Lascia perplessi l'intervista ad Abu Mazen pubblicata dal CORRIERE della SERA, mercoledì 8 marzo 2006. Non per il modo, sostanzialmente corretto, nel quale l'ha condotta Antonio Ferrari, ma per le risposte del presidente palestinese, che sembra descrivere un'Autorità nazionale palestinese lontana dalla realtà, dove Al Fatah e il dialogo con Israele godono dei consensi della maggioranza dei palestinesi e molti, lui lo sa con certezza, sono già "pentiti" di aver votato per Hamas.
A conclusione di questo quadro di cui sembra lecito dubitare Abu Mazen lancia un appello alla prosecuzione dei finanziamenti dell'Anp, per non generare una crisi umanitaria che in realtà né Stati Uniti né Israele vogliono.
Anche l'ottimismo infondato di Abu Mazen allora diviene più comprensibile. La sopsensione dei finanziamenti internazionali, infatti , se non ridurebbe alla fame i palestinesi, con ogni probabilità causerebbe il collasso dell'Anp e del sistema di clientele che negli anni tali finanziamenti hanno alimentato.
Ecco il testo:
RAMALLAH (Cisgiordania) — Depresso o infuriato dopo il colpo di mano di Hamas, che in parlamento ha votato compatto per sottrargli parte dei suoi poteri? «Neanche per idea. I miei poteri li conservo tutti. Se c'è stato qualcosa di illegale, lo stabilirà la giustizia. Vedremo. Per adesso, quindi, non cambia nulla. Proprio nulla». Irritato perché la sconfitta elettorale del suo Fatah ha consegnato l'Anp ad Hamas, con il rischio tangibile di un pericoloso isolamento internazionale? «Assolutamente no. Numericamente ha vinto Fatah. Se abbiamo perso è colpa nostra. Solo nostra». Prudente sulle elezioni israeliane del 28 marzo? Macché! «Non voglio interferire, ma spero che vinca Ehud Olmert».
E' rilassato ma anche battagliero il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Si presenta con un gran sorriso, in abito scuro, e indossando due civettuoli stivaletti neri. Sembra abbia lasciato fuori dalla porta le quotidiane tensioni e le tremende pressioni cui è sottoposto. Ricevendo ieri sera il sindaco di Milano Gabriele Albertini (che ha già incontrato il re e la regina di Giordania e che vedrà il capo dello Stato israeliano Moshe Katsav), e il direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente Janiki Cingoli, Abu Mazen ha spiegato la sua posizione e ha chiesto, con toni accorati, che «l'Italia, l'Europa e il mondo non puniscano l'incolpevole popolazione palestinese, negandole aiuti economici disperatamente necessari».
Alla fine dell'incontro, il leader palestinese ha concesso questa intervista al
Corriere della Sera. Nella sala della Mukata di Ramallah, le foto dello stesso Abbas e di Yasser Arafat, e due giganteschi dipinti accostati: uno con la moschea di Al Aqsa, l'altro con la chiesa del Santo Sepolcro.
«Prego, cominci pure», dice accendendosi una delle poche sigarette che ormai si concede.
Signor presidente, ha pensato di dimettersi dopo quel che è accaduto l'altro ieri in parlamento?
«No. Glielo ripeto. Non è cambiato nulla. Hamas ritiene che le ultime decisioni, adottate dal parlamento precedente, fossero illegali. Io no».
Ma Hamas ha vinto le elezioni e ha una schiacciante maggioranza.
«I conti dicono che Fatah, numericamente, aveva ottenuto il 51 per cento, e Hamas il 42 per cento. Quindi il risultato, che noi rispettiamo, non rappresenta i sentimenti e le scelte del popolo».
Come spiega allora i 74 seggi su 132 conquistati da Hamas?
«Con i gravi errori che abbiamo compiuto. Candidati che si sono presentati divisi consentendo ad altri, grazie alla quota maggioritaria, di assicurarsi il seggio».
Chi ha commesso questi errori?
«Io. Noi. Tutti. La legge elettorale ci ha punito e ha soprattutto punito le scelte della gente».
Ma chi l'ha fatta questa legge elettorale?
«Noi. Guardi, sono sicuro che se si votasse tra un giorno, un mese, un anno, il risultato verrebbe ribaltato. So che ci sono molti, ma molti pentiti. Però sono state elezioni democratiche, non c'è dubbio. Quindi, le rispettiamo. Ho incaricato Ismail Haniyeh di Hamas di formare il nuovo governo ponendo come condizione che si riconoscano la legalità internazionale e gli accordi sottoscritti dall' Anp. Oslo, per esempio, non è stato riconosciuto».
Tra le condizioni c'è il riconoscimento di Israele?
«C'è, eccome. E' nel messaggio con cui ho inaugurato il nuovo parlamento».
Me lo ripeta, per cortesia. Hamas, se vuole governare, deve riconoscere Israele.
«Lo dico e lo confermo».
Le sembrano disposti a compiere il passo?
«Finora non l'hanno fatto. Attendiamo di leggere la loro piattaforma. Ora non so darle una risposta. Noto che non c'è ancora chiarezza. Vedremo le loro idee e le intenzioni sul governo. Certo, se non riconoscessero la legalità internazionale...» Si andrebbe a nuove elezioni.
«Spero molto più avanti. Ma quel che mi preme è che il popolo palestinese non venga punito. Se non arrivano i soldi essenziali per sopravvivere, si creerebbe una situazione disastrosa, una vera catastrofe. Invitiamo il mondo ad evitare questa catastrofe. E poi, guardi, la maggioranza del nostro popolo (70 per cento dicono gli ultimi sondaggi) vuole la pace e riconosce il diritto all'esistenza di Israele. Chiunque deve tenerne conto».
In Israele, il 28 marzo, dovrebbe vincere Kadima, il partito centrista che fu fondato da Ariel Sharon prima che fosse colpito dal male che lo ha tolto di scena.
«Rispetteremo la volontà degli israeliani. Io spero che vinca Olmert (l'attuale premier, ndr). Lo conosco bene. Credo che con lui si possa lavorare proficuamente. Shimon Peres, il numero due di Kadima, è un vecchio amico. Gli accordi di Oslo li abbiamo firmati assieme. Spero insomma che vinca chi vuole davvero la pace e intenda far ripartire il negoziato. Noi vogliamo avere buoni rapporti con tutti».
Anche con l'Iran?
«Neppure con loro abbiamo problemi. Sono lontani da noi e rispettiamo la loro distanza».
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