Daniele Mastrogiacomo su La REPUBBLICA di lunedì 6 marzo 2006 descrive la determinazione iraniana nello sfidare la comunità internazionale perseguendo il suo programma nucleare. Ecco il testo:
VIENNA - Alla vigilia di un´assemblea decisiva dell´Aiea, l´Iran sfodera l´arma del petrolio e minaccia di chiudere i rubinetti verso l´Europa se il dossier sul nucleare sarà deferito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Come accade spesso davanti a momenti che possono cambiare il futuro di un paese, le parole hanno un effetto psicologico più che concreto. Ma in questo caso, visto che l´Iran è il quarto produttore al mondo di greggio, la sola minaccia di una forte riduzione della produzione potrebbe far schizzare verso l´alto i prezzi del barile con le inevitabili ripercussioni sui mercati internazionali. Alì Larijani, capo della delegazione iraniana a Vienna, lo sa molto bene. Pondera le parole ma fa capire quali potrebbero essere le conseguenze se oggi l´Agenzia per il nucleare decidesse di deferire il caso Iran al consiglio di sicurezza. «Per il momento - ha dichiarato Larijani a Teheran - non vogliamo usare l´arma del petrolio. Non vogliamo influenzare in modo negativo l´atmosfera psicologica a livello internazionale. Ma se la situazione dovesse cambiare, se le scelte compiute dall´agenzia dovessero modificare tale atmosfera, anche il settore del petrolio ne sarà influenzato».
Non si sa cosa verrà deciso stamane. E soprattutto se sarà sufficiente un solo giorno di dibattito per arrivare ad una presa di posizione che raccolga la grande maggioranza dell´assemblea dei 35 governatori. Durante la passata riunione, quella che votò poi per una "segnalazione" scritta del direttore generale Mohamed El Baradei al Consiglio di sicurezza, ci vollero quattro giorni e quattro notti di trattative prima di raggiungere un voto che esprimesse una solida maggioranza. L´Iran giocò abilmente le sue carte e ottenne l´appoggio di tutti i paesi non allineati contro l´ipotesi di un rinvio davanti al Consiglio di sicurezza. Gli Usa e la Ue, assieme alla Cina e la Russia, tutti paesi con diritto di veto, raggiungevano la maggioranza. Ma sarebbe stata una maggioranza risicata. Su un capitolo così delicato, il direttore generale voleva un voto quasi unanime. Lo chiese e lo ottenne, (con solo tre voti contrari) grazie ad un compromesso ottenuto all´ultimo momento. Il dossier non sarebbe stato formalmente trasmesso al Consiglio di sicurezza e si dava un mese di tempo all´Iran per tornare aderire alle richieste dell´Aiea.
In questi 30 giorni, le trattative tra Russia e Iran sono proseguite senza raggiungere alcun risultato apprezzabile. Resta una disponibilità di massima da parte di Teheran a svolgere il proprio ciclo di arricchimento dell´uranio su territorio russo. Ma pone anche certe condizioni: il periodo sarebbe breve e limitato e la ricerca non si fermerebbe. Ieri gli Stati Uniti hanno minacciato l´Iran di «tangibili e dolorose conseguenze». «Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione» ha spiegato John Bolton, ambasciatore americano alle Nazioni Unite. Il diplomatico statunitense ha comunque precisato che non sono ancora ipotizzate sanzioni contro l´Iran. Secondo il Washington Post, l´America vorrebbe dare un ultimatum di 30 o 60 giorni alla repubblica islamica. L´Europa invece, tramite Francia, Germania e Gran Bretagna, continua a sperare in un accordo dell´ultimora. «La nostra mano è sempre tesa» ha detto il presidente francese Jacques Chirac durante una visita in Arabia Saudita.
Vanna Vannucini intervista il leader riformatore iraniano Mohammad Reza Khatami (il fratello dell'ex presidente iraniano), che confuta alcuni radicati luoghi comuni delle analisi occidentali sulla minaccia iraniana. Quello per il quale il nazionalismo degli iraniani assicurerebbe un totale sostegno ai piani nucleari del regime e quello per il quale sarebbe in corso uno scontro di potere tra il presidente Ahmadinejad e la Guida suprema Khamenei. "La priorità é la democrazia. Sempre più iraniani si rendono conto che l'energia nucleare in questa situazione non sarebbe un beneficio per il nostro paese" , dichiara invece Khatami, e ancora, rispondendo alla domanda "Lei crede che esistano delle differenze tra il Leader Khamenei e il presidente Ahmadinejad?": "«Nessuna. Questa è una idea che si è fatta l´Occidente. È il Leader che decide tutto»
TEHERAN - Il tempo stringe e nemmeno l´incontro in extremis con gli europei ha sbloccato il negoziato. C´erano del resto ben poche speranze che gli iraniani avessero qualcosa di nuovo da mettere sul tavolo negoziale dopo il fallimento dei colloqui di Mosca. L´Iran insiste sull´arricchimento dell´uranio sul proprio territorio, mentre il resto del mondo vuole evitare che in questo modo il regime degli ayatollah mantenga una opzione aperta sulla bomba atomica. Quali sono le intenzioni del presidente Ahmadinejad, che in pochi mesi ha radicalmente cambiato la politica estera iraniana? Lo chiediamo a Mohammad Reza Khatami, fratello dell´ex presidente e capo del partito Mosharekat, un riformatore che ha sempre parlato e agito con molto più coraggio del fratello presidente.
