La STAMPA di mercoledì 22 marzo 2006 pubblica a pagina 4 una cronaca, ripresa da Le Monde del sequestro, delle torture e della morte di Ilan Halimi, basata sulle confessioni degli assassini.
Ecco il testo:
Si chiamano Jerome Ribeiro (detto «colpo di testa»), Samir Ait Abdelmalek (alias «Smiler» oppure «l’agente Murphy», quello del film «Matrix»), Fabrice Polygone, Yahia Kaba e Jean-Christophe G., unico minorenne del gruppo, soprannominato «Zigo». Hanno tra i 17 e i 27 anni. Carcerieri per caso, sono stati reclutati sulle strade di Bagneux da Youssouf Fofana, 25 anni, il «boss». «Fa paura, lui fa proprio paura», ha detto di lui ai poliziotti Jerome Ribeiro, «sapeva tutto della città, non si faceva inculare, senza di lui per noi il posto scottava». Un «grande» della città, un pregiudicato che a metà gennaio ha reclutato questi ragazzi per qualche migliaio di euro. «Mi aveva chiesto se volevo farmi un sacco di soldi, ho risposto di sì», racconta Jerome Ribeiro, «e lui mi ha detto che bastava che io facessi da guardia a un uomo per tre giorni».
L’uomo era Ilan Halimi, la sua prigionia sarebbe durata in realtà tre settimane, dal 21 gennaio al 13 febbraio, giorno in cui il giovane è stato trovato agonizzante. L’autopsia ha decretato un decesso «conseguente a ustioni associate a ferite da arma bianca». L’esame ha anche rivelato numerosi ecchimosi e graffi.
La prima settimana del sequestro Ilan l’ha trascorsa in un appartamento prestato ai rapitori da un concierge. Youssouf Fofana ha pensato a decorarlo: tele «con motivi arancione per coprire i muri». Ammanettato, con addosso una vestaglia comprata all’Auchan, alimentato con proteine liquide attraverso una cannuccia, Ilan aveva dai suoi carcerieri il permesso di fumarsi uno spinello tra due schiaffi. Per entrare nell’appartamento ci voleva un codice: bussare due volte e poi ancora una. Poi il «boss» si è caricato Ilan in spalla e l’ha portato nella caldaia, dove la sua sorte non ha subito molti cambiamenti: «Pisciava in una bottiglia e faceva la cacca in una busta di plastica», dice uno dei suoi carcerieri, Yahia Kaba.
Le violenze erano regolari: «Dal primo giorno ho visto che l’ostaggio aveva tracce di ustioni da cicche sui fianchi e sulla schiena», dice un altro carceriere, Cedric Birot Saint-Yves. Per Jean-Christophe G. le botte sono invece iniziate dopo che era fallito il primo tentativo di ottenere il riscatto. Dice che Ilan «ha cominciato a chiedere spesso sigarette. Tutti e quattro, Nabil, Yania, Jerome e io, lo picchiavamo quando piangeva per le sigarette. Mi è successo anche di dargli colpi di scopa sulle gambe, sulle cosce». Ma gli episodi più significativi sono avvenuti quando si è trattato di scattare le foto destinate a spaventare la famiglia della vittima: simulazione di sodomia con un manico di scopa e uno sfregio alla faccia fatto con il coltello da Samir Ait Abdelmalek
Alla fine della prigionia, i turni per i carcerieri sono diventi sempre più faticosi. Alcuni di loro cercavano pretesti per accorciare il proprio turno di guardia. L’impazienza cresceva. Due giorni prima della morte di Ilan Halimi nella caldaia venne convocata una riunione di crisi. «Abbiamo parlato davanti all’ostaggio»», racconta Cedric Birot Saint-Yves. «Il boss ci ha chiesto chi voleva continuare e chi mollare. Noi avevamo paura della polizia che girava nei paraggi e pensavamo che non avremmo visto più soldi». Nabil Moustafa conferma: «Abbiamo detto di averne abbastanza. Il boss ci ha pensato e ha deciso che si trattava di fare solo un’altra sera, che l’altro doveva venire liberato».
Ma il calvario di Ilan Halimi non era finito. Youssouf Fofana sperava ancora in un riscatto. «Voleva ottenere dall’ostaggio il numero di un suo parente che non era stato ancora contattato», afferma Fabrice Polygone, che dice che quella sera era poi uscito per stare di guardia fuori. Gli altri avevano cominciato a infierire su Ilan. Al ritorno Fabrice Polygone l’ha trovato così: «addossato al muro, le gambe leggermente piegate verso il petto. Aveva addosso la vestaglia. Ho visto chiaramente segni di graffi sul suo fianco sinistro, un po’ dapertutto, sulle costole, sul collo, sul petto. Le ferite non sanguinavano». Il capo della banda continuava a dare ceffoni all’ostaggio, «indossava guanti con tessuto sul dorso della mano e similpelle sul palmo», precisa Fabrice Polygone.
