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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.03.2006 Liberato in Iran il dissidente Akbar Ganji
le pressioni di Europa e Stati Uniti sono servite

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 marzo 2006
Pagina: 12
Autore: Alessandra Coppola
Titolo: «Iran, libero il dissidente Ganji: «Ma non mi sono arreso»»

Dal CORRIERE della SERA di lunedì 20 marzo 2006:

Una lunga barba grigia e incolta, il volto pallido e magrissimo.
Qualcuno degli amici accorsi nella casa a nord di Teheran per festeggiarlo ha fatto fatica a riconoscerlo. Dopo sei anni di prigione il giornalista iraniano Akbar Ganji è tornato tra i suoi. Le due figlie adolescenti, la moglie Masoumeh: «Pesa solo 49 chili, è debolissimo. Ma noi siamo così contente...». E lui nelle foto non smette di sorridere: «Il carcere e le pressioni non sono riusciti a cambiare le mie idee — dice —. Oggi sono ancora più deciso a dire ciò che dicevo sei anni fa». A suo modo, è una vittoria.
La prigione ha trasformato il fisico. Ganji ha adesso dei forti dolori al ginocchio e alla schiena, probabilmente sarà operato. Gli anni trascorsi in cella di isolamento sono stati durissimi. Sessanta giorni di sciopero della fame l'estate scorsa l'hanno profondamente segnato. «Socrate ha scelto la morte perché le sue idee continuassero a vivere», scriveva all'amico e maestro Soroush in una lettera del 10 luglio, quando il lungo digiuno stava per ucciderlo.
A tutto questo il più celebre dei dissidenti iraniani alle fine è sopravvissuto. E senza aver dovuto abiurare al credo riformista, come avrebbero voluto le autorità di Teheran. «Sono più radicale ora di prima», dice, suscitando la preoccupazione della moglie: «Non vogliamo che torni in prigione. Le mie figlie hanno bisogno del padre. Abbiamo sofferto abbastanza...».
Gli avvocati che l'hanno seguito in questo periodo di detenzione gli suggeriscono cautela e poche selezionate dichiarazioni, almeno fino alla fine del mese. L'ipotesi di un ritorno in cella per scontare gli ultimi giorni di condanna, però, sembra da escludere: Ganji è stato portato a casa venerdì notte quasi allo scadere della pena (che si estinguerà ufficialmente il 30 marzo), in occasione delle feste per il capodanno persiano, Nowruz, che si concludono il 3 aprile.
La liberazione anticipata è probabilmente un segnale di buona volontà del regime ultraconservatore del presidente Ahmadinejad in un momento di delicate relazioni diplomatiche (attesa a giorni la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu sul dossier nucleare). Forti le pressioni per la scarcerazione dagli Usa. Lo stesso presidente George W. Bush aveva lanciato un appello: «Mr Ganji, nella sua battaglia di libertà l'America è con lei». E per il dissidente si erano mosse Unione Europea e Nazioni Unite. L'associazione per la libertà di stampa Reporters sans frontières ringrazia «chi ha difeso il giornalista: la mobilitazione della comunità internazionale non è stata vana».
Sul piano interno la liberazione di Ganji dà nuovo impulso all'opposizione e al movimento degli universitari. «È diventato ancora più popolare per la sua resistenza — dice il leader studentesco Abdullah Momeni al New York Times —: ha scontato tutta la pena senza mai mostrare segni di resa alle pressioni. E non ha mai rinnegato ciò in cui crede. In più gli studenti trovano le proprie idee molto vicine a ciò che Ganji ha scritto e detto sul sistema repubblicano». Esattamente ciò che lo ha portato in carcere. «Attentato alla sicurezza dello Stato», è scritto nella sentenza (10 anni ridotti in appello a sei), «insulto al fondatore della Repubblica islamica e ai valori sacri del regime».
Seguace entusiasta della Rivoluzione del '79, ex pasdaran e guardia del corpo di Khomenei, Ganji, 46 anni, con il tempo muta radicalmente opinione. Lo studio della filosofia occidentale, la lettura di Hannah Arendt e Karl Popper, il lavoro di giornalista, le inchieste politiche: progressivamente si allontana dal regime islamico, di cui mette ora in risalto la natura totalitaria, e inizia la sua battaglia non violenta per un Iran laico e democratico.
Nel nutrito dossier che il regime compila contro di lui, il peso maggiore ce l'hanno gli scritti che indicano alti dirigenti di Teheran, tra cui l'ex ministro dell'Informazione Ali Fallahian, come mandanti degli omicidi di intellettuali alla fine degli anni Novanta. Ad aprile 2000, al ritorno da Berlino dove ha preso parte, insieme ad altri riformisti, a una Conferenza sull'Iran, viene arrestato. E diventa «eroe» della lotta alla teocrazia sciita. «Oggi il mio volto disfatto è il vero volto della Repubblica islamica dell'Iran — scrive a luglio dal carcere —. Sono il simbolo della giustizia che mette in luce l'intera portata dell'oppressione di chi governa».

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