Da La STAMPA di mercoledì 22 marzo 2006:
E’ sconcertante e in certo modo pauroso, ma chi vincerà di fatto, se non di nome, le elezioni che in Israele si terranno il prossimo martedì 28 marzo, è un vecchio signore che giace nel letto di un ospedale senza conoscenza, immerso nel più misterioso dei sogni, circondato dal silenzio, mentre fuori la campagna elettorale grida i suoi slogan e li appiccica sui muri. Ariel Sharon fondatore del partito Kadima e soprattutto della linea centrista che promette da una parte difesa dal terrore e dall’altra sgombero unilaterale da gran parte dell’West Bank, è sparito tutt’a un tratto dalla scena dopo esserne stato il protagonista assoluto, amato e odiato per anni. E adesso la sua creatura politica Kadima, compreso il leader che Sharon stesso si era inventato, Ehud Olmert, vinceranno le elezioni e rivoluzioneranno per sempre la mappa politica israeliana.
Kadima prenderà circa 37 seggi, i laburisti una ventina, e il Likud di Netanyahu sarebbe molto contento di averne 19. Si configura la vittoria di un centro solido e stabile, talmente sicuro di sé che quasi, al contrario degli altri due, non fa campagna elettorale. Il piano di sgombero di Olmert è vasto, la sua volontà di dividersi con confini definitivi dai palestinesi, affascina l’elettorato e fa credere in un futuro quasi pacifico. Lo spirito rassicurante e carismatico di Sharon seguita ad aleggiare. Tradizionalmente, il panorama politico israeliano era composto da due schieramenti, uno di destra e uno di sinistra, di volta in volta capaci di catturare il consenso dei partiti minori per formare il governo e talora a formare governi di coalizione: da una parte il Likud, partito contrario a concessioni territoriali e allo Stato Palestinese, promotore di una netta economia di mercato a fronte della gestione parasocialista, tradizionale nello stato fondato da Ben Gurion. Dall’altra, i laburisti di Peres e a suo tempo di Rabin, favorevoli allo Stato Palestinese, al ritorno ai confini del 67, ai kibbutz e ai sindacati.
Oggi come scrive Ben Caspit, editorialista del giornale Ma’ariv, se qualcuno tornasse qui dopo sei mesi da una terra dove non arrivavano le notizie, non capirebbe dove si trova: Sharon sparito nel nulla; Ehud Olmert, un personaggio fino a ieri di seconda fila, primo ministro con un programma rivoluzionario; Shimon Peres e la vecchia guardia socialista trasmigrati nel nuovo partito; un ex sindacalista di origine marocchina Amir Peretz a capo del partito laburista, culla dell’elite fondatrice ashkenazita, ovvero proveniente dall’Europa Orientale. E ultimo, ma certo non meno importante elemento, dall’altra parte della barricata non più le vecchie facce di Abu Mazen, di Hana Ashrawi, di Sa’eb Erakhat, ma quelle conturbanti di Hamas, degli sceicchi integralisti islamici come Ismail Haniya, che già ieri smentiva l’intervista in cui dichiarava che non avrebbe mandato suo figlio a farsi saltare per aria da terrorista suicida.
La campagna elettorale fin qui è stata con tutti gli choc che l’hanno segnata, noiosa e l’assenteismo potrebbe essere il vero nemico del voto del 28: perché, dopo un periodo in cui Ehud Olmert ha dovuto dimostrare che poteva rimpiazzare Sharon, esercitando misura e spirito decisionale, travestendo il suo carattere focoso, inventandosi (specie con l’impresa del carcere di Gerico) una divisa da generale che non ha mai avuto, alla fine tutti si sono abituati alla sua leadership, fuorché Netanyahu. Bibi, che i giornali attaccano giorno dopo giorno fino a divorargli le viscere, ripete all’elettorato che è suicidio dare a Olmert Israele, perché a sua volta egli, con lo sgombero dal West Bank, lo consegnerà a uno stato terrorista che userà il territorio concessogli come rampa di lancio per attentati e missili kassam.
E’ interessante come questa tesi, pur piuttosto realistica data la natura del nuovo padrone dell’Autorità palestinese e l’esperienza di Gaza, sembra secondo i sondaggi, poco popolare. Israele seguita a sognare la pace. Netanyahu tenta di trattenere i suoi iscritti (430mila) in fuga verso Kadima con una campagna ad personam: spedirà una cartolina a ciascuno dei suoi «likudnik» chiedendo il loro sostegno, e corre di raduno in raduno a stringere mani. Intende anche scusarsi con gli elettori poveri della politica economia da lui condotta quando era ministro: «Sono spiacente che il mio programma economico vi abbia colpito - dirà - dovevamo salvare l’economia, anche se fa male».
Peretz, che è fragilissimo sul piano della sicurezza e che aveva puntato tutto sull’aiuto alle famiglie indigenti e il welfare, è a mal partito: con sprezzo del pericolo concluderà la sua intensiva serie di comizi nella piazza della cittadina di Beith Shemesh, dove Shimon Peres dovette scappare via nel 91, sotto una pioggia di pomodori marci. I partititi compreso Shas, il partito religioso sefardita; Lieberman, che propone scambi territoriali fra le zone arabe di Israele e i Territori;i resti dei coloni con la coda fra le gambe; i radicali che fra i loro spot tv mostrano un profondissimo bacio fra due spose lesbiche;i partiti arabi… tutti lentamente, si avviano a queste elezioni sperando in piccole sorprese.
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