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La Stampa Rassegna Stampa
21.03.2006 Gli Usa saranno al fianco di Israele se l'Iran lo attaccherà
il discorso di George W. Bush

Testata: La Stampa
Data: 21 marzo 2006
Pagina: 9
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Bush: pronti a difendere Israele»

Da La STAMPA di martedì 21 marzo 2006, un articolo di Maurizio Molinari:

Combattere la guerriglia in Iraq significa impedire ad Al Qaeda di tornare ad insediarsi su uno specifico territorio: è questo il messaggio che il presidente americano, George W. Bush, ha recapitato agli americani nel tentativo di risollevare la fiducia nell'amministrazione.
Parlando al City Club di Cleveland, nello Stato dell'Ohio che fu decisivo per essere rieletto nel 2004, Bush ha indicato quanto avvenuto a Tal Afar per spiegare il motivo della perdurante presenza militare in Iraq a tre anni dall'attacco che portò al rovesciamento del regime di Saddam Hussein. Tal Afar è un piccolo centro nel nord-ovest dell'Iraq, ai confini con la Siria, dove i guerriglieri di Al Qaeda si erano insediati proprio dopo la caduta di Saddam. «La malvagità dei terroristi è difficile da immaginare, governavano con la paura e l'intimidazione senza risparmiare le violenze contro le donne ed i bambini» ha detto il presidente paragonando quanto avveniva a Tal Afar alle violenze sofferte dagli afghani sotto il regime dei taleban.
«Una volta sconfitti i terroristi, Tal Afar è tornata a vivere ed oggi la gente può partecipare alla vita pubblica, costruire il proprio futuro» ha aggiunto. Da qui la convinzione che l'Iraq sia il «fronte centrale della guerra al terrore» perché se i terroristi di Abu Musab al-Zarqawi dovessero prevalere «Al Qaeda trasformerebbe ogni centro urbano in una città fantasma». Sono parole simili a quelle pronunciate a Washington la scorsa settimana dal vicepresidente Dick Cheney quando indicò la «priorità strategica» nell'«impedire ad Al Qaeda di tornare a controllare uno specifico territorio» sottolineando come questo rischio esista ancora in Iraq, Afghanistan e Pakistan. «Non lasceremo l'Iraq in mano ai terroristi che ci attaccarono l'11 settembre - ha ribadito ieri Bush - di fronte al nemico l'America non ha mai indietreggiato e non lo farà certo ora».
Parlare con il linguaggio di Cheney serve al presidente anche a rispondere al vortice di indiscrezioni su un possibile rimpasto alla Casa Bianca che potrebbe portare il Segretario di Stato Condoleezza Rice alla vicepresidenza spostando Cheney alla guida del Pentagono da dove verrebbe allontanato Donald Rumsfeld. A spingere per un rimpasto di queste dimensioni sono opinionisti neoconservatori, come ha fatto Fred Barnes sul «Wall Street Journal», che chiedono a Bush un brusco colpo di reni per rilanciare i repubblicani dando in vista delle elezioni di quest'anno e del 2008. Ma il presidente al momento resta fedele alla propria agenda - discussa ieri alla Casa Bianca con il Segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer - e sull'Iraq sottolinea come per la stabilizzazione del Paese urge a Baghdad un accordo sulla formazione del nuovo governo. Da qui l'appello ai leader iracheni affinché raggiungano un compromesso: «Devono superare le differenze, porre fine ai loro disaccordi». Concluso un discorso di trenta minuti, Bush ha affrontato nell'ora seguente le domande del pubblico - una tecnica suggerita dai consiglieri per recuperare popolarità - parlando a più riprese del «pericolo Iran». «E' la nuova minaccia perché persegue l'atomica e vuole distruggere Israele, un nostro solido alleato, ma se dovesse attaccarlo sappia che useremo la forza per difenderlo» dice il presidente, sottolineando tuttavia come «la nostra scelta è di risolvere il caso-Iran con la diplomazia ed il contributo degli altri Paesi, dell'Europa, della Russia e della Cina» lasciando il ricorso all'azione militare come «ultima opzione».
Si tratta di parole destinate al Palazzo di Vetro, dove i viceministri degli Esteri dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) più la Germania si sono riuniti fino a tarda sera per trovare un accordo sul testo che potrebbe essere votato oggi. Sull'Iran Bush non ha forzato i toni, limitandosi a mettere dei paletti: «La priorità resta la diplomazia», «gli errori dell'intelligence in Iraq pongono problemi di credibilità».

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