Certo,sarebbe più comodo per tutti se fosse Israele ad occuparsi del pericolo atomico che l’Iran fondamentalista di Ahmadinejad rappresenta per gli Stati democratici. Lo fece già nel 1981, quando i suoi bombardieri distrussero con precisione chirurgica la centrale atomica irachena di Osirak. Saddam Hussein non ne fu affatto contento, il mondo intero condannò Israele per l’attacco “ingiustificato” , tirando però,ipocritamente, nello stesso tempo un gran respiro di sollievo per la scomparsa minaccia. Una situazione simile si sta ponendo oggi con l’Iran. Ma le condizioni sono differenti. Non si tratta di sganciare qualche bomba per sgonfiare il sogno criminale del faraone iraniano, magari fosse così semplice. Non siamo più in Iraq e la centrale di Osiraq non è più una sola. L’Iran ha appreso la lezione, oggi i siti da smantellare sono almeno una decina, tra centri di ricerca nucleare, miniere di uranio, reattori nucleari e impianti sotterranei vari. L’impresa è ardua ma non impossibile. Ma quel che deve essere chiaro, alle democrazie occidentali e all’Europa in particolare, è che il pericolo di un attacco atomico non riguarda solo lo Stato ebraico, ma è un’arma puntata contro tutti gli stati i cui governi non si dimostrassero pronti ad ubbidire all’ennesimo ricatto di turno. Israele, paradossalmente, è il meno a rischio, per il semplice fatto che da sempre ha elaborato un sistema di difesa che le consente di intercettare qualunque missile in volo, anche a testata nucleare, e distruggerlo prima che arrivi a destinazione. Ne hanno scritto a chiare lettere tutti gli analisti militari israeliani, anche per tranquillizzare l’opinione pubblica, giustamente preoccupata di fronte alle dichiarazioni del fuehrer di Teheran. Male però ha fatto l’ex capo di stato maggiore Moshe Yaalon, che alcuni giorni fa in un intervento a Washington ha lasciato capire che Israele è non solo pronta per l’attacco, ma si è lasciato andare a descrizioni fin troppo particolareggiate, dando l’impressione di una presunta autosufficienza dello Stato ebraico. E, cosa ancor più grave, che il pericolo atomico rappresentato dall’Iran di Ahmadinejad è un problema che Israele può affrontare e risolvere da solo quando vuole. Il che non è assolutamente vero. Una cosa è colpire missili lanciati contro il proprio territorio, altra cosa è organizzare una spedizione militare, dal cielo ma anche via mare, di queste dimensioni. Per forte che sia Israele è comunque un piccolo stato democratico circondato da vicini tutt’altro che ben disposti, e poco disponibili ad una azione contro il grosso e potente Iran. Del quale sono in genere alleati o verso il quale tengono un basso profilo. Come il presidente palestinese Abu Mazen, azzerato nei suoi poteri da Hamas, quando ha dichiarato di non avere problemi con l’Iran, che è lontano dai suoi territori e, molto più grave, che rispetta le sue posizioni. Povero Abu Mazen, nemmeno in questo caso ha avuto il coraggio di spendere due parole per differenziarsi da chi vuole cancellare Israele dalla carta geografica, un programma identico a quello di Hamas, il partito che lo ha sconfitto alle elezioni.
Bush sembra aver lasciato uno spiraglio alla prossima riunione del consiglio di scurezza dell’ONU, anche se a microfoni spenti ha più volte affermato che la resa dei conti è vicina. Olmert, nel pieno della campagna elettorale che deciderà le sorti di Kadìma, ovvero se sarà lui a realizzare il progetto politico lasciato in eredità da Sharon, dichiara che il governo degli ayatollah non deve assolutamente possedere l’arma atomica, ma che non deve essere Israele a togliere da sola le castagne dal fuoco. Una verità semplice quanto chiara. Ma che va verificata con le democrazie occidentali, per capire se il nostro futuro sarà di libertà o sottomissione.
Angelo Pezzana