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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Franz Rosenzweig La stella della redenzione
La stella della redenzione          Franz Rosenzweig
Edizioni Vita & Pensiero - Milano 2005


La porta della verità ha forma di stella. Al suo interno un fuoco bianco,
un cuore segreto da cui “si sprigionano i raggi, che cercano la loro via
attraverso la lunga notte del tempo”. Due triangoli rappresentano gli
antichi enigmi della conoscenza: quello rivolto verso l’alto riassume la
triade Dio-mondo-uomo,mentre la figura orientata verso il basso è allegoria
di creazione-rivelazione-redenzione. Sei punte che simboleggiano le
coordinate dell’essere e del divenire. Ma il rapporto tra calore interno e
l’irraggiarsi nel vuoto oscuro del cielo esprime anche la parentela tra due
religioni. Il centro infuocato è il giudaismo, i segmenti divergenti che se
ne dipartono alludono invece al cristianesimo.
Questa porta fiammeggiante, inventata da Franz Rosenzweig tra le
distruzioni della Prima Guerra Mondiale, è una delle metafore più
inaspettate della metafisica del Novecento. E’ un varco difficile da
attraversare, che si apre al di là della storia e che promette il riscatto.
Nato il 25 dicembre 1886 in una famiglia dell’alta borghesia ebraica
assimilata, Rosenzweig si formò al mito dell’umanesimo tedesco. Allievo del
grande storico Friedrich Meinecke e del filosofo neokantiano Hermann Cohen,
fu precoce animatore del dialogo interreligioso. Nel 1913 era giunto alle
soglie della conversione, ma aveva poi deciso di rimanere ebreo e di
cercare una più autentica concezione del giudaismo.
La “Stella della redenzione” voleva essere l’inizio di un nuovo metodo di
pensiero, capace di superare le strettoie dell’idealismo. Fu abbozzata su
cartoline spedite dal fronte e poi rielaborata in forma di volume nel 1921.
Scritta in uno stile difficile, al confine tra ragionare filosofico e
immaginario poetico, ebbe dapprima pochissimi lettori e fu per lo più
interpretata come testimonianza solo ebraica o, al massimo, come tentativo
di ambigua commistione giudeo-cristiana.
Subito dopo la pubblicazione del libro, Rosenzweig fu colpito da una forma
progressiva di paralisi, e soltanto dopo la sua morte, nel 1929, la sua
opera si affermò come testimonianza di un libero ragionare in cerca di Dio.
Rosenzweig si pone nella tradizione di Schopenauer e Nietzsche ma, a
differenza di questi, usa le categorie teologiche di rivelazione e
redenzione per ritrovare un legame con “il Signore della verità”. Ha
coscienza di scrivere in una situazione di emergenza, in un momento in cui
la cultura europea deve ritrovare se stessa e una propria via non
utilitaristica verso l’etica.
Alla prevalente fede nel progresso contrappone l’antico ideale giudaico di
una liberazione messianica che s’inoltra lungo la labile via di fuga
indicata dalla stella.
Rosenzweig è interprete di una rivolta, non solo ebraica, contro il
positivismo. Il suo è un moto di protesta che innalza il vessillo
dell’utopia. “Ciò che noi cerchiamo – scrive – non è qualcosa di già
presente, ma soltanto qualcosa che deve venire”. E’ un’attesa che si
rivolge a un vero futuro, in cui “vita ed esserci” riusciranno a
coincidere.
La posizione esistenzialista di Rosenzweig può sembrare oggi sorpassata, ma
il suo disagio di fronte alle illusioni della propria epoca era ben
giustificato. Appena quattro anni dopo la sua scomparsa, la salita al
potere dei nazisti travolse la Germania dei valori umanistici e con quella
l’intero continente. “Dell’uomo non sappiamo nulla”, aveva proclamato
Rosenzweig. Affermazione che, dopo la catastrofe, appare ancor più
profetica.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore

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