mercoledi` 23 ottobre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Informazione Corretta Rassegna Stampa
20.03.2006 Wafa, una donna contro i fondamentalisti
Su Al Jazeera denuncia l'Islam violento

Testata: Informazione Corretta
Data: 20 marzo 2006
Pagina: 0
Autore: Carmine Monaco
Titolo: «Wafa, una donna contro i fondamentalisti»
LOS ANGELES - Fino a tre settimane fa la dottoressa Wafa Sultan era una psichiatra siro-americana pressoché sconosciuta, che viveva a Los Angeles e provava una profonda rabbia e tanta disperazione per i suoi correligionari musulmani. Oggi, grazie a una intervista insolitamente dura e provocatoria trasmessa il 21 febbraio da Al-Jazeera, è un fenomeno internazionale, salutata da alcuni come un rigenerante esempio di razionalità, da altri come un'eretica e un'infedele che merita solo di morire.

Nell'intervista, cliccata su Internet oltre un milione di volte e inviata via e-mail a centinaia di migliaia di persone nel mondo, Sultan aveva aspramente criticato i religiosi musulmani, i sacri guerrieri e i leader politici che lei reputa abbiano radicalmente alterato gli insegnamenti di Maometto e del Corano per 14 secoli.
Sultan afferma che i musulmani di tutto il mondo sono precipitati in un vortice di auto-commiserazione e di violenza. Dice che il mondo non sta assistendo a uno scontro di religioni o di cultura, ma alla lotta tra la modernità e la barbarie, una battaglia che le forze dell'Islam violento e reazionario sono destinate a perdere.

In risposta alle sue parole i religiosi di tutto il mondo musulmano l'hanno condannata e la sua segreteria telefonica è piena di brutali minacce. I riformisti islamici l'hanno invece elogiata per aver saputo dire a testa alta, in arabo e sul network televisivo più seguito del mondo arabo, quello che pochi musulmani oserebbero dire perfino in privato.

"Io credo che noi musulmani siamo ostaggi dei nostri stessi principi e precetti", dice in un'intervista a casa sua, in un sobborgo di Los Angeles. "La cultura mi ha affrancato da questo modo di pensare anacronistico. Qualcuno dovrebbe liberare il popolo musulmano da questi falsi concetti".


Forse la provocazione maggiore è stato il paragone tra gli ebrei e i musulmani e sul modo in cui hanno reagito alle avversità. Parlando dell'Olocausto, Sultan ha detto: "Gli ebrei sono usciti da una tragedia e hanno costretto il mondo intero a rispettarli, con la loro cultura, non con il terrore, con il loro lavoro, non compiangendosi e gridando". E ancora: "Non abbiamo mai visto un ebreo che si facesse saltare in aria in un ristorante in Germania. Non si è mai visto neppure un ebreo distruggere una chiesa, né si è mai visto un ebreo protestare uccidendo altra gente".

"Soltanto i musulmani difendono i principi in cui credono riducendo a un ammasso di ceneri le chiese, uccidendo la gente e distruggendo le ambasciate. Questa strada non porterà ad alcun risultato. I musulmani devono chiedersi che cosa possono fare per il resto del genere umano, prima di chiedere che gli altri li rispettino".

Il Congresso ebraico americano l'ha invitata a parlare a maggio a una conferenza in Israele. "Abbiamo discusso con lei l'importanza del suo messaggio e abbiamo cercato di individuare la sede più opportuna perché lei possa rivolgersi ai leader ebraici", dice il direttore Neil B. Goldstein. Con ogni probabilità sarà accolta molto meglio a Tel Aviv di come lo sarebbe a Damasco: poco dopo l'intervista, le autorità religiose siriane l'hanno accusata di essere un'infedele. Uno di loro ha persino detto che le sue parole hanno creato più danni all'Islam delle vignette danesi offensive nei confronti del Profeta.

Adesso Wafa Sultan sta "lavorando a un libro che se sarà pubblicato metterà a soqquadro il mondo islamico". "Sono arrivata a un punto in cui non mi è più permesso tornare indietro. Non ho altra scelta. Sto mettendo in discussione ogni singolo insegnamento e precetto del nostro libro sacro". Il titolo provvisorio è "Il prigioniero fuggito: quando dio è un mostro".
Wafa Sultan, 47 anni e tre figli, è cresciuta in una famiglia musulmana tradizionale a Banias, in Siria. Suo padre era un commerciante di cereali e un musulmano devoto e lei ha sempre osservato i precetti della sua fede fino all'età adulta. La sua vita, però, è cambiata nel 1979, quando è diventata studentessa di medicina all'università di Aleppo.

All'epoca la Fratellanza islamica ricorreva al terrorismo per cercare di destabilizzare il governo del presidente Hafez al-Assad. Uomini armati appartenenti alla Fratellanza islamica fecero irruzione in un'aula dell'università e uccisero il suo professore sotto i suoi occhi. "Gli spararono contro centinaia di proiettili gridando "Dio è grande!". Fu in quel momento che persi la fede nel loro dio e iniziai a mettere in discussione tutti i nostri precetti. E' stata la svolta nella mia vita, e mi ha portato a essere quella che sono. Me ne sono dovuta andare dalla Siria. Ho dovuto cercare un altro dio".

Wafa Sultan dice di non essere più praticante: "Sono un essere umano laico". L'altro ospite del talk show di Al Jazeera, il professore egiziano specializzato in studi religiosi Ibrahim al-Khouli, le ha chiesto: "Lei è un'eretica?". E poi ha dichiarato che non valeva la pena di rimproverarla o di discutere con lei, perché era solo una blasfema. Wafa Sultan ha intepretato queste parole come una fatwa formale, una condanna religiosa. Da allora, racconta, aver ricevuto moltissime minacce di morte sulla sua segreteria telefonica o tramite e-mail. Uno dei messaggi diceva: "Oh, sei ancora viva? Aspetta e vedrai". L'altro giorno ha ricevuto un messaggio in arabo per posta elettronica: "Se c'è uno che ti ucciderà, quello sono io".

Wafa Sultan dice che sua madre, rimasta in Siria, ha paura a entrare in contatto diretto con lei. Madre e figlia si parlano soltanto per mezzo di una sorella che vive in Qatar. Wafa si preoccupa maggiormente per la sicurezza della sua famiglia qui e in Siria che per la propria. "Io non ho paura. Credo profondamente in quello che dico. E come se avessi intrapreso un viaggio di un milione di miglia e ne avessi percorse le prime dieci soltanto. Le più difficili".


info@informazionecorretta.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT