Le risposte del filosofo israeliano Avishai Margalit alle domande dell'intervistatore Daniele Castellani Perelli, piuttosto tendenziose (si veda quelle su Gerico, che partono dall'editoriale di Rossanda Rossanda sul MANIFESTO) , sono spesso opinabilie talora difficilmente comprensibili (come si può sostenere che i soldati israeliani avrebbero dovuto evitare lo spettacolo dei poliziotti palestinesi in mutande "a qualunque costo", anche se temevano un attentato suicida, cioé anche a costo della loro vita?) , ma in generale non riflettono la disinformazione della propaganda israeliana. Margalit nega recisamente, per esempio, che l'azione a Gerico avesse per scopo l'umiliazione di Abu Mazen.
Il quotidiano della Margherita, tuttavia, trova il modo di presentare l'intervista come l'ennesimo atto d'accusa contro Israele.
Di tutto ciò che Margalit dice sceglie per il titolo il concetto che, oltretutto estrapolato dal contesto in cui si riferiva auno specifico episodio, meglio si presta all'operazione: "Umiliare i palestinesi è la cosa peggiore che possiamo fare» " Occhiello: "Il filosofo israeliano Avishai Margalit parla del raid a Gerico e delle elezioni del 28 marzo".
Ecco il testo:
Avishai Margalit non condanna il recente raid dell’esercito israeliano nel carcere di Gerico, ma ammonisce: «Le immagini dei poliziotti palestinesi in mutande fanno male. Umiliare i palestinesi è la cosa peggiore che possiamo fare». Filosofo israeliano, professore all’università di Gerusalemme, Margalit è autore di diversi libri, tra cui Volti di Israele (Carocci) e il recente Occidentalismo (Einaudi), che ha scritto insieme a Ian Buruma. Lo abbiamo intervistato al termine di un incontro organizzato dall’associazione Reset-Dialogues on Civilizations, in cui ha parlato del radicalismo insieme allo scrittore iranianotedesco Navid Kermani. «Kadima, il partito di Sharon e Olmert, si è stabilizzato – ci spiega pensando alle prossime elezioni del 28 marzo – mentre i laburisti soffrono perché l’elettorato ashkenazi non riconosce la leadership di Amir Peretz». Quanto al dialogo tra Islam e Occidente, Margalit ha due certezze: «Gli Usa sono screditati, un dialogo vero può iniziare solo tra l’Europa e i musulmani europei. Dobbiamo sperare che a rovesciare i regimi arabi non siano i fondamentalisti, ma formazioni politiche simili a quelle del moderato turco Erdogan».
Il raid di Gerico di martedì scorso, che ha portato alla cattura del palestinese Ahmed Saadat, è stato duramente criticato. Lei che opinione si è fatto?
L’intervento dell’esercito non è stato molto criticato, in Israele. Ha scatenato le reazioni dei palestinesi e degli arabi, mentre la comunità internazionale si è divisa. La questione non è l’intervento in sé, quello che più mi ha colpito sono state le immagini dei poliziotti palestinesi in mutande: umiliare i palestinesi è la cosa peggiore che possiamo fare. Credo che all’operazione si possano trovare giustificazioni, ma lo stesso non vale per quello spettacolo, che gli israeliani avrebbero dovuto evitare ad ogni costo, anche se temevano veramente che quegli uomini portassero armi o esplosivo con sé. Purtroppo l’umiliazione è parte integrante del conflitto tra israeliani e palestinesi, ed è abbastanza ragionevole che questi ultimi percepiscano il conflitto in corso come un’umiliazione nei loro confronti. Non doveva succedere.
L’effetto-Gerico, intanto, spinge nei sondaggi Kadima, il partito del premier ad interim Ehud Olmert.
Kadima sta finalmente andando oltre Sharon?
L’effetto-Gerico potrebbe anche essere effimero. Quello che conta rilevare è che il partito sembra stabilizzarsi, e sembrerebbe viaggiare verso la vittoria. Tuttavia, secondo i sondaggi, sono ancora molti gli indecisi, e il 25% dei seggi è ancora incerto. È presto per dire che Kadima ha la vittoria in pugno.
