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Avvenire Rassegna Stampa
10.03.2006 Una simmetria inesistente
Hamas e Kadima non parlano di "terra" nello stesso modo

Testata: Avvenire
Data: 10 marzo 2006
Pagina: 1
Autore: Fulvio Scaglione
Titolo: «TRA ISRAELIANI E PALESTINESI SI PARLA DI TERRA»

E' falsa la simmetria ravvisata da Fulvio Scaglione nel suo editoriale pubblicato in prima pagina da AVVENIRE di venerdì 10 marzo 2006. Kadima e Hamas non parlano "di terra" allo stesso modo. Da un lato vi é la volontà di definire i confini di Israele, dall'altro un richiamo propagandistico "ai confini del 67", mentre l'obiettivo vero, come dimostra fra l'altro l'insistenza sui profughi, ignorata da Scaglione, resta la distruzione di Israele. Anche per motivi religiosi, nonostante la mancata solidarietà ai musulmani ceceni ricordata alla fine del pezzo.  Hamas resta infatti un gruppo fondamentalista, non esclusivamente nazionalista. Ecco il testo dell'editoriale: 

Alla maniera del Medio Oriente, con largo contorno di minacce, ambiguità e pugni levati al cielo. Ma Israele e gli uomini di Hamas, proiettati al governo dell'entità palestinese da un voto quasi plebiscitario, a distanza già si parlano. Ehud Olmert, premier ad interim e successore di Ariel Sharon alla guida del nuovo partito Kadima, ieri ha dichiarato che entro il 2010 Israele si doterà di confini definitivi, tali da separarlo «dalla maggioranza della popolazione palestinese» e da conservargli «una rilevante e stabile maggioranza ebraica». A prima vista c'è poco di amichevole nell'annuncio: per raggiungere lo scopo, Israele dovrà sì rinunciare a una parte degli insediamenti in Cisgiordania (dove vivono 240mila persone) ma dovrà anche completare la separazione di fatto di Gerusalemme Est dai territori dei palestinesi, i quali vorrebbero invece farne la capitale del loro futuro Stato. E infatti Olmert ha anche annunciato di voler incrementare di altre 3.500 unità abitative l'insediamento di Maale Adumin, che contribuisce appunto a collegare Gerusalemme Est a Israele e a separarla dal settore palestinese.
L'iniziativa di Olmert è arrivata pochi giorni dopo la visita a Mosca dei dirigenti di Hamas i quali, all'ombra del Cremlino e dietro la solita maschera dell'intransigenza armata, hanno parlato (per bocca di Khaled Mashaal, loro responsabile politico) dell'obbligo di Israele a ritirarsi dai territori occupati nel 1967. Difficile che sia un caso, se due interlocutori così diversi si ritrovano a discutere sullo stesso tema. Anche perché lo stesso Olmert aveva avuto con Vladimir Putin un colloquio telefonico durato 40 minuti proprio prima dell'arrivo a Mosca della delegazione di Hamas.
Il fatto è positivo. Le posizioni sono sideralmente lontane, com'era inevitabile, ma vanno considerati con att enzione alcuni spunti. Olmert ha ripreso il tema, già caro a Sharon, della bomba demografica, che ticchetta inesorabile a favore dei palestinesi. È un'arma che i politici palestinesi, più affezionati al vecchio armamentario di astuzie levantine, sottovalutano, ma è l'unica che possa obbligare Israele ad arrivare davvero alla definitiva separazione in due Stati indipendenti e coesistenti. Certo non ci è riuscita e non ci riuscirà la lotta armata tanto cara ai dirigenti di Hamas. Che si parli di realtà prosaiche ma implacabili come quella demografica, è un bene anche per Israele, che vive una campagna elettorale aspra e difficile, fin troppo esposta alle ondate emotive.
Ed è da accogliere con speranza anche il fatto che si torni a parlare, brutalmente ma concretamente, di terra. Terra da abitare, da coltivare, da spartire, da edificare. In questo modo la questione israelo-palestinese torna ai suoi termini primitivi, in definitiva gli unici che davvero contano: dove devono stare gli uni e dove devono stare gli altri, considerato che a nessuno dei due è riuscito (né riuscirà) di sbarazzarsi dell'ingombrante vicino. La questione è terribilmente complessa ma lo sarà un poco meno se perderà il fardello che molti interlocutori esterni ma interessati hanno contribuito a metterle sulle spalle, fino a trasformarla nell'epitome dello scontro di civiltà. Questo è un problema di spazio vitale, non di religione o di culture. Prima si torna a considerarlo tale, meglio sarà per tutti. E a proposito di scontri di civiltà: appena messo piede a Mosca, Khaled Mashaal ha detto, a nome di Hamas, che la Cecenia è un «problema interno alla Russia». Musulmano lui, musulmani i ceceni, ma ognuno per sé.


lettere@avvenire.it

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