Un editoriale di Angelo Panebianco dalla prima pagina del CORRIERE della SERA di martedì 28 marzo 2006:
Gli occhi del mondo sono puntati sulle elezioni che si tengono oggi in Israele. I pronostici danno vincente Kadima, il partito nato, per volontà di Ariel Sharon, da una scissione del Likud. Se ciò accadrà, la politica israeliana sarà, d'ora in poi, molto diversa da come è stata nei decenni passati. Ehud Olmert, succeduto a Sharon alla testa di Kadima, diventerà premier. Ma saranno decisive le percentuali che otterranno i vari partiti. Solo un successo pieno di Kadima lascerebbe Olmert libero di attuare quella politica di ritiri unilaterali da una parte dei territori palestinesi inaugurata da Sharon con la storica decisione di abbandonare Gaza. In ogni caso, ciò che accadrà oggi in Israele deciderà dei futuri rapporti israeliano-palestinesi in una regione i cui destini condizionano quelli dell' intero pianeta. Tutto il mondo segue quelle elezioni tranne l'Italia. La nostra campagna elettorale sembra non lasciare spazio e tempo ai politici italiani per sollevare lo sguardo fuori dai confini, nemmeno di fronte a eventi così importanti per il nostro stesso futuro come le elezioni israeliane.
È vero che in Italia la politica internazionale non è argomento delle campagne elettorali ma la Palestina è al centro di quasi tutte le potenziali crisi internazionali che ci aspettano e conoscere le posizioni dei nostri partiti su quanto là accade è essenziale per capire qualcosa della politica estera italiana dopo le elezioni. Il problema si pone più in relazione al centrosinistra che al centrodestra. Se rivincesse le elezioni il centrodestra continuerebbe, verosimilmente, a sostenere Israele. Certamente, appoggerebbe anche la politica del nuovo governo israeliano. Ma che farebbe il centrosinistra in caso di vittoria elettorale? Non è un mistero che l'Unione di Romano Prodi è attraversata da forti divisioni interne sulla questione Palestina. Proprio per questo sarebbe importante che i leader dell'Unione si esprimessero chiaramente sulle elezioni israeliane. Fino a ora lo ha fatto solo uno di loro, Francesco Rutelli, in visita il mese scorso in Israele con un messaggio di esplicito sostegno a Kadima. E gli altri? Sappiamo, ad esempio, che Massimo D'Alema ha posizioni più critiche nei confronti di Israele rispetto a quelle di Rutelli o dello stesso Piero Fassino.
Forse il candidato premier, Romano Prodi, dovrebbe indicare, se c'è, il «punto di equilibrio» all'interno della sua coalizione, permettendoci così di capire qualcosa sulla politica che l'Unione farà, in caso di vittoria, nei confronti di Israele. Su due temi, soprattutto, occorrerebbe un chiarimento. Posto che la vittoria di Hamas ha reso impossibile, ora e per un futuro indefinito, la ripresa di trattative di pace dirette fra israeliani e palestinesi (come conferma in queste ore la stessa Hamas, dichiarandosi disponibile al dialogo con le potenze del cosiddetto «Quartetto» ma non con Israele), che altro resta a Israele per garantire la propria sicurezza, se non una politica di ritiri unilaterali e una chiusura in difesa? Non deve il mondo, e anche l'Italia, appoggiare questa linea essendo oggi l'unica realisticamente praticabile? E, per quanto riguarda Hamas, con un governo di centrosinistra l'Italia manterrà ferma la posizione che, insieme al resto dell'Europa, aveva inizialmente assunto: nessun aiuto e nessun appoggio se Hamas non riconoscerà prima Israele e rinuncerà alla lotta armata? Sarebbe sicuramente utile conoscere, su questi argomenti, il pensiero di Prodi.
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