Perché i conservatori e i laburisti non riescono a imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica?
Il Likud subisce fortemente la concorrenza di Kadima, mentre il Labour è debole per ragioni che credo più serie. I veterani, gli ashkenazi, non accettano la leadership di Amir Peretz, un politico molto bravo che, a mio avviso, aveva tutte le possibilità per far rinascere i laburisti e per creare un partito veramente socialdemocratico.
Il ministro degli esteri israeliano, Tzipi Livni, ha dichiarato che il presidente palestinese Abu Mazen è «responsabile della propria impotenza ».
Credo che, su questo punto, le colpe vadano divise tra Israele e Abu Mazen.
Nella questione di Gerico la colpa è di Abu Mazen, perché sapeva da tempo che la situazione della prigione non era più tollerabile, che i britannici volevano andarsene, e nonostante ciò non ha mosso un dito. Più in generale credo Israele abbia le sue responsabilità nell’indebolimento del presidente palestinese.
Secondo molti, e tra questi l’editorialista del Manifesto Rossana Rossanda, l’operazione di Gerico aveva tra gli obiettivi proprio l’indebolimento di Abu Mazen. È d’accordo?
No, per niente. Sulla prigione di Gerico c’era un accordo, i palestinesi l’hanno violato. Non so dire se le guardie americane e britanniche, che avevano abbandonato la prigione appena venti minuti prima, fossero coordinate con l’esercito israeliano. Al momento non ne abbiamo le prove.
Però Abu Mazen era stato avvertito da tempo che quella situazione non poteva continuare.
Israele e Stati Uniti dovrebbero riconoscere il governo di Hamas?
No. O meglio, bisogna intendersi, il riconoscimento deve essere reciproco.
Israele non può riconoscere un governo capeggiato da Hamas se questo non riconosce Israele. Se la domanda invece è: si dovrebbe trattare con Hamas? Allora sì, sono d’accordo, ci dovrebbero essere trattative su basi chiare, scritte.
Nel suo intervento lei ha detto che un vero dialogo tra Occidente e mondo islamico può nascere solo in Europa, perché la credibilità degli Stati Uniti è nulla nel mondo arabo. Ma la società israeliana non vede l’Europa come alleata dei palestinesi?
Sì, sono in molti a crederlo nel mio paese. Viceversa, i palestinesi credono lo stesso a proposito degli Stati Uniti.
Quindi l’Europa, nel processo di pace, non può oggi giocare il ruolo che è stato finora degli Stati Uniti?
Il problema oggi non si pone, perché non c’è nessun processo di pace.
Nel suo ultimo libro, “Occidentalismo”, lei ha indagato le radici dell’odio verso l’Occidente. Oggi questo odio sembra particolarmente diffuso nel Medio Oriente.
Anzitutto va detto che il primo obiettivo dei fondamentalisti non è oggi l’Occidente.
Gli attacchi che si sono succeduti dall’11 settembre in poi non hanno mirato all’islamizzazione dell’Occidente.
I fondamentalisti, che sono piuttosto lucidi politicamente, vogliono rivoluzionare i regimi del mondo arabo.
È una questione politica prima che religiosa, anche se la religione è tornata ad essere una forza potentissima, soprattutto in Medio Oriente.Come potrà evolvere la situazione?
Oggi la maggior parte dei regimi arabi sono internal security apparatuses, regimi mantenuti da apparati di sicurezza interni. Non godono di una legittimazione solida, e sono destinati a cadere. Ma da cosa possono essere rovesciati? Sono possibili tre scenari. La strategia di Bin Laden, che come Trotsky vuole la rivoluzione in tutti i paesi. Quella di Khomeini, che come Stalin vuole la rivoluzione in un solo paese. E quella di Erdogan, che cerca di agganciare un Islam moderato all’Europa.
Uno dei suoi libri si intitola “L’etica della memoria”. Vi descrive l’importanza di non dimenticare il passato, soprattutto per gli ebrei. Ma la memoria non può essere anche un ostacolo per la pace?
Sì, purtroppo è così. Per il conflitto tra israeliani e palestinesi, la memoria è più spesso d’ostacolo che d’aiuto.