Scrivono della barriera di sicurezza dimenticando il terrorismo e criminalizzano Israele
Testata: Famiglia Cristiana Data: 03 marzo 2006 Pagina: 0 Autore: Alberto Bobbio Titolo: «Il muro che spezza il cuore di Betlemme»
Famiglia Cristiana nel numero 10 on line pubblica un articolo di Alberto Bobbio intitolato “Il muro che spezza il cuore di Betlemme”
Ciclicamente il settimanale cattolico propone articoli sul tema del “muro” ossia la barriera difensiva che lo Stato di Israele ha costruito per difendersi dagli attacchi dei kamikaze che, penetrando in territorio israeliano, si fanno esplodere nelle discoteche, nei ristoranti, nei luoghi di ritrovo facendo strage di civili. L’articolo di Alberto Bobbio, che riportiamo integralmente, analizza in un’ottica di parte le conseguenze che la costruzione del muro ha comportato per la popolazione palestinese. Purtroppo il giornalista non riporta l’unica motivazione che ha indotto il governo di Israele ad intraprendere la costruzione del muro: il terrorismo. Da quando esiste la barriera difensiva gli attentati si sono ridotti dell’80%: molte vite innocenti si sono salvate, eppure il giornalista non ne fa menzione come se “il muro” fosse l’ennesimo sopruso degli israeliani nei confronti del popolo palestinese. Scrive Bobbio che il muro “ha sbaragliato la pace di Oslo e la road map”. Arafat e l’odio dei kamikaze palestinesi hanno tradito e “sbaragliato” la pace di Oslo, il “muro” invece ha salvato delle vite umane: quelle israeliane sono forse meno importanti di quelle palestinesi? Il giornalista scrive del “muro” descrivendolo “alto 9 metri con blocchi di cemento disposti l’uno accanto all’altro”. In realtà la barriera difensiva è costituita per il 97% da filo spinato e solo il 3% è di cemento; anche le immagini che illustrano l’articolo mostrano in modo fazioso solo la parte in cemento. ….”Le ambulanze non possono attraversare i varchi nel Muro e i malati sono costretti ad aspettare lunghe ore”. Il giornalista dimentica di riferire che i terroristi nascondono nelle ambulanze armi ed esplosivi e i controlli lunghi e accurati hanno lo scopo di salvare i palestinesi feriti o ammalati nei confronti della cui incolumità i loro “fratelli”mostrano un disprezzo che è pari solo all’ odio che nutrono per gli israeliani.
Ancora una volta il settimanale cattolico ascolta, vede e riporta solo le ragioni dei palestinesi. Ci auguriamo però che i lettori leggano l’articolo con spirito critico e obiettivo.
L’avvolge e la stritola dentro spire di cemento. La tomba di Rachele è diventata un fortilizio, che nemmeno si vede più salendo la strada da Gerusalemme. Il Muro è grigio e fa paura. Il Muro chiude dentro e chiude fuori, tutti insieme ebrei e palestinesi, prigionieri a doppia mandata. Il ministero del Turismo d’Israele ha issato un enorme drappo colorato accanto alla porta della grande gabbia che fascia Betlemme. È l’ultima vergogna. Osservi e ti si stringe il cuore: "La pace sia con te", dice la scritta in inglese.
La pace sono controlli estenuanti, braccia alzate, scarpe e cinture che finiscono in macchine ai raggi X, camminamenti dentro gabbie come quelle delle tigri al circo, cancelli di ferro che scattano elettricamente, passaporti e permessi esibiti con ossessione a soldati che stanno dietro a spessi vetri blindati, ti parlano dal microfono, scrutano i passi da decine di telecamere. Lo chiamano "gate", porta sulla prigione in cui versa la città dov’è nato Gesù. Il Muro è alto nove metri, blocchi di cemento disposti uno accanto all’altro. Il campo dei rifugiati di Aida è poco lontano dal centro di Betlemme. Dalla terrazza del convento delle suore francescane missionarie del Cuore Immacolato di Maria suor Luisa mostra il Muro appena sotto. Tocca il cortile di una scuola, sale verso la collina, serpeggia nei campi di proprietà della Chiesa armeno-ortodossa.
Volevano prendersi anche le terre della Chiesa cattolica, ma il nunzio monsignor Sambi, da poco nominato ambasciatore del papa a Washington, si è opposto con fermezza. Sul lato israeliano hanno costruito una strada per le camionette militari. Sul lato palestinese c’è una trincea di sassi, fango e rifiuti. Quando il muro verrà terminato sarà lungo 670 chilometri, quasi il doppio della linea verde, il confine stabilito dall’armistizio del 1949 tra Israele e Giordania, che Tel Aviv non ha mai rispettato. Entra nei Territori palestinesi, avvolge insediamenti ebraici, gira attorno alle città dei coloni e sbaraglia la pace di Oslo e la road map, l’ultimo tentativo faticoso di trovare un’intesa per la Terra Santa. Da nord a sud d’Israele il Muro taglia terre, divide case, allontana famiglie da altre famiglie. Loro l’hanno studiato e fotografato, hanno messo in fila le ragioni della sicurezza di Israele e le condanne delle comunità internazionali, contestate dalle autorità israeliane
Hanno viaggiato di qua e di là del Muro per lunghi mesi e alla fine hanno pubblicato un rapporto: "Un Muro non basta per nascondere un orizzonte dalla sua terra". È il frutto del lavoro dei volontari del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), l’Ong dei Salesiani che opera a Betlemme. Hanno scattato cinquecento fotografie e redatto mappe, che ora sono diventate una mostra che gira per l’Italia. Le foto sono di Andrea Merli (alcune le pubblichiamo in queste pagine), lo studio è stato curato insieme a Sara Faustinelli: «Israele ha demolito 7.000 case palestinesi, lasciando senza tetto oltre 50.000 persone. E poi c’è un’intera economia che è stata messa con le spalle al muro».
Nella casa dei Salesiani di Betlemme, Sara mostra carte e grafici sulla disoccupazione, sull’agricoltura stravolta, sulle fonti d’acqua sparite e inglobate nei settori israeliani, su oltre 200 cisterne separate dai villaggi e oggi impossibili da raggiungere e rifornire con le autobotti, sull’assistenza sanitaria che è andata in pezzi, sulle famiglie separate, costrette a fare i conti con carte d’identità blu, verdi, arancioni con le quali tuttavia di solito non si va da nessuna parte.
Spiega Sara: «40.000 persone sono rimaste senza assistenza sanitaria di base. Le ambulanze palestinesi non possono attraversare i varchi nel Muro e i malati sono costretti ad aspettare lunghe ore. Qualcuno non ce la fa». Così è chiaro che un muro non basta a risolvere un conflitto. Spiega suor Luisa: «Ha aumentato solo l’esasperazione, il risentimento. Provate a vivere in questa prigione con l’orizzonte spezzato da una barriera grigia». Verso sera, ormai tutte le sere, gruppi di giovani si avvicinano al Muro sotto la tomba di Rachele blindata e parte la sassaiola in direzione delle torrette. Risponde una raffica di mitraglia. Betlemme è stanca di guerra.
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