Sulla STAMPA di oggi, 18 marzo 2006, un titolo neutro e algido per un articolo che invece è estremamente chiaro e accurato su come Hamas intende il governo palestinese. Invece di titolare "Hamas da solo nel governo Anp", era più corretto evidenziare la linea diretta che collega Hamas con le non dimenticate abitudini di Arafat, che dava una versione delle sue intenzioni in inglese (per il mondo occidentale) e una in arabo per i suoi. Naturalmente quella in inglese serviva per ingannare Europa e Usa, un gioco che è continuato fino alla sua morte. E che rende ancora oggi, se vediamo come le dichiarazioni possibiliste verso un riconoscimento di Israele di Haniyeh sono state accolte sulla stampa occidentale. C'è cascato anche IL GIORNALE che, nella sua edizioni di oggi, titola a tutta pagina " Ora spero di firmare la pace con Israele", il che è tutto il contrario di quello che Hamas rivendica e dichiara di voler fare. (in giornata pubblicheremo l'articolo di Gian Micalessin). Ancora una volta la menzogna viene presa per buona. Per fortuna l'articolo di Fiamma Nirenstein ci aiuta a capire come stanno esattamente le cose.
Suggerriamo ai lettori di Informazione Corretta di riprendere le informazioni di Fiamma Nirenstein su Hamas e di farne oggetto di e-mail da inviare al Giornale in particolare e ai propri giornali di riferimento. La tesi è: attenti al tranello di Hamas, è la vecchia storia di Arafat che si ripete.
Ecco l'articolo di Fiamma Nirenstein:
Il Fatah di Abu Mazen ha troppi guai di suo per accettare anche quello di far parte di un governo guidato da Hamas. Non ci stanno neppure i partiti e i gruppi minori, come l'estremista Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, o il gruppo Terza Via di cui è parte l'onesto economista Salam Fayad cui Hamas si è rivolto con offerte, respinte, di ministeri importanti.
Hamas è isolato, mentre il mondo seguita invano a chiedergli di riconoscere Israele, di abbandonare la lotta armata, di attenersi agli accordi precedenti al suo avvento al potere. Ma la linea non è cambiata, e Abu Mazen ha ricevuto dei «no» alle condizioni poste per entrare al governo. E così oggi Ismail Hanje gli presenta una lista di nomi per il governo in cui non figurano nient'altro che uomini suoi. Hanje ha già avvertito che se per caso il presidente dovesse respingere la proposta, lunedì egli la riporterà al Consiglio Legislativo. Un segnale di solitudine, di scontro interno, di sospetto reciproco, e soprattutto una mancanza di avallo che mette Hamas in difficoltà di fronte ai rapporti e ai finanziamenti internazionali.
Ismail Haniyeh, per cercare di ammorbidire l'immagine di una Autorità Palestinese in mano di un'organizzazione terrorista, prosegue sulla linea delle liste elettorali adornate di nomi di professionisti e esperti: sedici dei suoi ministri, dice, non sono deputati, ma tecnici. Tuttavia quattro dei ministeri cruciali sono stati assegnati a leader di Hamas molto noti, come Mahmoud a Zahar, il portavoce della linea più aggressiva dell’organizzazione, che rifiuta l'esistenza dello Stato di Israele e loda gli shahid e la lotta armata. Dovrebbe diventare ministro degli Esteri.
Un altro irriducibile sostenitore dell'Islam più estremo, lo sceicco dalla barba color fiamma Mohammed Abu Tir, avrà il portafoglio per Gerusalemme e i prigionieri. Hamas alla vigilia del nuovo compito lancia messaggi sia in arabo che in inglese, secondo la sperimentata tradizione di Arafat. E sono molto diversi: in inglese, Ismail Haniyeh ha detto giovedì alla rete americana «Cbs» che spera, un giorno, nella pace con Israele; che ha le mani nette dal sangue degli attentati; e che non permetterebbe mai a suo figlio di diventare un terrorista suicida. Khaled Mashal, il leader che risiede a Damasco ha invece dichiarato - durante un incontro in memoria di un leader palestinese deceduto - che «il potere è solo un mezzo per Hamas (...) non ci terrà lontano dai nostri obiettivi (...) noi e i sionisti abbiamo un appuntamento col destino (...) se vogliono lo scontro, siamo pronti, se vogliono la guerra, noi siamo i figli della guerra (...) chi mette in piedi uno Stato prima di aver liberato la terra perde patria e terra. Noi abbiamo più resistenza di Israele e lo sconfiggeremo con l'aiuto di Dio».
Abu Mazen, dopo la terribile umiliazione subita dai suoi poliziotti in mutande durante l'assedio israeliano alla prigione di Gerico, è assediato anche da una gran parte dei suoi perché si dimetta e lasci posto a una leadership più dura che regga il confronto con la gestione Hamas. In questi giorni, la preoccupazione maggiore per Israele è un segreto ritorno alle armi del Fatah che vuole prendere il posto di Hamas occupato col potere e riconquistare il cuore della popolazione sul terreno degli attacchi terroristi, cioè la strada che ha portato Hamas alla vittoria. Il terreno scotta, con Hamas solo in vetta e Fatah offeso e libero dai gioghi che il potere, almeno formalmente, gli imponeva. Se Hamas volesse astenersi dal terrorismo per un po', Fatah è per strada di nuovo.