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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.03.2006 Iran: le illusioni negoziali di Umberto Ranieri
e le strategie dell'opposizione democratica

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 marzo 2006
Pagina: 3
Autore: Gianna Fregonara - Guido Olimpio
Titolo: «I dissidenti alla ricerca di un leader - «Gradualità e dialogo Una partita a due potrebbe finire male» -»

Umberto Ranieri, in un'intervista rilasciata al CORRIERE della SERA di giovedì 9 marzo 2006 propone un approccio irrelaistico alla crisi iraniana, fondato sulla supposizione, più volte smentita dai fatti, della possibilità di un accordo negoziato senza adeguate pressioni e una credibile deterrenza militare.
Ecco il testo:  
  

Dialogo e ancora dialogo: senza isolare Teheran, perché «è importante che non esca dal programma di non proliferazione» ma evitando strappi con gli USA, che provocherebbero dannose divisioni della comunità internazionale. Il tutto «sapendo però bene quali sono le responsabilità dell'Iran nel non aver favorito una soluzione positiva del negoziato: lo stesso ElBaradei, che non ha fama di essere tenero con gli Stati Uniti, ha dovuto prendere atto che l'Iran non ha fornito la collaborazione necessaria nè dato le informazioni decisive per dissipare i dubbi sulla natura del programma atomico». E' una soluzione complessa quella che Umberto Ranieri, diessino e vicepresidente della commissione esteri della Camera, vede all'orizzonte per superare «il braccio di ferro tra Stati Uniti e Iran e fare in modo che anche in extremis possa concludersi con un accordo».
Intanto però ieri a Vienna c'è stata una escalation.
«E' lo sviluppo inevitabile, considerate le inadempienze dell'Iran. Lo sforzo da fare ora è quello di evitare che la contesa si risolva in una contrapposizione tra Stati Uniti e Iran, perché non può essere una partita a due. Ogni volta che così è stato è finita male».
«C'è un'ampia gamma di sanzioni, forse si potrebbe pensare a qualche misura sui visti o sui viaggi aerei. Non credo che Russia e Cina potrebbero giungere ad accettare un embargo petrolifero. E non vorrei che, seguendo esperienze fallimentari del passato, una disputa senza costrutto portasse all'esautoramento dell'Onu e della sua azione. Bisogna muoversi con gradualità e cercando di mantenere aperti spiragli di dialogo. Gli Stati Uniti faranno bene a muoversi con equilibrio, la comunità internazionale concorda nel credere che l'Iran abbia armi nucleari».
«Non bisogna determinare divisioni sulla questione Iran, spero che gli Stati Uniti non li alimentino, per questo penso che prima di fare l'accordo con l'India avrebbero dovuto valutare con i loro alleati la situazione. Non bisogna assolutamente muoversi in ordine sparso».
«Il plenipotenziario iraniano presso l'Onu a Vienna ha dichiarato che da 28 mesi c'è una poltrona vuota nella trattativa sul nucleare: quella italiana».
Come in Iraq.
«Appunto».
Sull'Iraq il dibattito sulla «politica preventiva» da contrapporre alla guerra americana però si è sviluppato un po' troppo tardi, quando ormai non c'era più nulla da fare.
«Non credo che sia all'orizzonte l'apertura di un fronte militare con l'Iran. La situazione in Iraq è troppo drammatica perché gli Stati Uniti possano aprire altri fronti e occorre avere la consapevolezza che per stabilizzare la situazione a Bagdad è importante il ruolo dell'Iran».
Che cosa può succedere al Consiglio di sicurezza. Le sanzioni potrebbero essere utili?
«Dal punto di vista storico le sanzioni hanno avuto efficacia solo quando furono dirette contro l'apartheid in Sudafrica, in tutti gli altri casi spesso hanno determinato un "ringalluzzimento" delle correnti nazionalistiche dei Paesi sottoposti a sanzioni e sono state un prezzo enorme per la popolazione».
Lei è contrario, dunque.
«C’è un’ampia gamma di sanzioni, forse si potrebbe pensare a qualche misura sui visti o sui viaggi aerei. Non credo che Russia e Cina potrebbero giungere ad accettare un embargo petrolifero. E non vorrei che, seguendo esperienze fallimentari del passato, una disputa senza costrutto portasse all’esautoramento dell’Onu e della sua azione. Bisogna muoversi con gradualità e cercando di mantenere aperti spiragli di dialogo. Gli Stati Uniti faranno bene a muoversi con equilibrio, la comunità internazionale concorda nel credere che l’Iran abbia armi nucleari».
Non come per l’Iraq, lì ci furono dubbi subito.
«Non bisogna determinare divisioni sulla questione Iran, spero che gli Stati Uniti non li alimentino, per questo penso che prima di fare l’accordo con l’India avrebbero dovuto valutare con i loro alleati la situazione. Non bisogna assolutamente muoversi in ordine sparso».
L’Italia sta facendo la sua parte?
«Il plenipotenziario iraniano presso l’Onu a Vienna ha dichiarato che da 28 mesi c’è una poltrona vuota nella trattativa sul nucleare: quella italiana».

