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Il Manifesto Rassegna Stampa
21.03.2006 Dare una chance ad Hamas...
e sentirsi tutti più buoni

Testata: Il Manifesto
Data: 21 marzo 2006
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Palestina, Hamas chiede una chance - A Gaza il pane é ormai introvabile»

Il rifiuto di riconoscere Israele, di porre fine al terrorismo e persino di rispettare gli impegni già assunti dall'Anp da parte di Hamas é esplicito, e ripetuto con i toni più brutali. Il probabile ministro degli Esteri del governo targato Hamas, per esempio, considera Israele "un'entità illegale".
Tuttavia le dichiarazioni propagandistiche dell'economista Omar Abdel Razek che chiede il ripritino delle relazioni economiche tra Israele e Anp, sono segnali di apertura per il quotidiano comunista.
Israeliani, americani ed europei  però, ci spiega Michele Giorgio, sono cattivissimi  e non concederanno ad Hamas nessuna "opportunità".
Da antologia il titolo "Palestina, Hamas chiede una chance". Viene in mente una vignetta degli americani Cox e Forkum che prende di  mira un certo pacifismo liberal: sotto la scritta "Peace love and genocide" Jimmy Carter e un gruppo di terroristi vestiti di  funebri tute nere cantano "All we are saying is give jew-hating murderers a chance" ; dare agli assasini antisemiti una possibilità é anche l'esortazione del MANIFESTO di martedì 21 marzo 2006.
Ecco il testo:


«E' interesse di israeliani e palestinesi ricominciare le relazioni economiche. Chiediamo a Israele e alla comunità internazionale di dare a Hamas un'opportunità. Quando sapranno quello che il movimento islamico sta facendo, credo che cambieranno opinione». Lancia segnali concilianti Omar Abdel Razek, economista con studi negli Stati Uniti (al Coe College nello Iowa, dottorato in economia nell'Universita' dello Iowa). Solo una settimana fa era detenuto in un carcere israeliano, ora è il ministro delle finanze nel nuovo governo palestinese, formato da Hamas per risollevare un'economia affossata dalla corruzione e dalla guerra e riallacciare rapporti con l'Occidente e addirittura con Israele. Abdel Razek avrà l'opportunità che ha chiesto? Tutto lascia pensare il contrario. Non solo per l'atteggiamento di chiusura totale di Stati Uniti e, soprattutto, di Israele che ribadisce di non voler contatti con «un governo terrorista» e addirittura minaccia di dichiarare il presidente palestinese Abu Mazen definitivamente «irrilevante» se darà il via libera all'esecutivo di Hamas. Anche da Bruxelles arrivano segnali negativi. L'Unione Europea infatti ha preso tempo sull'invio di nuovi fondi all'Anp. Prima vuole leggere con attenzione il programma del nuovo governo. «Stiamo lasciando la porta aperta (ad Hamas) per una svolta positiva», ha detto ieri il Commissario alle Relazioni Esterne Benita Ferrero-Waldner prima di un vertice dei ministri degli Esteri dell'Ue. Alla fine giudicheremo in base a cosa (i ministri di Hamas) diranno e a cosa faranno», ha aggiunto. Bruxelles conferma perciò al nuovo governo palestinese le tre condizioni: riconoscimento di Israele, rinuncia alla resistenza armata e rispetto dei vecchi accordi di pace, se non vuole perdere gli aiuti europei (l'Ue con 500-600 milioni di euro è il principale finanziatore dell'Anp). Allo stesso tempo Bruxelles ha dato via libera al versamento di una nuova tranche da 64 milioni di euro dei fondi concessi il 27 febbraio scorso all'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, prestito indiretto di emergenza per le dissanguate casse dell'Anp. Sulla strada di Hamas ci sono subito le differenze con la visione di Abu Mazen, contraria a proseguire la lotta armata e ancorata al riconoscimento degli accordi raggiunti in passato con Israele. Il presidente, domenica sera, nell'accettare dal nuovo premier Ismail Haniyeh il programma di governo, ha annunciato che sottoporrà la lista dei ministri - composta da dirigenti di Hamas e da islamisti indipendenti, tranne il cristiano Tannus Abu Eita di Betlemme - e il programma del governo al Comitato esecutivo dell'Olp, dove il movimento islamico non è ancora rappresentato. Una manovra imprevista, che forse punta a guadagnare tempo e rinviare la nascita effettiva del governo a dopo le elezioni israeliane del 28 marzo per ridurre le tensioni o a premere con più forza su Hamas per ottenere un cambiamento del programma politico del governo. Il passaggio successivo sarà davanti al Parlamento palestinese, poi il giuramento. In ogni caso le divergenze tra Abu Mazen e Hamas restano forti e hanno impedito una coalizione di governo con Al Fatah e altre formazioni laiche (alla fine ha rinunciato anche il Fronte popolare). L'ex ministro Saeb Erikat ieri ha aggiunto che se l'Anp si troverà in crisi finanziaria a causa del congelamento degli aiuti internazionali, Abu Mazen potrebbe destituire primo ministro e governo. A quel punto le divergenze potrebbero trasformarsi in scontro frontale con esiti drammatici. Hamas allo stesso tempo deve prendere atto della posizione della maggioranza (75%) dei palestinesi, tra cui tanti dei suoi elettori, che è favorevole al negoziato con Israele. Lo rivela un sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research (Psr). Il 53% dei palestinesi inoltre è per l'applicazione della Road Map e il 68% pensa che l'Anp non possa fare a meno degli aiuti internazionali. Sul terreno l'emergenza principale riguarda ancora Gaza, stremata dal blocco economico israeliano e segnata da gravi episodi di violenza, come le sparatorie avvenute ieri in tutta la Striscia. Uomini delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa, il gruppo armato vicino al partito Al Fatah, hanno occupato a Gaza City uffici dei ministeri delle finanze e degli esteri e hanno attaccato il commissariato di polizia principale. Altri militanti armati hanno occupato brevemente un ospedale e la centrale elettrica di Gaza e hanno bloccato la strada di accesso al valico di Erez per chiedere il pagamento di arretrati cui affermano di avere diritto e l'assunzione nei servizi di sicurezza palestinesi. Dietro gli scontri a fuoco tuttavia molti hanno visto la mano dell'ex ministro e «uomo forte» di Gaza Mohammed Dahlan (Al-Fatah), deciso a mettere in difficoltà il neonato governo di Hamas.

