domenica 24 novembre 2024
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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Sami Michael Una tromba nello uadi
Una tromba nello uadi  –  Sami Michael
Edizioni Giuntina

Un vecchio egiziano dagli occhi verdi, finito chissà come in un ghetto
arabo di Haifa, in Israele. Il suo disincanto ha dilavato ormai ogni
rancore, ed è divenuto antico, come il profilo del mare che respira davanti
alla città. Ancora vigoroso nonostante i suoi ottant’ani, nonno Elias
accoglie il lettore alla prima pagina, con uno spunto di saggezza minimale
che lascia indovinare la nota dominante del libro: “Le piccole seccature
sono un dono divino per i disgraziati”.
Il romanzo “Una tromba nello uadi” di Sami Michael è una cronaca di
sconfitti, scritta col tono lieve di un divertissement. Gli eventi davvero
tragici sono pochi, eppure il succedersi di piccole crudeltà, disegnate in
punta di penna, trasmette un senso generale d’ingiustizia e rammarico.
Certo è che i protagonisti vivono con impegno il loro destino di vinti, lo
combattono con energia, e con altrettanta energia si fanno reciprocamente
male e, talvolta, bene.
Michael è scrittore ebreo di origine irachena, nato a Baghdad nel 1926.
All’ambiente della sua giovinezza deve la capacità d’immedesimarsi in
un’opera quasi impossibile, ovvero nella resa delle frustrazioni e delle
speranze di una famiglia araba. Accanto al nonno Elias si affaccenda la
nuora, una vedova sfiorita, chiusa nel rimpianto di una passata prosperità,
che la nascita dello Stato di Israele ha sbriciolato. Poi le due nipoti,
attratte dalla moderna libertà sociale, eppure incapaci di sottrarsi alla
stretta della tradizione. Da una parte il mondo degli israeliani, ostile ma
pur allettante, dall’altra i tenaci vincoli tribali, e i villaggi
palestinesi in cui rifugiarsi, per poi volerne fuggire il prima possibile.
Per le ragazze, il rituale millenario del matrimonio è scopo di vita e
assieme suggello di una condizione succube. “Gli sposalizi stipulati
all’antica sono come una battaglia” si ripete Mary, la sorella più
avvenente e corteggiata.Ed è forse per questo che molti passi del libro
hanno il piglio di un torneo, cavalleresco e violento.
Un immigrato russo, miope e muscoloso, impacciato di parole ma forte di una
sua ostinazione, riesce a sconvolgere la trama di fatale infelicità del
microcosmo arabo di Haifa. Alex è approdato controvoglia in uno Stato
ebraico che lo tratta con sufficienza. La sua figura silenziosa e un poco
opaca fa risaltare l’inquietudine di Huda, ragazza bruttina, che sarebbe
destinata a restare zitella, ma che di lui s’innamora. Per una curiosa
ironia artistica, allo scrittore israeliano riesce forse più difficile dare
rilievo alla malinconia nordica di Alex che non alla vitalità della giovane
araba, che trascolora continuamente di gioia in tristezza.
La passione ricambiata pare a molti un pericoloso sconfinamento tra le
barriere dell’odio politico. Tuttavia, nelle pieghe del quotidiano
esisterebbe forse la possibilità di comprendersi, sennonché – come
ammonisce nonno Elias – “Satana riesce a far aceto marcio del vino dolce di
Dio”.
Sami Michael non ha voluto interpretare l’epos collettivo d’Israele, ma
piuttosto si è spostato ai margini di una storia ebraica e araba condivisa
nell’amarezza, per trarne linfa espressiva. Tra la facilità dello stile e
la serietà delle intenzioni si avverte talvolta una certa tensione
sperimentale. Se non fosse per la prosa disinvolta, che mette al riparo da
qualsiasi intemperanza ideologica, verrebbe da evocare, con un po’ di
nostalgia, la vecchia definizione di “letteratura impegnata”.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore

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