Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
La povertà al centro della campagna elettorale dei laburisti israeliani la cronaca di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera Data: 26 marzo 2006 Pagina: 0 Autore: Davide Frattini Titolo: «Peretz rompe il tabù: «Troppi poveri in Israele»»
Dal CORRIERE della SERA di domenica 26 marzo 2006:
GERUSALEMME - «Non chiamatela fame». Tre anni fa Ariel Sharon si era arrabbiato con le organizzazioni caritatevoli americane che sbandieravano i nuovi poveri israeliani per raccogliere fondi. Quel 22% di famiglie malnutrite, citato in un rapporto di Washington e rilanciato in un dépliant fatto girare fra i donatori, «offre un immagine distorta e indebolisce il Paese», aveva commentato il premier. E i suoi ministri avevano votato un documento per condannare «una manovra che mette in pericolo la sicurezza nazionale». Oggi che i poveri non sono diminuiti (il 25% degli israeliani vive sotto la soglia fissata a 7,6 euro al giorno per persona) e che Amir Peretz guida il partito laburista, la parola fame non è più un tabù. Per l’ex leader del sindacato Histradut è lo slogan della campagna elettorale, la linea rossa che non intende superare se dovesse partecipare a una coalizione di governo dopo il voto di martedì prossimo. Per il premier ad interim Ehud Olmert è stato il primo problema da affrontare, quando è diventato anche ministro delle Finanze, al posto di Benjamin Netanyahu. «Il Labour sembra aver capito che i divari crescenti nella società israeliana - spiega Gabriel Sheffer, professore di Scienze politiche all’Università ebraica di Gerusalemme - andavano messi al centro del suo messaggio». O come Peretz ha raccontato in una lunga intervista a Nahum Barnea su Yedioth Ahronoth «per la prima volta siamo un partito socialdemocratico, perché vogliamo ribaltare un paradosso: gli operai sono laburisti tutto l’anno, tranne il giorno in cui votano per il Likud; gli industriali come Dov Lautman sono likudnik sempre, tranne quando scelgono la sinistra». Questo volta Lautman ha già scelto il centro e Kadima di Olmert, forse spaventato dalle promesse di Peretz: raddoppiare il reddito minimo garantito (fino a 930 euro), pensione per tutti, allargare la copertura sanitaria. In realtà nei cinque mesi dalla vittoria alle primarie nel partito, il leader laburista ha ridotto gli obiettivi rivoluzionari e i baffi che facevano troppo Stalin. Nella sua squadra è entrato Avishai Braverman, un economista che è stato alla Banca Mondiale e che potrebbe diventare il prossimo ministro delle Finanze, se il Labour dovesse superare i ventuno seggi e poter pesare nella trattativa per la formazione del governo con Kadima, che di seggi sembra destinato a vincerne 37. «Tutti capiscono l’importanza di mantenere un’economia dinamica - ha spiegato Yaakov Fisher della società di consulenza I-Biz al Financial Times -. E’ la lezione impartita da Netanyahu, anche se adesso gli viene attribuita ogni colpa». Da ministro delle Finanze fino all’agosto del 2005, il capo del Likud ha garantito una crescita consecutiva del Prodotto interno lordo attorno al 4%, inflazione bassa, tassi di interesse stabili, un calo nella disoccupazione. Ma le privatizzazioni e i tagli alla spesa pubblica hanno aumentato la povertà in un Paese che fin dalla fondazione è stato costruito attorno a un’etica egalitaria. «Ha fatto a Israele quello che la Thatcher ha fatto alla Gran Bretagna», ripete Peretz. Che parla di una cospirazione per fermare le riforme: «Gruppi contrari alle mie iniziative sociali mi attaccano perché non so l’inglese, perché non sarei in grado di trattare questioni diplomatiche. Shimon Peres, da quando è passato con Kadima, mi paragona a Lenin. Ma non si è mai visto un Lenin marocchino». Israele non aveva mai visto neppure un marocchino alla guida dei laburisti, che per tradizione raccolgono voti tra l’élite ashkenazita (gli ebrei provenienti dall’Europa). E’ anche la prima volta che un mizrahi (di origine nordafricana) corre per la poltrona di primo ministro. Con lui al comando la sinistra era convinta di poter conquistare gli abitanti di quelle roccaforti del disagio e del Likud che sono città come Sderot, schiacciata tra il deserto del Negev e la Striscia di Gaza, di cui Peretz è stato sindaco. Ma il Labour è fermo nei sondaggi a ventuno seggi, perché se qualche nuovo elettore è stato espugnato, altrettanti veterani se ne sono andati verso Kadima: infastiditi dalle prime uscite del nuovo boss, dal suo «socialismo vecchia scuola», dalla risata rintronante. «Peretz ha fatto emergere - spiega Shlomo Ben-Ami, ex ministro degli Esteri laburista, anche lui di origine marocchina - la frattura etnica che è sempre stata presente. Ma non si può accusare solo il razzismo, quando si presenta un candidato che non risponde ai requisiti essenziali». Lo show satirico Eretz Nehederet (Un Paese meraviglioso) ne ha fatto una specie di pagliaccio dalle camicie assurde e dall’accento incomprensibile. «Quando è stato nominato leader del Labour - ha commentato sarcastico Amnon Levy su Yedioth - la nazione era così imbarazzata che per la campagna elettorale hanno dovuto richiamare dal suo kibbutz Lova Eliav, un uomo con ottant’anni di esperienza ashkenazita alle spalle. Il marocchino andava purificato». Cliccare sullink sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera