Dal FOGLIO di mercoledì 8 marzo 2006:
Roma. L’Arabia Saudita promuove, con sempre maggiore nettezza, una sua nuova politica in conflitto con quella degli Stati Uniti in medio oriente. Dopo avere risposto negativamente alle richieste avanzate da l segretario di stao americano, Condoleezza Rice, nel suo viaggio a Riad del 22 febbraio scorso e avere rifiutato di fare pressioni su Hamas perché riconosca Israele e il “processo di Oslo” (rifiuto frapposto, a sorpresa, anche da Hosni Mubarak il giorno prima), il governo saudita ha infatti deciso di organizzare a Gedda un convegno dell’Oci per incrementare il boicottaggio economico contro Israele. Il Jerusalem Post, nel dare notizia dell’iniziativa promossa dall’ex ambasciatore Salem al Honi (e dopo avere verificato con funzionari della dogana saudita che tuttoggi vige nel paese il boicottaggio delle merci israeliane), nota come questa scelta sia in stridente contrasto con le regole del Wto, in cui l’Arabia Saudita è stata ammessa proprio su pressione americana. Al di là del merito, il problema politico grave per l’amministrazione americana è che oggi il boicottaggio suona come una vera e propria presa in giro nei suoi confronti. L’Arabia Saudita aveva garantito a Washington –che vi aveva creduto- che il suo ingresso nel Wto, avrebbe significato il rispetto di tutte le sue regole, a partire dalla proibizione del boicottaggio delle merci d’Israele. Christin Baker, portavoce americano per il Commercio estero, ha confermato al Jerusalem Post che “l’Arabia Saudita, in occasione della sua ammissione, si era impegnata a rispettare le regole e gli impegni nei confronti di tutti i membri del Wto, inclusa Israele”. Anche sulla base di queste assicurazioni, dopo un negoziato durato dodici anni, l’11 novembre del 2005 l’Arabia Saudita è così entrata a pieno titolo nell’organizzazione. Oggi però, dimostra, non soltanto di non avere nessuna intenzione di rispettarne le regole e di recedere dal suo boicottaggio nei confronti di Israele, ma di avere intenzione addirittura di prendere iniziative per incrementarlo su scala planetaria organizzando per metà marzo un’iniziativa di tutti i 57 paesi dell’Oci. E’ un’iniziativa allarmante, perché si affianca a molte altre che il governo di Riad ha assunto nelle ultime settimane, in contrasto con quelle dell’alleato statunitense. La più grave è stata presa il 3 marzo scorso al Cairo, nella riunione della Lega araba che ha approvato una risoluzione – su proposta saudita- in cui definisce “ingiuste” le condizioni che Stati Uniti, Onu, Ue e Russia (“il quartetto”) hanno posto al prossimo governo di Hamas per continuare i propri finanziamenti all’Anp. Il fatto che tutti i paesi arabi si schierino ora a fianco di Hamas e l’appoggino nella sua decisione di reiterare il rifiuto di riconoscere Israele, di sottoscrivere gli accordi di Oslo e a sciogliere le proprie milizie, rende sempre più incandescente la crisi mediorientale e rafforza oltre ogni misura la linea oltranzista del prossimo governo palestinese. Il tutto, in un contesto in cui la stessa Oci, per bocca del suo segretario generale, il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, ha annunciato il 20 febbraio scorso che si appresta a convocare una riunione plenaria “di emergenza” dei ministri degli Esteri che imponga all’Unione europea di prendere misure che “puniscano l’islamofobia al pari del l’antisemitismo e del razzismo”. Le parole con cui Ihsanoglu ha spiegato questa iniziativa sono sconcertanti: “A causa dell’islamofobia i musulmani in Europa si trovano nella stessa situazione in cui erano gli ebrei 60 anni fa. Noi non abbiamo una pazienza illimitata e ci attendiamo che l’Europa ci garantisca che incidenti simili alla crisi delle vignette non possano più ripetersi”. Nel complesso, la vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi e il contemporaneo esplodere delle manifestazioni di piazza in molti paesi islamici per le vignette su Maometto ha segnato una svolta netta anche dei governi sulla cui alleanza gli Stati Uniti hanno più contato nel mondo arabo (anche dopo l’11 settembre). Ovunque, non soltanto in Siria e in Libia, ma anche in Egitto e in Arabia Saudita, i governi hanno deciso di appiattirsi sulle posizioni dei Fratelli musulmani, di cui Hamas è il braccio palestinese. Mohamed Mahdi Akef, leader dei Fratelli musulmani, aveva chiesto il 23 febbraio scorso ai governi arabi “di opporsi alle pressioni degli americani per congelare gli aiuti al nuovo governo palestinese di Hamas”. Appello antiamericano immediatamente accolto, in pieno, da tutti i regimi arabi, marcando, per la prima volta nella storia, la piena egemonia politica dell’organizzazione fondamentalista islamica sulle scelte politiche anche dei paesi che gli Stati Uniti consideravano alleati e “moderati”. E’ il voltafaccia di regimi che per anni hanno messo fuori legge i Fratelli musulmani e che oggi invece – per timore di tensioni politiche interne – scelgono una politica di condiscendenza nei confronti delle loro richieste, anche le più estremiste. La stessa Lega araba, che da anni aveva perso ogni peso e ruolo, i cui vertici si risolvevano in feroci liti tra Gheddafi e il saudita Abdallah, si colloca ora su una linea di attacco frontale contro Israele, dietro a Hamas e al suo governo, rinverdendo i suoi passati estremismi. Nata per impedire la nascita di Israele, oggi la Lega araba rinnega addirittura i suoi recenti progetti per un suo riconoscimento condizionato e si attesta su una posizione pericolosamente consonante con quella del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
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