Il dittatore libico minaccia l'italia ( e i giornalisti italiani) e La STAMPA titola atutta pagina che "vuole la pace". Segue un articolo (di Guido Ruotolo) sullo stesso tono. Il 7/03/2006.
Ecco il testo:
Un riconoscimento non dovuto, e per questo molto significativo, al ministro degli Esteri, Gianfranco Fini: «Esprimiamo apprezzamento per l’equilibrio con il quale, a nome del governo italiano, si è recentemente espresso sulle relazioni bilaterali». Una dichiarazione di neutralità di Gheddafi nei confronti degli schieramenti politici impegnati nella campagna elettorale italiana: «Il Leader della rivoluzione ha sempre dialogato e dialogherà con qualsiasi governo eletto». Stoccate critiche vengono invece dispensate a giornalisti («che presumono di conoscere la lingua araba o che ostentando un’origine araba hanno preconcetti») e politici (i riferimenti sono a recenti dichiarazioni di Gianni De Michelis, Alessandra Mussolini e Bobo Craxi) e, soprattutto, una significativa riaffermazione della dimensione strategica, quasi privilegiata, che hanno e che dovranno avere i rapporti tra la Libia e l’Italia. A condizione, però, che Roma mantenga gli impegni assunti con Tripoli: «Un grande gesto, significativo e non solo simbolico, che ponga una pietra sul passato per un futuro di rinnovata amicizia e di comune sviluppo dei due Paesi».
È questo, in sintesi, il messaggio distensivo che arriva dall’ambasciata libica a Roma. Per chiudere le polemiche di queste settimane, dopo il venerdì nero di Bengasi (17 febbraio), con i suoi 14 morti e il consolato italiano «espugnato» dai manifestanti il giorno dopo. Polemiche e incomprensioni che hanno teso la corda quasi fino a farla spezzare. Con il ministro Fini, che, pur criticando il comportamento del ministro Calderoli per via della sua t-shirt blasfema, aveva ipotizzato che la rivolta di Bengasi fosse dettata anche da questioni interne libiche. E il Leader Gheddafi che, parlando alla televisione libica, ha accusato Calderoli di essere «fascista, razzista, crociato...», fino ad arrivare a sostenere che «i libici odiano l’Italia».
Adesso Tripoli lancia un messaggio distensivo, raccolto immediatamente dal ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, che commenta soddisfatto: «Il comunicato rimette le cose a posto perché dà atto al governo di aver mantenuto posizioni equilibrate». Il presidente dei Ds, Massimo D’Alema, pur apprezzando Fini per avere agito «con senso della misura», mette però sotto accusa il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: «Vi sono stati errori nel rapporto con la Libia. Sono state fatte promesse di opere, di investimenti che poi non siamo stati in grado di fare».
Dunque, Tripoli indica una via di uscita. La richiesta del «grande gesto» non è questione di ieri ma va avanti da almeno quattro anni, da quando, era il 3 settembre del 2001, al termine dell’incontro tra il ministro degli Esteri Ruggiero e il leader Gheddafi, si materializzò il progetto della grande autostrada litoranea. «Un impegno economico di molte migliaia di miliardi che sinora ci è sembrato di non poter accettare», l’ha definito ieri Silvio Berlusconi, ricordando di aver piuttosto fatto a Gheddafi «diverse offerte per costruire ospedali». Il presidente del Consiglio ha fatto capire comunque che il governo potrebbe in futuro risarcire Tripoli: «Stiamo prendendo in considerazione questa eventualità, visto che la Libia non ritiene di poter uscire da questa atmosfera negativa nei nostri confronti se non con un grande gesto di riconciliazione. Il progetto è già in corso «con i partiti della coalizione, con Fini e con il ministro Pisanu»
Ma nonostante il «contenzioso» aperto, in questi anni sono stati siglati accordi importanti - che il comunicato di ieri ricorda e rilancia - «nel campo di azione di contrasto al terrorismo, alla criminalità organizzata e allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina». I libici aspettano adesso un nuovo segnale, disposti a sedersi attorno a un tavolo e anche a ridiscutere l’oggetto del «risarcimento», insomma l’autostrada. Anche se, fanno sapere fonti diplomatiche libiche, «deve essere chiaro che non ci accontentiamo solo di un gesto simbolico, vogliamo comunque che sia significativo. Dovrà essere un’autostrada o qualcos’altro... vedremo....».
Dopo Bengasi con i suoi morti, la sostituzione del ministro dell’Interno per cercare di arginare la collera dei familiari delle vittime, Tripoli si aspettava da Roma un gesto forte, significativo. Su due fronti: le dimissioni del ministro Calderoli (e l’esponente leghista si è fatto da parte) e il rilancio dell’intesa tra i due Paesi. Una settimana dopo il venerdì nero di Bengasi, il Consiglio dei ministri ha deciso «di adottare tutte le iniziative opportune a dare respiro strategico e forte valenza operativa alla partnership Italia-Libia, assegnando priorità assoluta alla duplice esigenza di chiudere definitivamente il capitolo storico del passato coloniale e di risolvere il contenzioso economico sui crediti che vantano le imprese italiane».
Nel comunicato, i libici sollecitano «un rafforzamento della cooperazione in materia commerciale, energetica ed economico-finanziaria». È come se indicassero una «convenienza» reciproca nel risolvere il «contenzioso»: da una parte il riconoscimento della tragedia rappresentata «dall’occupazione militare della Libia», dall’altra l’investimento economico per realizzare il «grande gesto», che potrà essere ammortizzato dai risultati delle relazioni economiche e finanziarie tra i due Paesi. «La cooperazione tra Libia e Italia - spiega un diplomatico libico - è obbligata. Potrà accadere che a un certo momento si creino delle incomprensioni, che le relazioni ne risentano. Ma è solo una crisi passeggera perché poi le relazioni riprenderanno con più forza di prima».
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