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La Repubblica Rassegna Stampa
21.03.2006 La ripresa del dialogo dipende dai palestinesi
intervista a Tzipi Livni, ministro degli Esteri d'Israele

Testata: La Repubblica
Data: 21 marzo 2006
Pagina: 15
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «"Israele tratterà con Hamas se abbandonerà il terrorismo"»

Da La REPUBBLICA del 21 marzo 2006, un'intervista al ministro degli Esteri d'Israele, Tzipi Livni:

GERUSALEMME - «La triste realtà è che Israele non ha un interlocutore palestinese», dice il ministro degli Esteri, Tzipi Livni, in un´intervista a Repubblica alla vigilia del suo viaggio in Italia. Parlare per parlare, dice, non serve. È imprescindibile, invece, che Hamas adempia alle tre condizioni poste dalla comunità internazionale.
Signora Livni, Hamas ha formato il suo governo. Lei prevede qualche negoziato coi palestinesi in un prossimo futuro?
«Dipende dai palestinesi. La comunità internazionale ha posto tre condizioni preliminari ad ogni futuro governo palestinese per ottenere la legittimazione internazionale ed anche di Israele. Quindi solo un vero cambiamento in termini di rinuncia alla violenza ed al terrorismo, di riconoscimento del diritto di Israele ad esistere in quanto Stato ebraico, e l´adozione dei precedenti accordi, può condurci alla stessa posizione in cui eravamo con Al Fatah».
E da lì, in sostanza, ripartire?
«Spero, ma per Israele il fatto che non ci sia un interlocutore è una triste realtà. Non crediamo nella politica della stagnazione, il nostro obiettivo è di trovare il modo di vivere in pace; ma disgraziatamente, dall´altra parte, a volte ci sono persone che vogliono porre fine al conflitto ma non hanno la capacità di farlo, e a volte si può trovare gente, come quella di Hamas, convinta che gli ebrei e anche i cristiani non hanno diritto di vivere nella Terra d´Israele».
Nel caso che Hamas non accetti le tre condizioni, non parlerete nemmeno con l´Olp?
«Non si può parlare tanto per parlare. Ci deve essere una ragione per parlare, ed è mia responsabilità vedere se c´è una possibilità di trovare il modo di mettere fine al conflitto o di vivere in un futuro non-violento finché la pace sia raggiunta. Dobbiamo affrontare la realtà, e la realtà è che i Palestinesi, con le loro elezioni, hanno scelto Hamas, che è stata definita un´organizzazione terroristica. La Carta e la piattaforma di Hamas sono piene di odio e di incitamento, di idee islamiche estremiste. La questione, quindi, non è se si parla l´uno con l´altro, ma se c´è una possibilità, con questo genere di idee e di leadership, di promuovere un vero processo di pace».
Per questo le chiedevo dell´Olp.
«La questione non è trovare uno o due o alcuni palestinesi moderati, ma se questi moderati sono in grado di fare qualcosa. Anche prima delle elezioni nell´Autorità palestinese la richiesta rivolta non solo da Israele, ma dall´intera comunità internazionale, era di smantellare le organizzazioni terroristiche, ma Abu Mazen, il presidente palestinese eletto, ha detto allora che non aveva la forza per farlo. Se non può mantenere gli accordi nemmeno nei termini della Road Map, che tipo di futuro e che tipo di negoziati possiamo avere?»
L´operazione di Gerico può essere considerata un modello delle relazioni future fra Israele ed i palestinesi?
«Non capisco, in che termini?»
In termini d´assenza di negoziati.
«Parliamo pure dell´operazione di Gerico. La storia comincia nel momento in cui un ministro israeliano viene ucciso in Israele da terroristi palestinesi. I terroristi vengono arrestati e noi vorremmo portarli in Israele per processarli. Ma Arafat, anche se gli accordi prevedono che ci consegni gli assassini, rifiuta, è dà loro rifugio alla Muqata. A questo punto la comunità internazionale propone di metterli in prigione a Gerico, sotto il monitoraggio internazionale.
Si è trattato di un accordo quadrilaterale, che oltre a Israele e i palestinesi ha coinvolto anche inglesi e americani. Ad un certo punto gli americani e gli inglesi si sono trovati nella situazione in cui il loro personale s´è sentito minacciato, e allora hanno detto che avrebbero lasciato la prigione se i palestinesi non avessero garantito la sicurezza del loro osservatori. Abu Mazen ha risposto che non gli importava se gli inglesi se ne fossero andati e se questi assassini fossero usciti, liberi. Tutto questo è contrario non soltanto agli accordi ad interim fra Israele ed i palestinesi, ma è una completa rottura dell´accordo».
Israele non è stato informato dagli inglesi e dagli americani che se ne sarebbero andati?
«Israele è stato informato dagli inglesi e dagli americani quando questi hanno informato Abu Mazen. Il ministro degli Esteri inglese Jack Straw ha detto chiaramente nella sua lettera ad Abu Mazen che avrebbe informato anche noi se gli inglesi se ne fossero andati. Era loro dovere informarci. E quando Hamas ha promesso che avrebbe liberato questa gente, ed Abu Mazen ha detto che non gliene importava se i terroristi fossero stati liberati, che scelta avevamo?» Comunque è stato un colpo per il prestigio di Abu Mazen...
«Che cosa suggerisce? Che lasciassimo libera questa gente per salvare il prestigio di Abu Mazen? Il prestigio di Abu Mazen avrebbe potuto cambiare la situazione se, 5 minuti prima che gli inglesi se ne andassero, avesse detto che avrebbe garantito la loro sicurezza. Ma non l´ha fatto Noi ci siamo assunti le nostre responsabilità dopo che gli inglesi hanno deciso di andarsene».
Quello che le sto chiedendo è quale sia l´interesse israeliano nell´indebolire la figura di Abu Mazen.
«Non è nell´interesse israeliano indebolire Abu Mazen. Sappiamo bene che è il presidente, che è certamente più moderato di Hamas, che crede che l´uso del terrorismo sia un errore strategico. È questa la ragione per cui abbiamo creduto, prima delle elezioni nell´Autorità palestinese, che dopo lo sganciamento da Gaza, dopo che Israele aveva fatto un passo del genere, avrebbe potuto aprirsi una nuova "finestra di occasioni" per andare insieme ad Abu Mazen verso un nuovo futuro. Ma è successo qualcosa: Hamas ha vinto le elezioni, c´è un parlamento guidato da Hamas e un governo tutto di Hamas, e questo è qualcosa che dobbiamo affrontare. Abu Mazen talvolta ha buona volontà, ma non può mantenere gli impegni. Questo è quello che è successo a Gerico e questo è quello che succede con la Road Map».
Pensa che la Road Map sia ancora viva?
«Sì, lo penso. E penso anche che la soluzione dei due Stati, l´uno accanto all´altro in pace e in sicurezza, sia la giusta soluzione. Quando parlo dei due Stati, parlo di uno stato per gli ebrei e uno per i palestinesi che vivono nei Territori e per quelli che vivono fuori dai Territori. Lo Stato palestinese è la risposta ai problemi dei palestinesi, ma quando sento quelli di Hamas parlare di pieno diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi in Israele, questi discorsi mi ispirano qualche pessimismo».
Lei sta per andare in Italia in un momento politico molto delicato. Tutti sanno che i rapporti Italia-Israele non son mai stati così buoni come durante il governo Berlusconi. Teme i cambiamenti che possono verificarsi in Italia?
«Non risponderò a questa domanda, ma le posso dire che i rapporti sono davvero molto buoni. Ho parlato con il Ministro degli Esteri Gianfranco Fini, e so che Ehud Olmert ha parlato con Berlusconi e vedono la situazione allo stesso modo».

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