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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.03.2006 I terroristi "buoni" di Hamas dicono di no ad Al Qaeda
un' enfasi sospetta su una notizia male interpretata

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 marzo 2006
Pagina: 6
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Hamas replica ad Al Qaeda. Lottare uniti? No grazie»

Contrariamente a Magdi Allam, che sul suo stesso giornale scrive un ottimo editoriale per ricordare che il terrorismo di Hamas non é in alcun caso "migliore" di quello di Al Qaeda, Lorenzo Cremonesi  utilizza, in un articolo pubblicato dal CORRIERE della SERA di lunedì 6 marzo 2006 , il contrasto tra le due organizzazioni circa la hudna con Israele per accreditare, ancora una volta, l'immagine "moderata" e "pragmatica" di quella palestinese. Dimenticando che la tregua ritenuta accettabile da Hamas sarebbe solo un espediente tattico per meglio perseguire il suo obiettivo finale: la distruzione di Israele. E che la rivalità che potrebbe opporre i due gruppi non é che la riproposizione di uno schema inevitabile nel terrorismo che vede le organizzazioni che hanno raccolto maggiori successi politici grazie alla violenza insidiati da concorrenti che con maggiore libertà di manovra li sfidano sul loro stesso terreno, dando origine a una gara a chi é più estremista e sanguinario (Hamas stessa si é trovata in questa situazione con Al Fatah). Ecco il testo:

GERUSALEMME — Al Qaeda chiama. Ma Hamas non risponde. È il senso del primo confronto pubblico tra l'internazionale del terrorismo nel nome della rivoluzione islamica e il movimento fondamentalista palestinese uscito vittorioso dalle elezioni del 25 gennaio in Cisgiordania e Gaza. «Continuate con noi la lotta armata contro Israele. Non riconoscete alcuno degli accordi di capitolazione firmati dai non credenti dell'ex Autorità palestinese», aveva dichiarato nel video diffuso l'altro ieri il numero due di Al Qaeda, Ayman Zawahiri.
Un evidente appello a serrare i ranghi e una critica alle correnti di Hamas più aperte al pragmatismo. Un appello che giunge tra l'altro mentre una delegazione di Hamas visita Mosca alla ricerca di legittimità internazionale, in barba alle critiche dei radicali ceceni, che invece accusano di «tradimento» i fratelli palestinesi. Ma questi ultimi non si lasciano prendere in contropiede.
E replicano con un educato, ma deciso, «no grazie». «È l'opinione di Zawahiri. Ne ha il diritto. Noi siamo neutrali», replica quindi direttamente dalla Russia un membro della delegazione di Hamas, Mohammad Nazzal. Seguono a ruota altri commenti di leader del movimento palestinese. «Da quando abbiamo deciso di partecipare alle elezioni del 25 di gennaio scorso è stato scelto di abbinare la lotta armata all'azione politica», dice più ambiguo il rappresentante a Beirut, Osama Hamdan. Da Gaza uno degli esponenti dell'ala dura osserva: «Non siamo traditori, abbiamo compiti di governo adesso».
Sulla tv araba Al Jazira ancora Nazzal specifica: «Le nostre mosse tengono conto degli interessi del popolo palestinese, anche se rispettiamo le opinioni altrui».
La direzione della scelta di Hamas è comunque chiara: la priorità va alla causa palestinese. «Loro non hanno alcuna intenzione di islamizzare il mondo. Sin dalla sua nascita nel 1988 Hamas si è presentata come un'emanazione dei Fratelli Musulmani, ma la cui ragion d'essere è la liberazione della terra di Palestina. Il loro modello politico in questo momento è più la Turchia che non l'Iran», specifica Dani Rubinstein, uno dei massimi esperti israeliani dei territori palestinesi. Nella stessa logica i capi militari di Hamas nei territori occupati hanno preso molto sul serio le dichiarazioni allarmate rilasciate negli ultimi giorni dal presidente palestinese, Abu Mazen, secondo il quale le cellule armate di Al Qaeda starebbero infiltrandosi in Cisgiordania e Gaza. Aggiunge Rubinstein: «Per loro sarebbe un disastro. Hanno bisogno del sostegno della comunità internazionale per poter governare e faranno del loro meglio per tenere lontana Al Qaeda».

