Israele non può risolvere i conflitti interni dei palestinesi intervista a Shimon Peres
Testata: Il Foglio Data: 24 marzo 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «“Israele non è una scuola materna” per i palestinesi, ci dice Peres»
Dal FOGLIO di venerdì 24 marzo 2006:
Gerusalemme. “Israele è stato molto paziente”, ma non può attendere per sempre. E’ quel che dice Shimon Peres, un grande vecchio della politica israeliana, con i suoi ottantré anni, un Nobel per la pace alle spalle e un progetto davanti agli occhi. Il futuro gliel’ha lasciato l’ex premier Ariel Sharon: è Kadima, il partito che s’appresta a conquistare una quarantina di seggi alla Knesset, nelle elezioni del 28 marzo. Peres, il più laburista dei laburisti, è passato tra le fila del gruppo di Sharon a inizio dicembre, quando Kadima era appena nato e il “big bang” – così era stata soprannominata l’alleanza tra i due carismatici leader – aveva emozionato Israele. Ora Peres porta su di sé, oltre all’onnipresenza di Sharon, l’eredità di quel “big bang”, del domani di Israele. La sicurezza è il suo primo pensiero. Al Foglio racconta che dal 1994, quando ricevette il Nobel all’indomani degli accordi di Oslo, a oggi “la mia idea non è mai cambiata”, soltanto s’è accorto che per la pace ci sarebbe voluto molto più tempo di quanto non s’immaginasse. Ora c’è un altro problema, enorme: “La costituzione dell’Autorità nazionale ha attirato molti aiuti internazionali, e questa è una cosa buona. Più i palestinesi stanno bene, più noi guadagniamo un partner migliore, ma oggi loro sono divisi, si è visto chiaramente nelle ultime elezioni. Soltanto loro possono trovare un modo per riunirsi, Israele non può farlo al loro posto”. Le parole di Peres sono il frutto della strategia di Sharon dell’unilateralismo che ora – come ha dichiarato il leader di Kadima e premier ad interim, Ehud Olmert – si è evoluta nella definizione dei confini di Israele “entro il 2010”. Peres, che è un negoziatore nell’animo, cerca di sottolineare che la strategia unilaterale “non è un’ideologia”, è una modalità da attuare quando le altre vie sono state percorse, e non sono state efficaci. “Prima dobbiamo costituire un accordo internazionale sui confini – spiega Peres – Poi andremo dai palestinesi a dire: ‘Guardate, questa è la soluzione più equilibrata che siamo riusciti a raggiungere’. Se loro non l’accetteranno, agiremo in modo unilaterale”. Certo, se l’interlocutore è un “partito fanatico religioso” come Hamas, è difficile immaginare che ci possa essere un qualche dialogo nella definizione dei confini israeliani. Ma Peres è anche convinto che il gruppo islamico, che questa settimana sta faticosamente cercando di formare il governo (dovrebbe presentarlo domani in Parlamento), non sia in grado di resistere a lungo sulla scena politica palestinese: “Hamas si basa soltanto sul potere e chiunque pensi di poter agire soltanto appoggiandosi a esso finisce per restare senza, perché si distacca dalla realtà”. Poi c’è Abu Mazen, leader dell’Anp, con cui il dialogo non è interrotto: “E’ un presidente eletto, dobbiamo parlare con lui e non boicottarlo. Non possiamo fare lo stesso con Hamas perché ha scelto di non dialogare con noi”. Confini e scelte unilaterali. Il programma di Kadima è tutto qui, tanto che Olmert ha dichiarato che chi non accetta l’idea di futuri disimpegni non può essere accolto in una coalizione. Ecco che il partito più papabile – con una proiezione, stando ai sondaggi, di 20 seggi in Parlamento – è Avoda, il Labor, che Peres ha guidato prima di essere scalzato dal baffuto sindacalista Amir Peretz. Il premio Nobel preferisce non commentare il suo “rivale”, dice soltanto con fare sornione che i laburisti farebbero meglio a capire che “la campagna elettorale non cambia le esigenze di un dato tempo, ma il richiamo dei tempi dovrebbe far cambiare le priorità della campagna”. Per il resto Peres si sente di non aver cambiato nulla di sé con la sua scelta di entrare in Kadima, anzi, l’ha fatto proprio perché in questo nuovo progetto c’è tutto ciò in cui crede: “I compromessi territoriali e uno stato per i palestinesi”. Una volta che questo è chiaro – e lo è, visto che “il prossimo governo sarà di coalizione, e Kadima lo guiderà” – si tratta di vedere che cosa faranno i palestinesi, Hamas e Abu Mazen. Con in mente una cosa soltanto: “Le loro divisioni noi non possiamo sanarle. Israele non è un ‘kindergarden’”, una scuola materna.
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