«Che cosa abbiano davvero in testa nessuno lo sa. Forse non lo sanno nemmeno loro. Molto probabilmente hanno fatto dei calcoli sbagliati. Hanno contato sulle divisioni tra Europa, Stati Uniti, Cina e Russia. Si sono spinti così avanti con la retorica e la propaganda nazionalistica che ora tornare indietro è difficile. Forse se la crisi aumenta, sempre più persone capiranno che questa situazione non è nell´interesse iraniano e che molte porte si chiuderanno per l´Iran».
Non pensa che il regime veda questo confronto con l´Occidente come un´opportunità per mettersi alla guida di un mondo islamico, dove proliferano i sentimenti antioccidentali?
«Noi abbiamo scritto al Leader Khamenei numerose lettere per spiegare che insistere sull´arricchimento dell´uranio non è nell´interesse del paese, che in questo modo si perdono tutti i benefici conquistati negli ultimi 16 anni, e che la sola posizione corretta era quella tenuta dal governo Khatami: sospendere le attività di arricchimento dell´uranio e negoziare allo scopo di creare la fiducia e avere una supervisione internazionale. Ma non ci sentono da quest´orecchio. Vogliono la tecnologia nucleare per essere padroni del gioco. Credono nell´equazione tecnologia nucleare uguale capacità di raggiungere una posizione di forza che obblighi gli altri a cambiare strada».
Perché i riformatori tacciono, e non dichiarano apertamente ciò che pensano sia nell´interesse del paese?
«Sul piano esterno, parliamo: con gli europei, con i governi. Sul piano interno, non è facile comunicare questo messaggio. Prima di tutto non abbiamo i mezzi per comunicare. I giornali sono rigorosamente controllati, non sfugge nulla: se pubblicano le nostre dichiarazioni sul nucleare vengono chiusi. E in più siamo tra due fuochi. Non possiamo nemmeno dire che l´Occidente ha ragione, perché dal punto di vista del diritto internazionale l´arricchimento dell´uranio è un diritto dell´Iran.
Su questo punto loro hanno fatto una propaganda enorme, insistendo sull´interesse nazionale, paragonando la tecnologia nucleare alla nazionalizzazione del petrolio negli anni ‘50. Non è facile ora per gli iraniani accettare un altro punto di vista».
Ma molti iraniani probabilmente si rendono conto in quali mani finirebbe questa tecnologia.
«Noi diciamo infatti che la tecnologia nucleare è un nostro diritto, ma la condizione preliminare è avere un governo democratico. La priorità è la democrazia. Sempre più iraniani si rendono conto che l´energia nucleare in questa situazione non sarebbe un beneficio per il nostro paese. Ma non abbiamo istituzioni della società civile attraverso le quali esprimerci, non abbiamo una leadership riformista. Mosharekat è il solo gruppo che ha preso apertamente posizione sul nucleare».
Lei crede che esistano delle differenze tra il Leader Khamenei e il presidente Ahmadinejad?
«Nessuna. Questa è una idea che si è fatta l´Occidente. È il Leader che decide tutto. Come le ho detto, noi gli abbiamo mandato diverse lettere ma non hanno avuto nessun effetto. E sia Rafsanjani che Khatami hanno fatto pressioni. Inutilmente. Soprattutto Rafsanjani ha fatto moltissime pressioni. Ma non ha avuto la forza di cambiare le opinioni del Leader».
Ma se sono così convinti che si sia di fronte a un precipizio, perché Khatami e Rafsanjani non prendono posizione pubblicamente? Hanno le piattaforme da cui parlare, nessuno oserebbe mettere in galera due ex presidenti come fanno con i giornalisti.
«Non è questione di galera. Non è questo il punto. Nessuno di loro vuol prendere posizione. Perché, non lo deve chiedere a me. Io sono convinto che sia un grave errore».
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