Anche l'UNITA' enfatizza, (soprattutto nel titolo: Hamas fredda con i proclami di Al Zawahri) indebitamente il no di Hamas ad Al Qaeda, nello stesso senso del CORRIERE della SERA. Ecco il testo:

HAMAS NON RISPONDE all’appello di Al Qaeda. L’altro ieri, in un video trasmesso da Al Jazira, il numero due del network terrorista di Osa-
ma Bin Laden, Ayman al Zawahri, aveva chiesto al movimento fondamentalista palestinese di proseguire nella lotta armata e di non accettare accordi di resa con Israele; a questa sortita mediatica, la reazione dei dirigenti di Hamas in visita a Mosca è stata piuttosto fredda. «Queste sono le sue opinioni, ne ha il diritto. Noi abbiamo le nostre», afferma Mohammed Nazzal, uno dei leader del movimento islamico. «È solo la leadership di Hamas - aggiunge - a stabilire quando prendere una decisione o assumere una linea e lo fa nell’interesse del popolo palestinese». Zawahri aveva sollecitato in particolare i dirigenti islamici a continuare la lotta armata e a non riconoscere gli accordi sottoscritti dall’Anp. «La conquista del potere - ha affermato il vice di Osama Bin Laden - non è un obiettivo in se stesso e nessun palestinese ha il diritto di dar via un solo granello di terra». «I laici nell’Autorità palestinese - sentenzia al Zawahri - hanno svenduto la Palestina in cambio di briciole, la loro legittimazione va contro l’Islam».
Il capitolo-Al Qaeda non è l’unico aperto a Mosca. «Noi non diciamo no a tutto...ma se volete che Hamas cambi politica dovete chiedere anche ad Israele di cambiare la sua», così Mohammed Nazzal ha chiuso ieri sera la visita della delegazione di Hamas nella capitale russa, la prima uscita di grande rilievo su un palcoscenico internazionale, ed ha cercato di rilanciare la palla del futuro dei negoziati di pace in campo israeliano. «Se gli israeliani sono pronti a riconoscere i diritti dei palestinesi e uno Stato palestinese del tutto indipendente, da parte nostra siamo pronti ad annunciare quale è la nostra posizione su Israele», dichiara Nazzal. E ancora: «Noi non diciamo no a tutto. Sappiamo che siamo entrati in una fase nuova e Hamas deve cambiare; ma se volete che Hamas cambi politica dovete chiedere anche a Israele di cambiare la sua», puntualizza. Il movimento islamico palestinese, con una visita di tre giorni a Mosca su invito del presidente russo Vladimir Putin (che però non ha ricevuto personalmente gli esponenti di Hamas), ha ottenuto un indubbio successo politico, rompendo l’isolamento internazionale in cui rischiava di finire dopo la vittoria alle elezioni legislative di gennaio. Tanto che il premier israeliano ad interim Ehud Olmert è tornato ieri a lamentarsi con Putin, definendo un «errore» da parte della Russia la decisione di ricevere un movimento che ancora non riconosce il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. Al leader del Cremlino - con cui è intercorsa una lunga telefonata - Olmert ha ribadito che «quando sarà formato un governo (palestinese) guidato da Hamas non sarà più possibile fare una distinzione artificiale tra governo e parlamento dell’Autorità palestinese, dominati da Hamas, e il presidente dell’Anp Abu Mazen». Nei colloqui di Mosca, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha chiesto ufficialmente ad Hamas di rispettare gli accordi di Oslo del 1993 tra Israele e l’Anp di Yasser Arafat, con tutto ciò che essi sottendono, in primis il riconoscimento di Israele. Il capo delegazione e leader di Hamas in esilio Khaled Meshaal ha risposto esigendo da Israele, come precondizioni, il ritiro da tutti i territori palestinesi occupati nel 1967, il rientro dei rifugiati palestinesi e al liberazioni dei prigionieri detenuti nelle carceri israeliane. Condizioni che equivalgono quasi a un «no»; ad esse tuttavia Nazzal, con le parole di ieri, ha offerto una sfumatura più possibilista. La delegazione, oltre al ministro degli Esteri Lavrov, ha incontrato rappresentanti del Parlamento russo, e il muftì di Mosca. Gli uomini di Hamas sono stati ricevuti ieri anche dal patriarca ortodosso russo Alessio II. Il colloquio è servito al capo religioso per ribadire la volontà dei cristiani ortodossi di Palestina (la minoranza più folta tra tutte le chiese cristiane palestinesi) di cooperare con il nuovo governo guidato da Hamas. «Noi - spiega Alessio II - abbiamo una tradizione di buone relazioni con la direzione palestinese e speriamo di proseguire in questa tradizione». «È una volontà reciproca», assicura Meshaal.

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