Grazie alla cura Netanyahu l'economia israeliana é in ottima salute la questione della povertà é stata al centro della campagna elettorale di Avoda, ma gli analisti raccomandano di non tornare indietro dalla strada della liberalizzazione
Testata: Il Foglio Data: 28 marzo 2006 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «I laburisti parlano di roccaforti del disagio ma l’economia tira, tira, tira»
Dal FOGLIO di martedì 28 marzo 2006:
Gerusalemme. L’economia israeliana è cresciuta del 5,2 per cento l’anno scorso e le previsioni sono altrettanto floride, assestandosi su una media del 4,5 per cento di crescita negli ultimi quattro anni. La disoccupazione ha toccato, all’inizio del 2006, il suo minimo storico, passando da 10,9 per cento nel 2001 all’attuale 8,8 per cento. Il tasso d’inflazione è pari al 2 per cento. Le riforme liberiste dell’ex ministro delle Finanze, Benjamin Netanyahu, hanno causato più di un problema al governo, con la destra ortodossa – per esempio – inviperita per i tagli ai sussidi familiari, ma allo stesso tempo hanno portato nuovi investimenti dall’estero e la Banca centrale d’Israele ha ufficialmente ringraziato il governo per aver restaurato la situazione economica dopo anni piuttosto complicati. Il settore dell’alta tecnologia è quello che cresce a tassi più elevati. Israele è il secondo paese più in alto – dopo gli Stati Uniti – nella classifica di chi riceve fondi di “venture capital” ed è il secondo al mondo per numero di compagnie start-up. Il mercato del lavoro è stato il più toccato dalle riforme: sono stati tagliati i sussidi di disoccupazione e questo, secondo alcune ricerche macroeconomiche, ha una stretta correlazione con l’aumento della domanda di lavoro. E i valori degli investimenti interni sono cresciuti addirittura del 18 per cento negli ultimi due anni, a dimostrazione della maggior propensione al consumo degli israeliani. Daniel Doron, direttore del Centro israeliano per il progresso economico e sociale, spiega che le condizioni economiche del paese sono state spesso elaborate a seconda delle esigenze di campagna elettorale: “Israele è in una situazione delicata, soltanto tre anni fa era sull’orlo di una crisi che può essere paragonata a quella argentina. Ma le riforme del governo Sharon hanno ribaltato la situazione e ora c’è da vedere se Kadima (il partito del premier, Ehud Olmert, ndr) continuerà sulla stessa strada”. I cambiamenti introdotti da Netanyahu hanno causato molte rivolte, che il leader del Likud ha pagato personalmente nella sua campagna elettorale: tanti privilegi sono stati tagliati, ma – sottolinea Doron – “molti che potevano lavorare sono riusciti a entrare nel mercato del lavoro”. Israele ha dovuto insomma affrontare lo stesso dilemma che attanaglia l’Europa, incamminandosi sulla difficile via della flessibilità. Secondo molti analisti, come Avi Shavit – d’estrazione laburista – ha sottolineato nella sua column su Haaretz durante il weekend, sono d’accordo nel dire che questo percorso di riforme non deve essere ribaltato, altrimenti si rischia di fare passi indietro pericolosi, anche se nei sondaggi le percentuali di chi critica i tagli al welfare e la politica monetaria del governo sono sempre piuttosto alte. Soprattutto la propaganda di Avoda ha contribuito a fare emergere più le cosiddette “roccaforti” del disagio, tanto che lo stesso leader, l’ex sindacalista Amir Peretz, ha puntato gran parte del suo capitale politico sulla povertà e sul welfare. Avishay Braverman, che ha passato molti anni alla Banca mondiale ed è considerato il ministro dell’Economia dei laburisti, spiega al Foglio che Israele “assomiglia sempre più a un paese del terzo mondo” e che è necessario cambiare tutto. Secondo Avoda, è venuto a mancare l’egualitarismo, da sempre denominatore comune dell’economia israeliana, e questo ha portato il “25 per cento della popolazione sotto la soglia della povertà”. Ma le analisi del Fondo monetario internazionale mostrano che il miglioramento della situazione della sicurezza ha portato a un’accelerazione inusuale dei consumi, che farà da traino anche ai livelli più poveri della popolazione.
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