Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Gli arabi di Israele e l'aviaria due temi affrontati in modo fuorviante
Testata: Corriere della Sera Data: 26 marzo 2006 Pagina: 0 Autore: Lorenzo Cremonesi - Antonio Ferrari Titolo: «E tra gli arabi in Galilea spuntano bandiere di Hamas - L’ultimo nemico dei palestinesi? L’aviaria a Gaza»
Un reportage di Lorenzo Cremonesi sugli arabi-israeliani e sulla crescita in seno alla loro comunità del consenso per l'estremismo islamico pubblicato dal CORRIERE della SERA di domenica 26 marzo 2006 li presenta come una minoranza discriminata in Israele. In realtà la maggioranza degli arabi israeliani vorrebbe mantenere la cittadinanza israeliana anche dopo la nascita di uno Stato palestinese. Come mai ? Forse perché sostanzialmente sono stati integrati e godono di diritti sconosciuti in qualsiasi società araba?Ecco il testo:
NAZARETH - Bandiere verdi di fronte alla Basilica dell’Annunciazione. Con un colpo di mano gli attivisti del movimento islamico sono tornati a presidiare la piazza che conduce a uno dei luoghi santi più importanti per la cristianità in terra di Israele. Hanno approfittato della confusione e le manifestazioni di protesta ai primi di marzo, quando una famiglia di ebrei (nota come un «caso sociale» tra i centri medici locali) aveva fatto irruzione nella Basilica lanciando mortaretti, per abbattere le transenne poste quattro anni fa dalla polizia e riprendersi il luogo dove vorrebbero erigere una moschea. «È il segno dei tempi. Il movimento islamico si sente rafforzato dalla vittoria di Hamas in Cisgiordania e Gaza, e adesso cerca di imporre la sua voce tra gli arabi israeliani», dicono preoccupati i commentatori a Tel Aviv. Una preoccupazione che, a due giorni dal voto, sembra esprimere più evidente che mai una delle tendenze rilevanti tra i 550.000 elettori arabi (il 10% di tutti gli aventi diritto al voto): l’astensione in nome di una nuova identità che si rifà direttamente all’islamizzazione crescente del Medio Oriente. «Non sappiamo ancora quale sarà l’affluenza alle urne tra gli arabi israeliani. Alle elezioni del 2003 il tasso di astensione fu del 38%. Se ora fosse molto alto sarebbe però una tragedia. Gli ebrei vedrebbero sempre di più gli arabi come una quinta colonna nel cuore dello Stato. E gli arabi si sentirebbero ancora più esclusi, come dei paria perseguitati», osserva Elia Rekhess, esperto in materia per l’Università di Tel Aviv. Gli ultimi sondaggi rilevano che oltre il 60% degli ebrei israeliani temono «l’arabizzazione» della Galilea, il fatto che in larghe aree gli arabi abbiano la netta supremazia demografica. E raccoglie consensi la proposta di Avigdor Liebermann, leader del partito degli immigrati dall’ex Urss Israel Beitenu, per cui si potrebbe fare uno scambio territoriale con l’eventuale futuro Stato palestinese: espellere migliaia di arabi israeliani in Cisgiordania e cedere alcune regioni vuote di Israele. Eppure il viaggio tra gli attivisti dei gruppi islamici in Galilea non fa che confermare queste tendenze. «Questa volta l’astensione potrebbe sfiorare il 50%. E ciò perché gli arabi in Israele non ne possono più di essere presi in giro. Al momento abbiamo 12 deputati arabi sui 120 complessivi al Parlamento: 8 per i tre partiti arabi (la Lista Unita più islamica, oltre ai due di sinistra Balad e Hadash), gli altri in quelli sionisti. Ma cosa hanno fatto per migliorare la nostra situazione? Nulla. Le nostre municipalità continuano a ricevere meno fondi di quelle ebraiche, noi siamo comunque considerati cittadini di serie B, se non addirittura nemici potenziali dello Stato», sostiene lo sceicco Kamal Khataeb, 44 anni, numero due del movimento islamico. La sua biografia è quella di larga parte della nuova classe dirigente in Galilea. Ex comunista (il leader del Partito Islamico, che invece partecipa alle elezioni, Abdel Malek Dahamsheh, fu in carcere dal 1971 al 1978 per aver militato nel Fatah), nel 1975 si recò a studiare all’università di Nablus, in Cisgiordania, dove conobbe tutti gli attuali leader e mentori spirituali di Hamas. Come lui, Dahamsheh negli anni Ottanta e Novanta fu persino l’avvocato personale di Ahmad Yassin, il capo politico di Hamas assassinato da Israele due anni fa. Racconta Khataeb: «Per noi arabi israeliani l’unificazione con la nostra gente di Cisgiordania e Gaza dopo la vittoria israeliana del 1967 rappresentò la riscoperta della nostra vera identità collettiva. Non eravamo nulla e ritrovammo l’Islam. Ecco perché oggi Hamas non può che rafforzarci».