Guido Olimpio cin forma sulle strategia dell'opposizione iraniana:

WASHINGTON - In questi giorni c’è un grande fermento tra gli esuli iraniani. Monarchici, nazionalisti, comunisti sono uniti nel volere la cacciata dei mullah, ma si dividono sul cosa fare. Con rare eccezioni, i dissidenti sono convinti che per ora non serve la forza, perché è controproducente.
«Sconfiggi i nemici prima di andare in battaglia». Assad Homayoun, un intellettuale molto ascoltato, cita lo stratega cinese per indicare le mosse. La prima è quella della propaganda con finanziamento alle tv satellitari e alla radio iraniane che trasmettono dalla California, molto ascoltate. «Un’azione militare - sottolinea - potrebbe mandare in frantumi il Paese. Ritengo che Washington voglia mantenere l’unità territoriale, però in caso di rischi concreti, come con il nucleare, userà i muscoli».
Purtroppo, aggiunge, qui perdono di vista un punto cruciale: «L’Iran è una società gerarchica e verticale, quindi serve un leader per innescare uno tsunami popolare». Gli oppositori e l’Occidente «devono corteggiare le forze presenti nel Paese che possono dare una mano a rovesciare la teocrazia». Per Homayoun anche vasti settori dei pasdaran, l’80% dell’esercito e persino quote di basji (i militanti della rivoluzione) sono pronti a sposare la rivolta: «Se capiscono che davanti a loro c’è un capo serio, si muoveranno».
Ma chi può indossare questo mantello? Qualcuno suggerisce il figlio dello Scià, Reza Ciro. Ma lui è prudente, consapevole che le simpatie vanno oggi a qualcosa di più moderno. E infatti dichiara: «Saranno gli iraniani a decidere». Il suo movimento invoca la strada del referendum e invita gli americani a tenere le pistola nella fondina. Reza Ciro, 45 anni, ha lanciato un appello per un fronte comune, ma i risultati sono stati scarsi. E lui non ha celato la frustrazione. Troppi «capi», troppo protagonismo.
Accuse respinte: «Il figlio dello Scià non ha abbastanza grinta». E rivelano al settimanale New Yorker un episodio inverificabile: «Reza stava comprando dei piatti in un grande magazzino di Washington quando è stato visto da una donna iraniana che l’ha aggredito verbalmente: "Dovrei romperti questi piatti in testa! Sei qui mentre dovresti salvare il Paese"». Vera o falsa, la storia è il sintomo della diffidenza che Reza Ciro deve superare.
I dubbi aumentano tra gli esuli quando si parla del sostegno Usa. Loro sognano un appoggio indiretto e temono un abbraccio mortale. Non piace neppure il piano (accantonato) di lanciare azioni destabilizzanti usando i Mujaheddin del popolo, gruppo armato finanziato per anni da Saddam e Arabia Saudita. E molti guardano con curiosità al ruolo di Elizabeth Cheney, la figlia del vice presidente, che lavora al Dipartimento di Stato, divisione «Vicino Oriente». Dovrebbe essere lei a distribuire gli 85 milioni di dollari appena stanziati in favore dei dissidenti.
L’idea, che trova consensi, è quella di una soluzione alla Solidarnosc, il celebre sindacato polacco di Lech Walesa: finanziamenti alle attività sindacali, campagna per i diritti umani, mobilitazione in favore di prigionieri celebri. «La scena finale - prospetta Michael Ledeen dell’American Enterprise Institute, spesso associato a manovre sotterranee - è quella di un milione di persone in piazza che grida "Via gli ayatollah". A quel punto se ne dovranno andare davvero».

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