele non compaia. Il nostro stato sarà stabilito su tutta la Palestina storica». Due giorni dopo ha scritto a Kofi Annan chiedendo di liberare i fondi per i palestinesi, e insistendo sulla necessità di lavorare insieme al Quartetto per frenare le «azioni criminose di Israele», che diminuiscono le possibilità di raggiungere una «soluzione per due stati». Aggiungendo che i palestinesi vogliono vivere in pace con i loro vicini.
La reazione a questa uscita è stata di grande accoglienza: un implicito riconoscimento di Israele, è stato detto. La mattina dopo i commentatori palestinesi spiegavano alla radio israeliana che non era certo quello che Zahar intendeva, che i vicini dei palestinesi sono tanti e Israele è l’unico che per Hamas non esiste. Dopo la delusione ieri, tuttavia, in inglese, Zahar ha detto al «Times» che il suo governo è pronto a proporre un referendum per sapere se i palestinesi vogliono discutere la soluzione dei due stati. Però solo dopo che Israele abbia detto cosa è pronto a dare in cambio. Nella stessa giornata, in arabo, Zahar ha detto a Al Arabya che è perfettamente legittimo proseguire con gli attentati.
Dunque, sia Haniyeh che Zahar giocano con i no e con i sì. Quello che sembrano cercare è una tregua che consenta loro di stabilizzarsi, riaprire i rubinetti dei fondi e pagare i 140 mila stipendi statali in una situazione di aperto scontro con Fatah. E preparare, dicono gli esperti, un esercito ben armato praticando il nuovo asse di amicizia islamista (con Hezbollah, Iran, Siria) e importando armi e uomini dal confine di Gaza con l’Egitto. Una cateratta da cui entrano a valanga, dice il residente della Commissione difesa della Knesset, Yuval Diskin, armi leggere e pesanti, oltre a uomini ben allenati. Anche Al Qaeda (di cui ieri è stato arrestato un infiltrato nella West Bank) ha ormai una presenza comprovata. In proprio, Hamas non ha più compiuto attacchi terroristi da molto tempo; ma le Brigate di Al Aqsa e la Jihad Islamica, ora mosse anche da motivi di concorrenza e di conquista del consenso popolare, creano una situazione di allarme costante (anche ieri alcuni missili Kassam sono arrivati nel centro di Sderot e al kibbutz di Karmiya, a Sud d Ashkelon) e i terroristi bloccati con le cinture esplosive si contano a decine. Hamas ha cercato sottobanco contatti nei giorni scorsi chiedendo «quiete in cambio di quiete» e gli egiziani hanno di nuovo portato il messaggio a Israele. Ma gli esperti non vedono per ora segni che questo possa servire ad altro che a guadagnare tempo e preparare una nuova offensiva. Si dice che per questo Hamas potrebbe anche dichiarare un cessate il fuoco unilaterale. Ma Khaled Mashaal, nonostante tutte queste complicazioni, dice sempre la verità: «È finito per Israele il tempo delle guerre facili, in cui gli arabi erano divisi. Adesso è tempo della guerra di liberazione della nostra terra e tutti i combattenti islamici sono felici di morire per la più santa delle cause».

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