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La Stampa Rassegna Stampa
29.03.2006 Israele ha detto sì a futuri disimpegni
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 29 marzo 2006
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Né pacifismo né occupazione»

La cronaca di Fiamma Nirenstein sulle elezioni israeliane da La  STAMPA di mercoledì 29 marzo 2006:

 DUNQUE, Israele ieri ha votato per lo sgombero di gran parte del West Bank. Quello che a tutti è apparso come un referendum a favore di questa scelta, è stato vinto, sia pure senza l’affermazione personale di Ehud Olmert, dal successore di Ariel Sharon. La tragica presenza-assenza del fondatore di Kadima ha tuttavia costituito il principale faro puntato sul futuro israeliano. La sinistra si è confermata come una forza senza la quale è impensabile formare un governo. Il Likud ha subito un autentico crollo, e Netanyahu probabilmente conclude qui la sua carriera politica. Cresce invece un partito di destra dal programma improbabile, quello di Avigdor Lieberman.
L’assenteismo senza precedenti che ha caratterizzato la giornata di ieri si deve all’immenso peso che si è posato sulle spalle del votante israeliano, col cambiamento totale della geografia politica, con la giostra dei nomi. Ma all’improvviso svanire nel nulla di Sharon, alla vittoria di Hamas e, in genere, all’impossibilità di rifarsi a una tradizione partitica, a uno stile, a dei volti amati, alla divisione classica fra i campi della pace e della guerra che sono totalmente svaniti insieme alle figure storiche di maggior rilievo, l’elettorato ha risposto predisponendosi a un drammatico gesto di fiducia nella vita.
A pensarci, la frattura interna dello sgombero da Gaza, il successivo incendio delle sinagoghe, la vittoria di Hamas, la pioggia dei kassam, avrebbero potuto pesare in direzione contraria a quella del voto per un’ulteriore abbandono dei territori. La paura che Hamas crei un Hamastan armato fino ai denti, rampa di lancio di nuovi attentati avrebbe potuto essere decisiva.
«Mi uccide», la giovane ministra degli Esteri Tzipi Livni si stringe nelle spalle allontanandosi dall’urna in cui ha deposto la sua scheda, «pensare che Sharon non veda questo giorno. Pensare che è là in quel letto, che è con noi, ma non sa che cosa succede».
Quanto peso, che responsabilità ieri mattina nell’aria freddina e vagamente ostile (179 avvertimenti di attacchi terroristici, un mare di poliziotti ai seggi) di Gerusalemme sulla poca gente che la mattina presto si avviava alle urne. Quale giravolta mentale è toccato fare a chi ha deciso di mettere il segno sulla scheda che ha portato a una vittoria molto più debole e incerta del previsto di Kadima, un partito nuovo, mai visto prima, fondato da pochi mesi, da un leader in coma profondo. Una cosa era chiara si trattava di decidere una volta per tutte se parte dei Territori deve essere abbandonata per sempre. Se questo porterà alla pace o a una guerra sempre più dura. E senza il papà che decide per tutti. Si capisce che invece di affrontare il tormento parte del pubblico abbia deciso di restarsene a casa, ostentando un’indifferenza psicanalitica. Lo sgombero da Gaza e le sue infinite lacrime; la vittoria di Hamas, con il suo respiro d’odio, e il declino di Abu Mazen, le minacce, mai sentite prima, di Ahmadinejad e degli Hezbollah; la subitanea sparizione di Sharon l’uomo che aveva catturato la fiducia e l’affetto di tre quarti degli israeliani; il passaggio di Peres a Kadima e la conquista del potere nel partito laburista da parte di un sindacalista, Amir Peretz; la scomparsa dei volti rassicuranti dei padri della patria e della loro ideologia, tutto questo però non ha impedito alla gente di Israele di promuovere sostanzialmente Olmert, a conservare alla sinistra una larga porzione di simpatie così da essere il partner naturale della prossima coalizione; e di segnare la fine politica del Likud e soprattutto del suo leader Benjamin Netanyahu. E inoltre, di dare le ali a un partito come quello dei pensionati, che si è battuto contro la povertà cronica. I voti ai laburisti e ai pensionati mostrano come il sociale sia importante anche quando si deve affrontare una guerra quotidiana.
Si vede nel risultato in parte inaspettato quale labirinto ha percorso il pubblico per scegliere una parte politica che, anche quando porta lo stesso nome, come il Likud o i laburisti di Avodà, è un altro partito, un altro mondo. Poche le facce note, trasmigrati in altre liste i volti familiari, nessuna delle vecchie comode rassicurazioni, e soprattutto nessuna netta divisione fra il partito della pace e quello della lotta senza tregua al terrorismo.
A Gilo, quartiere residenziale nella periferia di Gerusalemme dove entravano dalle finestre le pallotole delle Brigate di Al Aqsa, incontriamo al seggio Helly e il marito Dudi, professionisti cinquantenne che spiegano perché votano Kadima: «Abbiamo trascorso la nostra vita a lottare per la pace. Abbiamo sempre votato per la sinistra. Il passaggio di Peres a Kadima ha dato un’ultima spinta alla nostra fede in Sharon, che odiavamo. Era lui l’uomo che avrebbe realizzato la pace, e ce l’ha dimostrato sgomberando Gaza. Ora ci dobbiamo contentare di Olmert», dice Helly. «non è simpaticissimo, ma per ora ha dimostrato stabilità». «Che dovevamo fare», dice ancora, «abbiamo votato per Rabin, per Peres, passare a Peretz è troppo poco, con tutto il rispetto per un bravo leader. E poi Olmert ha messo insieme la squadra migliore, persone che da una parte sapranno fare la pace, dall’altra difenderci».
Un anziano signore ascolta infastidito: «Voto per il partito dei pensionati, anche se sono preoccupato dalla vittoria di Hamas; ho sempre votato Likud, per Hamas andava bene, ma Netanyahu da ministro del Tesoro ha sbagliato: i suoi tagli hanno danneggiato solo i più deboli».
Una ricciolina che vota per la prima volta preferisce i radicali del Meretz, prova del bisogno di libertà dei giovani e del loro classico e prevedibile pacifismo. Anche Gilad, che stringe al petto la figlia di due mesi, vota Meretz: «Sì, lo so che ci sono i terroristi, ma io penso agli accademici, ai medici, ai lavoratori palestinesi che sono stufi come noi». Un’elegante e anziana dottoressa, Lorelle Blass, la pensa in tutt’altro modo: “Viviamo in uno stato di negazione, Kadima è semplicemente la prosecuzione di un sogno che si è di mostrato fallimentare. Oslo è andato male, lo sgombero di Gaza ha creato solo danni e dolore, e noi proseguiamo col medesimo esperimento. Israele nuota in un mare di problemi che non ha creato, ma che deve fronteggiare, e invece vorrebbe vivere una vita normale. Come se, attraversando la Manica, a metà il nuotatore dicesse: “Non ne ho più voglia”. Guai: potrebbe affogare se non si arma di rinnovata forza».
Molto più semplicemente Sima, una bionda in jeans dice: «Mai più sgomberi, poverini... quelli di Gaza vivono ancora in tende, i giovani si suicidano, non trovano un posto nel mondo». Sima ha votato Netanyahu, ma Olmert - che personalmnete non ha raccolto un grande successo - si avvia alla sua coalizione con la sinistra. Di fatto in Israele nasce oggi, nonostante Hamas, un governo pronto a concessioni territoriali al di là di quello che Sharon, forse, avrebbe voluto.

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