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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.03.2006 Le elezioni sono una parte della democrazia, ma non la esauriscono
l'analisi di Nathan Sharansky

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 marzo 2006
Pagina: 1
Autore: Nathan Sharansky
Titolo: «Elezioni pericolose, se la società non è libera»

Un intervento di Nathan Sharansky analizza i pregi e i difetti della strategia di democratizzazione del Medio Oriente fin qui adottata dagli Stati Uniti.
Ecco il testo:

Il programma statunitense di favorire la democrazia in Medio Oriente sembra aver subìto un colpo mortale. Il risultato delle elezioni in Iraq, Egitto e soprattutto a Gaza e in Cisgiordania ha indotto molti a concludere che sia un programma azzardato.
Ottimo in teoria ma disastroso in pratica, poiché permette agli elementi più pericolosi e antidemocratici della regione di acquisire potere con mezzi democratici.
Se fosse così, sarebbe certamente una situazione preoccupante. Avranno ragione gli scettici? È davvero troppo pericoloso promuovere la libertà nel mondo arabo? Gli Stati Uniti devono abbandonare questo loro progetto e tornare ad appoggiare i governi autoritari che fanno i loro interessi? Questa era la vecchia politica. Ma il «realismo» in politica estera — il principio per cui il mondo libero poteva comprarsi la sicurezza sostenendo dittatori dispotici che avrebbero agito favorendo gli interessi nazionali americani — è venuto meno l'11 settembre. Fu allora che molti politici si resero conto che i regimi oppressivi creavano un terreno fertile per il fanatismo e il terrore. Oggi molti credono che l'antidoto al fanatismo sia aprire queste società al dissenso, al libero scambio di idee, alle opportunità offerte da un mercato libero e alla speranza che accompagna la vita democratica.
Basandosi su questi presupposti, Bush ha avviato una politica audace, che pone al suo centro la democrazia. A parole il cambiamento è stato radicale. Ma, anche se credo che l'impegno del presidente nel proporre un forte cambiamento sia sincero, alle dichiarazioni non ha corrisposto l'azione politica, con una sola vistosa eccezione: la centralità data allo svolgimento di elezioni, ovunque e il più presto possibile. Questo è stato un errore, perché le elezioni, pur essendo parte del processo democratico, non possono mai sostituirsi ad esso.
Ero di questo avviso quando, nell'aprile del 2002, sottoposi ad Ariel Sharon un progetto politico che doveva culminare con la creazione di uno Stato palestinese pacifico e democratico a fianco di Israele. Nonostante la mia fiducia nella «democrazia», non mi illudevo affatto che le elezioni potessero essere immediate. Nel decennio precedente, la società palestinese era diventata una delle più corrotte e fanatiche della Terra. Giorno dopo giorno, alla televisione e alla radio, sui giornali e nelle scuole, una generazione di palestinesi era stata sottoposta ai peggiori incitamenti da parte dei suoi leader. Nelle zone palestinesi l'unico «diritto» che appariva tutelato era quello di portare armi.
In questa situazione di paura, intimidazione e indottrinamento, fare elezioni frettolose sarebbe stato un atto della massima irresponsabilità. Per questo proposi un piano che prevedeva elezioni non prima che fossero passati tre anni dall'attuazione di una serie di riforme democratiche. Credevo che tre anni fossero il minimo perché le riforme democratiche cominciassero a cambiare l'atmosfera in cui poter tenere delle elezioni libere. Sfortunatamente il piano non fu mai attuato.
La recente elezione di Hamas è frutto di una politica che mira alla forma della democrazia (le elezioni) piuttosto che alla sostanza (costruire e proteggere una società libera). Invece di fare pressioni per arrivare velocemente alle elezioni, il mondo democratico deve usare il suo notevole influsso morale, politico ed economico per contribuire alla costruzione di società libere in Medio Oriente.
Dovremmovincolare i vantaggi commerciali alla libertà economica, incoraggiare i diplomatici stranieri a incontrare apertamente i dissidenti e offrire aiuti in cambio della protezione dei dissidenti (come ha fatto Bush quando ha contribuito a ottenere la liberazione di Saad Eddin Ibrahim, sostenitore della democrazia in Egitto).
Qualsiasi regime, eletto o no, che operi per costruire una società libera dovrebbe essere considerato alleato, se non amico. Allo stesso modo un regime, eletto o no, che soffoca la libertà dovrebbe essere considerato avversario, se non nemico. Ovviamente un regime che appoggia il terrorismo è contrario ai principi fondamentali di una società libera e dovrebbe, perciò, essere trattato da nemico.
Contribuire al radicamento della democrazia nel mondo arabo richiederà tempo e tenacia. La maggior parte dei governi arabi cercherà di spegnere ogni scintilla di libertà. Ma i democratici all'interno di queste società sono nostri alleati. Possiamo aiutarli rifiutando di sostenere chi li opprime e spiegando chiaramente con dichiarazioni e con la nostra politica che gli sforzi per diffondere la libertà all'interno della loro società gioveranno sia al loro Paese che al nostro. L'alternativa è ritornare all'illusione pre-11 settembre, che l'oppressione dei cittadini da parte di un tiranno non abbia conseguenze per noi.

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