Un articolo di Antonio Ferrari sull'aviaria a Gaza é presentato da una titolazione scorretta (L’ultimo nemico dei palestinesi? L’aviaria a Gaza Due milioni di polli potrebbero essere abbattuti, aggravando la crisi umanitaria nella Striscia) che enfatizza una crisi umanitaria che al momento non c'é e per evitare la quale Israele é disponibile a prendere le contromisure necessarie. Le prime righe del testo traggono dalla vicenda la discutibile morale per la qualeisraeliani e palestienesi sarebbero obbligati alla collaborazione. Proprio l'uso terroristico (sebbene solo a livello di minacce) che subito, da parte palestinese, é stato fatto persino dell'aviaria, invece, dimostra che al momento non c'è alternativa alla separazione tra i due popoli.
GERUSALEMME - Sembra davvero la materializzazione di un disegno superiore, o forse di una condanna ineluttabile: israeliani e palestinesi devono imparare a vivere insieme. La loro interdipendenza è assoluta: più forte di odi, guerre, attentati e rappresaglie. Muri e barriere, pur comprensibili per contenere la violenza, nulla possono contro le regole (o le deviazioni) della natura. È infatti un durissimo attacco dell’influenza aviaria a obbligare due popoli riluttanti a tendersi la mano. Il virus H5N1 ha infatti raggiunto Gaza, e potrebbe persino rendersi necessaria l’eliminazione di due milioni e mezzo di esseri viventi. Praticamente tutto il pollame della Striscia. Un drastico provvedimento per evitare che la contaminazione si estenda agli uomini. All’ufficio di Gerusalemme dell’Organizzazione mondiale della sanità è giunta, via e-mail, una sgradevole vignetta. Ritrae un attentatore che porta, appesi alla cintura, non i candelotti d’esplosivo ma cinque pennuti sconvolti dal male e pronti a colpire. Sopra la caricatura, un sinistro messaggio: «Latest terrorist threat », l’ultima minaccia terroristica. È proprio questo pericolo ad aver turbato gli ultimi giorni della campagna elettorale israeliana, dominata dalla certezza su chi vincerà (Ehud Olmert e la sua Kadima); dalla nostalgia per il condottiero perduto che sopravvive, in stato vegetativo, da due mesi e mezzo (Ariel Sharon); dalla disaffezione dei giovanissimi (quasi il 50 per cento, dicono i sondaggi, diserterà le urne); dal timore che Hamas possa gestire l’immediato futuro dell’Anp; dal disincanto e dalla noia. Noia svanita nelle ultime ore con un allarme che spaventa, nel più assoluto rispetto della par condicio, sia i palestinesi sia gli israeliani. A Gaza, che da agosto è praticamente ingovernabile, l’aviaria ha moltiplicato le tensioni, alimentando l’incubo della fame. Perché, dopo la scoperta dei focolai contaminati, già da due giorni si dovevano uccidere almeno 600.000 polli e non è stato fatto; perché gli agricoltori di 1.191 fattorie e i 1.478 allevatori da cortile si rifiutano di abbattere gli animali, pronti a difenderli con i kalashnikov, almeno fino a quando non verranno compensati per la perdita (circa 5 dollari a capo); perché le carni bianche rappresentano il 20-25 per cento dell’alimentazione nella Striscia; perché non ci sono i soldi per tamponare immediatamente l’emergenza, visto che la comunità internazionale rifiuta di trattare con il governo di Hamas. Il pollo è diventato, in poche ore, un convincente strumento di pressione politica. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas, che minaccia di sciogliere il governo di Hamas se quest’ultimo non riconoscerà Israele, ha telefonato al presidente della Banca Mondiale, per chiedere aiuto. Il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, ha chiamato il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, che a sua volta ha parlato con il vertice ginevrino dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’immediata gestione della crisi è in gran parte sulle spalle del capo dell’Oms per la Cisgiordania e Gaza, l’italiano Ambrogio Manenti. Ieri mattina, nel suo ufficio di Gerusalemme, collegato in teleconferenza con Gaza, il medico chiedeva ai collaboratori di visitare i focolai e di accertare se sia cominciata l’eliminazione degli animali infetti: «Non c’è tempo da perdere. C’è assoluto bisogno di 15 milioni di dollari per affrontare quest’emergenza». In una conversazione telefonica con il segretario di Stato Condi Rice, il ministro israeliano Livni ha promesso che i passaggi verso la Striscia saranno facilitati «per ragioni umanitarie». L’allarme si estende ormai a quasi tutta la regione. Giordania ed Egitto sono già state raggiunte dal virus. Senza dimenticare che la scorsa settimana, nello stesso Israele, sono stati abbattuti 1.100.000 capi infetti. L’H5N1 non conosce ostacoli e non rispetta nulla: né la disperazione di Gaza, né la vigilia elettorale .