Fassino sionista, ma non troppo errori storici, analisi superficiali, inquietanti consensi a politiche antisraeliane
Testata: Il Foglio Data: 14 marzo 2006 Pagina: 2 Autore: la redazione Titolo: «Fassino,“sionista” con gaffe, prova a far dimenticare il resto dell’Unione»
Dal FOGLIO di martedì 14 marzo 2006:
Milano. In Israele, il presidente della Commissione elettorale, il giudice Dorit Beinish, ha vietato la trasmissione di uno spot elettorale in cui si garantisce l’ammissione al Paradiso per quanti voteranno il partito ortodosso sefardita Shas alle prossime elezioni politiche del 28 marzo. Bisogna andarci piano con le promesse elettorali. Ieri sera a Milano, al Piccolo Teatro di via Rovello, in molti hanno pensato lo stesso durante la serata della Sinistra Per Israele. Era questa l’opinione della signora infuriata che si sbracciava delusa per essersi ritrovata in un appuntamento di “destra”. Eppure tra organizzatori e ospiti erano presenti Piero Fassino, segretario dei Ds, Furio Colombo, Filippo Penati, presidente della provincia milanese, Emanuele Fiano, candidato diessino alla Camera, e Bruno Ferrante, prefetto in corsa per Palazzo Marino con centrosinistra. Meglio evitare le promesse eccessive, l’opinione sembrava condivisa dallo stesso Fassino. Esplicite e ripetute erano le domande su quali fossero gli umori prevalenti nell’Unione e, nel caso di una prossima vittoria del centrosinistra, quali le garanzie di una politica verso Israele in continuità con quella del Cav.. Il segretario dei Ds ha preferito però glissare, evitando di spiegare se e come potrebbe evitare o quantomeno arginare Massimo D’Alema alla Farnesina. Fassino si è limitato a sottolineare che il suo approccio verso Gerusalemme è condiviso da Francesco Rutelli, che nell’Unione c’è la Rosa nel Pugno, che Fausto Bertinotti si sta evolvendo. Insomma, “il 90 per cento del centrosinistra” sarebbe quantomeno vicino alle posizioni di Fassino. Con buona pace per il presidente del suo stesso partito che una volta definì Fassino “un po’ troppo sionista”, con serena indifferenza per quanto detto dal coordinatore della Margherita, Dario Franceschini, da Alice su Rai due, quando, sabato sera, ha definito la politica dell’attuale governo troppo squilibrata verso Israele, con gran voglia di far dimenticare le strette di mano tra Oliviero Diliberto (Pdci) e i rappresentanti di Hezbollah. Furio Colombo non lo ha nascosto: dentro al maggior partito della sinistra le tesi sue e di Fassino sul medio oriente sono ancora minoritarie, ma “non per questo si deve desistere”. Fassino è stato comunque apprezzato dai più. E’ apparso pacato, convinto e convincente. Qualche reazione differente c’è stata. Una testa calda nel pubblico l’ha definito il meno peggio a sinistra. Un’altra lo ha accusato di “parlare in Falsino”. Sarà che Fassino qualche scivolata l’ha fatta nel riproporre all’attenzione del pubblico, nel quale vi erano anche molti esponenti della Comunità ebraica, quanto successo negli ultimi anni. Così il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu avrebbe rifiutato gli accordi di Oslo. Un brivido è corso nella sala, Netanyahu infatti consegnò ai palestinesi Hebron, la città con la tomba di Abramo, Isacco e Giacobbe e delle loro quattro mogli. Fassino ha poi spiegato come l’Olp di Yasser Arafat fosse diventata negli anni un affidabile interlocutore, a cominciare da quando nel 1988 modificò la propria carta fondamentale e riconobbe così Israele rinunciando all’obiettivo di distruggerla. Un altro fremito tra le poltrone: l’Olp si limitò infatti a cancellare tutta la carta e non a cambiarla. Ma il momento peggiore per i membri della Comunità ebraica sembra sia giunto quando Piero Fassino ha spiegato che avrebbe trovato “condivisibile la proposta di sospendere i trattati commerciali tra Unione europea e Israele per convincere il governo Sharon ad ammorbidirsi con i palestinesi”. Ma, ha aggiunto il segretario, una scelta come questa era destinata al fallimento poiché non teneva conto che sarebbe stata accolta dagli ebrei come un’ulteriore persecuzione. Per Fassino la politica deve tener conto di queste ferite della storia. Non lo dice, ma se davvero le cose stessero così, tutto si ridurrebbe a un eccessiva sensibilità ebraica e gli ebrei, sembrerebbe dunque suggerire il segretario diessino, dovrebbero tuffarsi in una psicoterapia di gruppo.
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