In un editoriale pubblicato da AVVENIRE del 21 marzo 2006 Fulvio Scaglione ammette che verso Hamas é necessario mostrare fermezza, ma avverte che bloccare ogni finanziamento sarebbe da parteb dell'Europa una rinuncia alla sua influenza politica, in favore di finanziatori alternativi come l'Iran e l'Arabia Saudita.
Ma se guardiamo ai numeri il ragionamento di Scaglione mostra la sua inconsistenza.
Riportiamo di seguito un passo dell'intervista di Fiamma Nirenstein all'esperto di Iran Menashe Amir, pubblicata da La STAMPA il 21 febbraio 2006:
"Hamas non si deve illudere: il contributo che l'Iran può offrire, non è neppure da lontano simile a quello che Hamas riceveva da Israele, gli Usa e l'Europa».
Ovvero?
«L'Autorità Palestinese riceve intorno ai venti miliardi di dollari l'anno. L'Iran, anche se ha grandi riserve petrolifere può fornire circa 300 milioni. I sauditi a loro volta daranno forse poco più di 200 milioni, e il Kuwait intorno a 300".
Cifre dalle quali risulta chiaramente che in realtà l'Autorità Nazionale Palestinese non può fare a meno per il suo funzionamento della comunità internazionale.
Ecco il testo dell'editoriale:
Finora sordo agli appelli dall'estero, il premier designato Ismail Haniyeh dovrebbe almeno dare ascolto ai messaggi che arrivano dai suoi. Dal sondaggio svolto dal Palestinian Center for Policy and Survey Research, per esempio, secondo cui il 70% dei palestinesi mostra relativa fiducia in un governo di Hamas mentre il 75% chiede negoziati di pace con Israele. E questi non sono certo "traditori della causa", ma elettori di Hamas che non ragionano per stereotipi e usano il buon senso individuando la sola strada praticabile: quella del dialogo con Israele, che nella regione è l'unica vera potenza militare e per di più è appoggiata da una potenza militare ed economica come gli Usa. Altri messaggi arrivano ad Haniyeh dalla striscia di Gaza, dove i miliziani di al-Aqsa hanno attaccato le sedi della polizia reclamando, per quanto incredibile possa sembrare, proprio l'assunzione nella polizia. La stessa Gaza dove cinque camion di generi di prima necessità sono riusciti a transitare per il valico di Karni, aperto e subito richiuso dalle autorità di Israele che lo avevano bloccato il 21 febbraio scorso nel timore di attentati. Una goccia nel mare dei bisogni della Striscia, che rischia il disastro umanitario anche grazie al caos in cui l'ha precipitata la gestione palestinese.
Ogni giorno, insomma, la forza dei fatti indica ai dirigenti di Hamas alcune inevitabili realtà. Sono rimasti gli unici a non riconoscere a Israele il diritto di esistere: certo, c'è anche l'Iran, ma a morire negli scontri sono poi i palestinesi, non gli iraniani. Sono rimasti gli unici a credere di poter sconfiggere Israele con la violenza: al di là dell'aberrazione morale degli attentati, Haniyeh e i suoi dovrebbero almeno aver capito che l'opzione della lotta armata è, per i palestinesi, l'unica di sicuro perdente.
Haniyeh dovrebbe piuttosto riflettere sul credito che gli eletto ri palestinesi offrono alle sue capacità non di lotta (già note) ma di governo (ancora ignote), e chiedersi magari se esso non sia dovuto agli interventi che il suo movimento realizzava in scuole e ospedali mentre i boss di al-Fatah incassavano bustarelle. Preoccuparsi, cioè, del fatto che i palestinesi chiedono più lavoro e meno bombe. Obiettivo che non può essere raggiunto senza una composizione dei rapporti con Israele, con cui l'Autorità nazionale palestinese addirittura divide il territorio.
A giudicare dal governo presentato al presidente Abu Mazen e dai nomi dei "duri" cui sono andati i ministeri-chiave, Haniyeh dev'essere refrattario alla realtà. Se così è, non durerà a lungo. Se durerà, sarà perché avrà cominciato a rendersene conto. Peserà molto, in questo senso, la comunità internazionale e la sua capacità di combinare le giuste pressioni con la necessaria astuzia. Per quanto odiose siano state le azioni di Hamas, c'è il rischio di decretare nei suoi confronti un bando che non lo neutralizzerà né gli alienerà il favore dei palestinesi. Prendiamo l'Europa e la minaccia di tagliare gli aiuti se non verrà scelto il dialogo. Non solo l'Iran è pronto ad aprire il portafogli, anche l'Arabia Saudita ha già annunciato che finanzierà Hamas e il suo governo. La prudenza è d'obbligo, quindi. Le posizioni di principio sono sacrosante, ma restare con solo quelle in mano non sarebbe un grande affare.
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