Era mezzanotte passata, il 13 febbraio, un lunedì. Bisognava preparare Ilan alla liberazione, e Youssouf Fofana era andato a cercare un’auto. «Quando ho sollevato la coperta del prigioniero ho visto tracce di sangue sul suo pigiama, che era anche strappato, sulle gambe e sul ventre», precisa Nabil Moustafa. «L’ho spogliato e ho visto ferite rosse sul suo ventre, assomigliavano un po’ a delle bruciature».
I carcerieri dovevano pulire l’ostaggio da ogni traccia: «Nabi, Zigo e io l’abbiamo lavato tutto con acqua e gel per la doccia che abbiamo trovato, usanto i guanti», spiega Fabrice Polygone. «Gli ho tagliato i capelli, Zigo e Nabil hanno detto che non erano abbastanza corti e l’hanno rasato con un rasoio a due lame, nero e blu». Ilan Halimi venne asciugato e avvolto in un telo viola, comprato da Jean-Christophe G. al supermercato all’angolo.
Fofana è arrivato nel profonto della notte. «Entrato nella caldaia, Youssouf ci disse che andava via con l’ostaggio», dichiara Fabrice Polygone. I carcerieri hanno aiutato il «boss» a portare Ilan fuori e a caricarlo in macchina, e poi hanno pulito la loro tana. «Ho buttato sacchi di piatti, bottiglie, scatole di biscotti e croissants», ricorda Cedric Birot Sant-Yves.
Perché Ilan Halimi non è stato rilasciato? Samir Ait Abdelmalek dice di aver incrociato Youssouf Fofana il giorno dopo che aveva portato Halimi via dal sotterraneo. Il capo della gang gli aveva raccontato di aver lasciato il prigioniero a Yvelines, dentro una macchina rubata, che sarà ritrovata in seguito. «Ilan nel frattempo era riuscito a sollevare la benda dagli occhi», spiega Samir Ait Abdelmalek. «Youssouf aveva visto Ilan guardarlo dritto negli occhi, e di colpo lo aveva colpito con un coltello alla gola, verso la carotide, e poi un altro affondo dall’altra parte. Poi ha dato un taglio alla base del collo, e al fianco. Ha dovuto poi tornare con una tanica di benzina, mi ha detto che ha versato il combustibile dalla tanica su Ilan e gli ha dato fuoco».
Interrogato il 23 febbraio ad Abijan, Youssouf Fofana ha negato qualunque responsabilità. Ha affermato di aver portato il suo prigioniero sul retro del supermercato Cora di Bagneux, per consegnarlo a un tale Marc, detto «Crim» o «Craps», e a un altro uomo, che hanno sistemato Ilan nel bagagliaio della loro auto. Solo il giorno dopo Youssouf Fofana dice di aver saputo che «Crim e il suo complice sono andati a Sainte-Genevieve-des-Bois, nascosto il corpo in un boschetto e versato sopra dell’acido e dato fuoco, e che si è formata una grande palla di fuoco».
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Un breve articolo informa sulla natura antisemita del sequestro
La morte di Ilan Halimi, giovane ebreo rapito e torturato a morte da una gang di Bagneux, ha scosso la Francia. 23enne commesso di un negozio di telefonia nei pressi di Parigi, è stato rapito il 21 gennaio 2006 dopo essere stato attirato in una trappola da una ragazza della banda che gli aveva dato un appuntamento. I rapitori - una ventina in totale, che si facevano chiamare «barbari» - hanno chiesto alla famiglia del giovane un riscatto. Ma nonostante il leader della banda, Youssouf Fofana, avesse scelto Ilan nella convinzione che «gli ebrei sono tutti ricchi», la famiglia Halimi - gente modesta che abitava nella stessa banlieue dei rapitori - non è riuscita a pagare e il 13 febbraio Fofana ha inflitto a Ilan diverse coltellate per poi cospargerlo di benzina e dargli fuoco. Il giovane è stato ritrovato in fin di vita ed è morto appena giunto all’ospedale. La sua morte ha provocato una serie di manifestazioni contro il razzismo, dopo che si era scoperto che i «barbari» - quasi tutti disoccupati immigrati, sia musulmani che cristiani, alcuni con precedenti penali per droga e furto - hanno rapito Ilan in quanto ebreo. I «barbari» avevano già tentato altri 5 sequestri, sempre scegliendo le vittime tra gli ebrei. Ma nonostante alcuni membri della gang tra cui il leader Fofana erano musulmani e leggevano letteratura islamista, il movente principale del crimine sembrano i soldi, un’avidità mischiata ai pregiudizi e alll’ignoranza di gente di banlieue. Quasi tutti i membri della gang sono stati catturati e hanno confessato il sequestro, le torture e l’omicidio. Fofana - che si era già fatto quattro anni di carcere per reati violenti - è scappato in Costa d’Avorio, suo Paese d’origine, dove però è stato arrestato e riportato in Francia. I delinquenti ora sono in attesa di processo con l’aggravante di «antisemitismo», e il 26 febbraio scorso centinaia di migliaia di francesi, inclusi politici di destra e di sinistra, sono scesi in piazza per commemorare Ilan Halimi e protestare contro il razzismo.
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