L'intervista di Giorgio all'esperto palestinese di diritto internazionale Raja Surani, concepita per offrire la possibilità di una replica alle obiezioni israeliane alla campagna di disinformazione sul valico di Karni non raggiunge il suo scopo. Surani non affronta neppure il nodo del terrorismo, la causa della chiusura del valico, conferma sostanzialmente che le agenzie internazionali, per il momento, hanno evitato l'emergenza alimentare a Gaza, rivela che il rifiuto palestinese di sostituire Karni con Kerem Shalom é motivato da questioni di sovranità, che per la dirigenza palestinese sono evidentemente più importanti di quelle umanitarie. in quanto all'"insufficienza" del valico alternativo: per esso potrebbero passare 100 camion al giorno anziché 500, come scrive Micalessin sul Giornale. Davvero facendone uso non sarebbe possbile evitare l'esaurimento delle scorte alimentari a Gaza ?
Ecco il testo:

È rimasto aperto solo poche ore il transito commerciale di Karni, attraverso il quale affluiscono gran parte delle merci che da Israele entrano nella Striscia di Gaza. Troppo poco per consentire i rifornimenti di medicinali e generi di prima necessità che ormai mancano o stanno per esaurirsi. Le autorità israeliane ieri infatti hanno di nuovo chiuso Karni dopo che solo cinque autocarri erano riusciti a far uso del valico. La crisi umanitaria di Gaza dunque non è finita e Israele, sostenendo di aver raccolto con i suoi servizi di intelligence notizie di attentati imminenti, continua a insistere affinché venga usato il posto di frontiera di Karem Shalom, molto più a sud, a ridosso del confine con l'Egitto, ritenuto dai palestinesi troppo piccolo per il traffico commerciale di Gaza. Della crisi umanitaria in atto abbiamo parlato con l'esperto di diritto internazionale Raja Surani, direttore del «Centro per i diritti umani». Qual è la situazione a Gaza? Gli abitanti fanno la fila davanti alle panetterie e ai supermercati nella speranza di procurarsi un po' di pane e altri generi di prima necessità. La farina è introvabile, latte, formaggio e burro scarseggiano e lo zucchero ormai è un bene di lusso, visto che si trova soltanto ad un prezzo cinque, sei volte superiore a quello normale. Mi hanno riferito anche di alcuni medicinali che sono reperibili con grande difficoltà, ma per fortuna dal punto di vista sanitario non abbiamo ancora toccato la soglia d'allarme. Le agenzie internazionali invece fanno sempre più fatica a soddisfare le richieste di cibo della popolazione. Gaza, non dimentichiamolo, è la terra per 1,4 milioni di palestinesi e non bastano certo i pochi autocarri fatti passare oggi (ieri) per Karni a rifornire i nostri centri abitati. Una situazione così grave non ha precedenti e deve farci riflettere: qualche mese fa era stato enfatizzato il ritiro di soldati e coloni israeliani da Gaza. Tanti avevano parlato di una nuova era e invece i palestinesi rimangono sotto il controllo totale di Israele, anche per i generi di prima necessità. Yossef Mishlab, coordinatore per le attività di Israele nei Territori occupati, nega la gravità della crisi, sostiene che le ragioni vanno cercate nella mancanza di volontà dei palestinesi di fermare i gruppi armati che preparano attentati. Affermazioni assurde. Mishlab forse crede che i palestinesi consumino biscotti e dolcetti e non pane, latte e zucchero? È vero che l'esercito ha lasciato entrare a Gaza alcuni carichi umanitari ma qui siamo in tanti e Karni è rimasto chiuso dall'inizio dell'anno per ben 47 giorni totalmente e cinque giorni parzialmente. E alla scarsità di generi di prima necessità si deve aggiungere la rovina in cui sono caduti i nostri produttori ed esportatori che per due mesi non sono riusciti a far uscire da Gaza le loro merci. Stiamo parlando di danni ad imprese private per molti milioni di dollari che avranno forti ricadute su centinaia di lavoratori dipendenti. Israele insiste affinché i palestinesi usino il transito di Kerem Shalom Perché è un vero e proprio posto di frontiera dove per i controlli e le procedure di transito sono responsabili solo gli israeliani e non ci sono funzionari palestinesi, come invece accade a Karni. È da considerare anche che è molto piccolo, quindi insufficiente per i nostri bisogni.

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