Leggendo la cronaca di Vittorio Dell'Uva pubblicata dal MATTINO di mercoledì 30 marzo 2006 sembra che al giornalista pesi oltremodo constatare il successo della politica di Sharon, e che cerchi in qualche modo di sminuire la vittoria di Kadima. Infine, dopo Sharon, dopo Netanyahu, il nuovo mostro è il leader di Israel Beitenu Avigdor Lieberman, il “Le Pen di Tel Aviv”, che in realtà vuole solo lasciare al futuro stato palestinese territori nei quali la maggioranza della popolazione é araba . Ecco il testo:
Gerusalemme. Su un rotolino di carta tra le pietre del Muro del Pianto è custodito l'impegno di Ehud Olmert a provare a costruire la pace. Si invoca la protezione per «fratelli ed amici». Viene chiusa per sempre la stagione del sogno della «Grande Israele». Il leader di Kadima è andato a depositarlo nel cuore della notte, quando era ormai chiaro che sarebbe stato chiamato a guidare il Paese, sia pure assieme ad una compagnia variegata e ideologicamente composita. Al nuovo ciclo storico, che con il risultato elettorale di ieri si apre, ha voluto approdare accentuando attraverso un atto solenne la sua metamorfosi segnata anche da appelli politici. «Andiamo al negoziato, troviamo al più presto un compromesso. È tempo di fare la pace. Altrimenti dovremo prendere, noi più forti, il destino nelle nostre mani», dice nel primo messaggio inviato ai palestinesi. Anni fa Ehud Olmert si era guadagnato applausi e galloni per l'intransigente atteggiamento anti-arabo. Nelle urne, la «dottrina Sharon» sul disimpegno in una larga parte della Cisgiordania, di cui il futuro premier è erede, non è stata approvata con slanci particolarmente emotivi, stando alla ripartizione ufficiale dei seggi. Ma non è soltanto ai numeri che bisogna affidarsi. Il nucleo centrale del centrosinistra formato dai 28 parlamentari ottenuti da Kadima e dai 20 laburisti, si è subito trasformato in un polo di attrazione per altre formazioni politiche che non sono attestate sulla linea del rifiuto nei confronti dei palestinesi. Daranno l'apporto i pacifisti di Meretz, la cui pattuglia parlamentare non ha superato quota quattro. C'è la «riserva» dei 10 deputati delle formazioni degli arabi-israeliani. Altri partiti di ben maggiore consistenza aspettano soltanto di avviare trattative al più presto possibile. Dalla Knesset, Ehud Olmert sta per ottenere una forza che non gli è arrivata direttamente dall'elettorato. Almeno due terzi del parlamento sono orientati a sostenere, per convinzione o per calcolo, la sua politica del disimpegno territoriale sia pure con qualche distinguo sulla scelta dell'unilateralismo in caso di mancato accordo con i palestinesi. Alla destra del Likud, finita con 11 seggi in quinta posizione, non resta che leccarsi le ferite. Quella «russa» di Yisrael Beiteinu, premiata con 12 parlamentari per il suo populismo anti-arabo, dovrebbe essere confinata in un angolo quali che siano le speranze di «ripescaggio» al potere del suo leader Lieberman. Certo la ragnatela del consenso è tutta da costruire. Ma le premesse non mancano. Il partito religioso Shas, ottenuti 12 seggi, ha gettato le richieste sul tavolo appena Olmert ha indicato che lo vorrebbe come alleato. Ha lo sguardo rivolto al sociale e soprattutto alla platea di fedeli. Alla richiesta di più aiuti per gli handicappati si accompagna quella di finanziamenti per le scuole rabbiniche e la costruzione di nuove sinagoghe. È un clichè che viene riproposto dallo Shas alla vigilia di ogni governo. Altri movimenti religiosi sono fortemente orientati a imitarlo. Secondo tradizione, non dovrebbero esserci ostacoli per trovare un’intesa globale dalla quale vengano esclusi soltanto i movimenti guidati dai rabbini che vorrebbero tutta per loro la Terrasanta e la sua periferia. Olmert può guardare con qualche fiducia anche al neonato partito dei «pensionati», che mai avrebbe pensato di vedere 7 suoi rappresentanti alla Knesset. Ha intercettato il voto di protesta e si è schierato in difesa dei più deboli. Molto appare in linea con il programma di Amir Peretz, il leader dei laburisti che già è pronto a richiedere ministeri «pesanti» per spostare quanto più possibile a sinistra l'asse della politica di Israele. I lavori per una alleanza di governo, con il suo leader Eitan, sono già stati appaltati. C'è tempo fino alla prima settimana di Pasqua per assemblare un nuovo governo, riducendo al minimo il danno che potrebbe derivare da veti incrociati. Ma anche per recuperare qualche «vecchio compagno di strada che sbaglia». Una sottile offensiva sta investendo in queste ore il Likud, fratumato dalla nascita di Kadima, al cui interno la sconfitta è vissuta come l'inizio della dissoluzione. Le prime richieste di dimissioni, che hanno salutato Benjamin Netanyhau quando ha annunciato che nonostante tutto vuole rimanere alla guida del partito, potrebbero essere indicative della voglia di qualche esponente conservatore di rilievo di trasferirsi nella nuova casa che aveva eretto Sharon
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