La strategia americana nella crisi iraniana, e i suoi successi diplomatici, in un'analisi pubblicata dal FOGLIO di venerdì 10 marzo 2006:
New York. Non è vero che l’Amministrazione americana sia divisa tra falchi e colombe sull’Iran. Non è vero nemmeno che ci siano gli unilateralisti da una parte e i multilateralisti dall’altra, tantomeno che si confrontino dottrine realiste e neocon. La politica sull’Iran è una soltanto, come sull’Iraq. La differenza è che stavolta la comunità internazionale, compresi Onu, Ue, Russia, Cina e India, sta dalla parte di Washington. Le eccezioni sono Cuba, Siria e Venezuela. La politica iraniana della Casa Bianca è iniziata un anno fa con l’obiettivo di ampliare il più possibile consenso internazionale. Al contrario degli europei, gli americani sapevano bene che Teheran non avrebbe rinunciato al nucleare, sicché hanno affidato all’Europa le trattative diplomatiche. Un anno dopo, gli europei sono arrivati alla stessa conclusione di Washington. La palla è passata all’Agenzia atomica dell’Onu, con lo stesso risultato. La Russia ha tentato un’ulteriore mediazione, rifiutata dai turbanti atomici. La controproposta di Teheran è risultata insultante perfino ai russi (ma non al solito New York Times di ieri, mentre il Washington Post ha definito la proposta “falsa” e “inaccettabile”). La settimana prossima, il dossier nucleare sarà discusso al Consiglio di sicurezza, come auspicato da Bush l’anno scorso. Si è perso un anno di tempo, motivo per cui Hillary Clinton ha criticato l’Amministrazione. Sull’Iran la Casa Bianca ha quattro obiettivi: fermare la corsa al nucleare, depotenziare il suo ruolo di banchiere centrale del terrorismo, bloccare i suoi piani egemonici in medio oriente, aiutare l’opposizione democratica. Condi Rice ieri ha definito l’Iran come il paese che più di ogni altro minaccia gli Stati Uniti e ieri l’altro, presentando il rapporto annuale sui diritti umani, ha accusato Teheran di essere tra i primi violatori del mondo.A giorni il Consiglio di sicurezza approverà una dichiarazione di condanna. Se Teheran continuerà a non adempiere alle richieste, arriveranno sanzioni mirate a colpire i programmi nucleari e missilistici. Nessuna opzione scartata, ma nel frattempo Washington finanzia l’opposizione e le trasmissioni radio e tv in farsi con 85 milioni di dollari. Al consolato americano di Dubai ha inviato dieci nuovi diplomatici per coordinare gli aiuti all’opposizione iraniana e al dipartimento di stato ha creato finalmente un desk Iran.
Le resistenze di Russia e Cina alle ipotesi punitive nella crisi iraniana:
Roma. Infine è scoccata l’ora del Consiglio di sicurezza per il dossier nucleare di Teheran: è una vittoria per la linea della fermezza e per la strategia multilaterale dell’Amministrazione Bush. I tempi però saranno ancora una volta dilatati. Si prevede una prima dichiarazione di avvertimento, ma potrebbero passare mesi prima che si arrivi all’ultimatum: il segretario generale, Kofi Annan, ha ribadito ieri che i negoziati devono andare avanti. Raggiunto l’accordo sull’esigenza di innalzare il livello di allarme nei confronti di Teheran, tra i cinque grandi del Consiglio di sicurezza (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia) gli orientamenti sui futuri passi da intraprendere sono contrastanti. La Gran Bretagna ha proposto di chiedere all’Aiea già entro 14 giorni un rapporto sugli eventuali progressi compiuti da Teheran riguardo alle richieste dell’ultima risoluzione dell’Agenzia, in primo luogo la sospensione di tutte le attività di arricchimento dell’uranio. Ma l’ambasciatore russo all’Aiea, Andrei Denisov, ha subito bocciato l’idea: 14 giorni sono troppo pochi, l’Iran ha bisogno di tempo. E’un atteggiamento di chiusura confermato dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che ha frenato sulle ipotesi punitive – dall’attacco militare alle sanzioni – e rimandato al ruolo centrale dell’Agenzia. Intervistato ieri da Rossiya Tv, Lavrov ha tenuto ancora una volta a precisare che il dossier iraniano sarà trasmesso al Consiglio di sicurezza, ma che non è un deferimento. E’ una distinzione significativa, che tranquillizza Teheran. “In nessun caso – ha detto – il Consiglio di sicurezza potrà assumersi l’onere di determinare la presenza o l’assenza di rischi per il regime di non proliferazione”. Fallito il negoziato e anche la mediazione in extremis per strappare l’assenso a un piano di “ricerca nucleare minima” per Teheran, la Russia è stata obbligata a mantenere gli impegni con Washington; ma, onorato il debito di credibilità, Mosca tornerà a guadagnare tempo per i partner iraniani. E’ una partita nella quale Pechino, finora più circospetta nel difendere i suoi interessi con l’Iran, è un’alleata naturale. “La controversia deve essere risolta per vie diplomatiche”, ha sottolineato in visita a Teheran il ministro degli Esteri, Li Zhaoxing. Ogni altro mezzo troverebbe sulla sua strada la fame energetica della Cina. “C’è ancora spazio per un accordo” ha sottolineato Li.
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