Dal CORRIERE della SERA di venerdì 24 marzo 2006:
Entriamo nel XXI secolo con l'innocenza attribuita a torto ai bambini e con un candore perdonabile solo negli analfabeti.
L'Europa occidentale si ostina a seguire la moda del «post», pensa che le grandi catastrofi siano alle sue spalle. Ritiene che sia male dire male del male (già Machiavelli si faceva beffe di un simile irenismo) e che solo un ritardato — evidentemente americano — possa credere a un fanatismo politico-religioso, o nazionalista, o razzista, che prende di mira la civiltà nel suo insieme.
L'unica minaccia si troverebbe dunque in coloro che credono alle minacce. «Niente panico!», hanno proclamato le autorità sicure di sé, mentre nel cuore d'Europa, per dieci anni, Milosevic massacrava e purificava etnicamente. Al diavolo l'emozione! Bisogna mantenere salda la ragione, aggiunsero impavidi quando le Twin Towers crollavano sui loro abitanti. Il genocidio dei Tutsi del Ruanda, le ecatombe della Cecenia da dodici anni a questa parte, e del Darfour da tre anni ci lasciano di ghiaccio. Stai zitto, tieni la bocca chiusa, l'importante per gli importanti è di saper chiudere gli occhi. Arriva l'uomo della sabbia: è ora di andare a dormire, buona notte bambini.
I sonni della ragione emancipano i mostri. Mentre noi ci immergiamo in una post-storia tranquilla, altri dietro la porta ci preparano risvegli fragorosi. La Troika europea (Gran Bretagna, Francia, Germania) è stata presa in giro dai negoziatori di Teheran per tre anni, il tempo di accelerare i preparativi appena dissimulati della «Bomba» iraniana. Il tardivo ricorso al Consiglio di Sicurezza, le tergiversazioni prevedibili delle democrazie, l'ostruzionismo di Russia e Cina promettono d'accordare alla «Rivoluzione islamica» le proroghe che essa giudica necessarie.
Perché inquietarsi?, sussurrano le anime belle. L'Iran avrà la sua bomba, e allora? Pakistan, India, Israele, Corea del Nord ce l'hanno, malgrado gli scrupoli di non proliferazione ostentati ovunque. Il moltiplicarsi dei detentori dell'arma assoluta non è forse un processo irreversibile?
Solo che non bisogna sottovalutarne il pericolo; in questo caso più si è dei pazzi, meno ci si diverte, perché la dissuasione fra «n+1» protagonisti si rivela meno controllabile. Solo che non è impossibile rallentare questa proliferazione, come testimoniano Brasile, Argentina e Libia che rinunciano al nucleare militare. Solo che l'Iran rischia invece, con il suo esempio, di moltiplicare i candidati all'arma assoluta. Solo che l'Iran è l'Iran, portabandiera universale della rivoluzione islamica così come l'imam Khomeini l'ha instaurata nel 1979.
Per l'integralista Mahmud Ahmadinejad e i suoi accoliti trasportati dal loro isterismo divino i fatti non esistono, esistono soltanto le convinzioni religiose. Auschwitz è l'invenzione di una «religione della Shoah» al servizio, come potete indovinare, dei diabolici ebrei e americani. E l'arma nucleare, secondo i suoi Maestri teologi di Qom, non cambia nulla, è uno «strumento» come tanti altri, tutto dipende da chi l'utilizza e a quale scopo. Rasfandjani il «moderato», suo predecessore alla presidenza della Repubblica islamica, ha calcolato i costi: per 5 milioni di morti israeliani, egli conta 15 milioni di morti iraniani e ne conclude che, rispetto al miliardo di musulmani nel mondo, l'affare è conveniente. Avanti tutta verso la jihad atomica!
Agli occhi dell'europeo, Auschwitz e Hiroshima sono fatti la cui constatazione trascende i paraocchi ideologici e le convinzioni religiose. L'Europa occidentale del dopo 1945 si è liberata dal fanatismo attraverso il pensiero. Ha abiurato le sue religioni politiche — nazismo, comunismo — attraverso accertamenti dolorosi: campi della morte e gulag. Nello stesso modo, alla terribile luce di Hiroshima, vediamo la guerra diversamente: gli uni optano per un pacifismo senza limiti; gli altri, fra i quali chi scrive, per la dissuasione; ma tutti riconoscono che l'arma assoluta crea mentalmente, moralmente e strategicamente una rottura. Tutti tranne MahmudAhmadinejad, che si vanta di essere un eroe puro della fede e getta alle ortiche qualsiasi altra considerazione.
Credere che basti credere è una patologia che incombe su chiunque e su qualsiasi religione, fosse pure secolare e materialistica.
Superstizioso è colui che sente voci senza interrogarsi sulle voci che sente. Tracotante è colui che non esamina l'autenticità dei propri impegni. L'unione di superstizione e presunzioni d'amor proprio dà il fanatismo: Dio è in me e io sono in Dio, inutile pensare poiché fin da ora il mio cervello abita in un angolino di paradiso.
La facoltà di guardare le cose in faccia è il pensiero. Tale sguardo freddo che indica e constata, Aristotele lo oppone alla preghiera che comanda, implora, esige, si crede competitiva e non informativa. Se pensare non è pregare, conviene reciprocamente pregare senza pensare? Niente affatto. Le religioni non patologiche distinguono il temporale e lo spirituale, il re e il prete nella Bibbia, il califfo e il predicatore dei musulmani, l'ordine del mondo e quello della fede nella tradizione cristiana: «Credo al fine di comprendere», proferiscono Agostino e Anselmo, primi intellettuali di una civiltà post-romana.
Fin dall'istante in cui una fede senza pensiero prende i comandi, i congegni di sicurezza rischiano di cedere e un fanatismo dalle mandibole nucleari minaccia la sopravvivenza dei semplici mortali.
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