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La Repubblica Rassegna Stampa
20.03.2006 Il terrorista "intransigente" e la guerra dei valichi "dichiarata da Israele"
nel linguaggio di Alberto Stabile, le spie del pregiudizio

Testata: La Repubblica
Data: 20 marzo 2006
Pagina: 23
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Hamas presenta il suo governo»

Mahmud Zahar, probabile ministro degli Esteri palestinese del governo di Hamas, in una intervista al Washington Post ha chiarito che il riconoscimento di Israele, "un'entità illegale" é impossibile e  che se  é la condizione posta per il finanziamento all'Anp da americani ed europei (questi ultimi, naturalmente, non hanno mai avuto intenzione di porre nessuna condizione) , ebbene essi possono "tenersi i loro soldi e andare all'inferno".
Ecco come Alberto Stabile, su la REPUBBLICA di lunedì 20 marzo 2006 sintetizza le sue posizioni: "fama di intransigente, discorsi coerenti con questa fama".
Voler distruggere Israele sarebbe "intransigenza"? Lo stesso atteggiamento comunemente attribuito a Israele quando combatte il terrorismo?
In un altro passaggi dell'articolo Stabile ci informa che Israele avrebbe "dichiarato" una "guerra dei valichi", "con conseguente minaccia di crisi alimentare". Ma la "guerra dei valichi" in realtà é stata dichiarata dai terroristi, prima con gli attentati risusciti, poi con quelli la cui segnalazione ha costretto Israele a chiudere il valico di Karni. Un altro contributo alla dichiarazione di guerra é venuto dall'Autorità nazionale palestiense, che non ha collaborato all'apertura di un valico alternativo.
Degno di nota anche il sottotitolo "Dal fronte laico solo dei "no" ". Il primo no é quello di Hamas, che ha rifiutato di riconoscere gli accordi già stipulati con Israele.
Ecco il testo: 

GERUSALEMME - Il primo ministro incaricato, Ismail Haniyeh, ha presentato ieri sera ad Abu Mazen il suo governo e il suo programma. Nessuna delle due cose coincide con ciò che il presidente dell´Autorità palestinese si augurava. Il governo è quasi interamente composto da esponenti di Hamas, militanti o simpatizzanti e il programma anziché abbracciare la via del negoziato esalta la resistenza. Tuttavia Abu Mazen sembra propenso a dare al Movimento islamico la possibilità di governare, secondo la volontà espressa dagli elettori, e soltanto in un secondo tempo, nel caso in cui il nuovo esecutivo dovesse dimostrarsi inadeguato o incapace di colmare il vuoto di fiducia che s´è creato nella comunità internazionale, allora il presidente palestinese potrebbe far valere i suoi poteri costituzionali, licenziare il premier ed aprire la crisi.
Per adesso e per il prossimo futuro, Abu Mazen, dovrà provare a convivere con un governo che non ha accettato i principio basilari cui s´è basata la politica dell´Autorità palestinese (negoziato, riconoscimento d´Israele, accettazione degli accordi sottoscritti) e che mantiene come al centro del proprio programma la resistenza «con ogni mezzo» all´occupazione. La possibilità di formare un governo di unità nazionale, con tutte le fazioni rappresentate e con un certo numero di personalità indipendenti alla testa dei dicasteri-chiave, possibilità fortemente auspicata dagli stessi dirigenti di Hamas all´indomani della vittoria elettorale, è rimasta una chimera. Durante le tre settimane di trattative, a parte qualche concessione verbale, Hamas è rimasta ferma sulle sue posizioni.
E´ stato per primo al Fatah, il partito di Abu Mazen, cui ancora brucia la sconfitta ma che non ha tuttavia iniziato nessuna seria riflessione interna, a mettere in chiaro che, stando così le cose, non avrebbe partecipato al governo con Hamas. Restava il Fronte Popolare, ma alla fine anche l´organizzazione fondata dal medico cristiano George Habbash, ha rinunciato davanti al rifiuto dei rappresentati di Hamas di riferirsi all´Olp, come all´«unica legittima rappresentate del popolo palestinese». Una questione, questa, che sembra riportare il dibattito interpalestinese indietro di vent´anni, ma che riflette, in realtà, l´ambizione degli islamisti di mettere in discussione l´intera struttura politica storicamente nata dal movimento di lotta palestinese.
Alla fine, sul tappeto non è rimasta che l´ipotesi di un governo quasi del tutto verde, come le bandiere di Hamas. Un governo che, allo stato, non ha prodotto nessuno strappo rispetto al retroterra ideologo su cui si fonda Hamas, e che sembra affidare soltanto ai sorrisi del premier designato, Ismail Haniyeh, il potere di convincere e rassicurare.
In questo governo, l´incarico di ministro degli Esteri dovrebbe essere affidato a Mahmud al Zahar, fama d´intransigente, discorsi coerenti con questa fama. Alle Finanze, dovrebbe andare Omar Abdul Razeq, docente d´economia all´Università di Nablus, arrestato dagli israeliani a gennaio e scarcerato quattro giorni fa. Sheil Najef Rajub, fratello del laico Jibril, dovrebbe dirigere il Waqf, fondo per le proprietà islamiche. Un cristiano di Betlemme, Tannus Abu Eitah, dovrebbe essere il prossimo ministro del Turismo, fiore all´occhiello di un pluralismo mancato. E che questo governo sia in grado di fronteggiare i drammatici problemi che gravano sui palestinesi (da ultimo la guerra dei valichi dichiarata da Israele con conseguente minaccia di crisi alimentare) è tutto da dimostrare.

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