L'accordo di pace in Medio Oriente é possibile, ma, c'era da aspettarselo, "tutto dipenderà da Israele". E' quanto dichiarato dal patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah e acriticamente riportato da Giacomo Gambassi su AVVENIRE di giovedì 2 marzo 2006. Dimenticando il rifiuto dell'esistenza di Israele e il terrorismo di Hamas, ovviamente. Ecco il testo:
Da una parte Hamas alle prese con la formazione del nuovo governo. Dall'altra Israele che deve andare alle urne. In mezzo il processo di pace che, per il patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, si deciderà nelle prossime settimane. «Il futuro del Medio Oriente - spiega il patriarca, ospite di Sansepolcro, la città dell'aretino che è figlia della città delle "tre religioni" - sarà a una svolta se si concretizzeranno due condizioni: la prima è che Hamas plasmi un esecutivo che non si caratterizzi come un partito di opposizione ma segua la via della moderazione; l'altra è che dalle urne israeliane esca un governo deciso ad arrivare a un accordo». Sul fronte palestinese la scommessa si giocherà al vertice del movimento islamico che ha vinto le elezioni. «Se Hamas riuscirà a stringere un'alleanza con al-Fatah - afferma Michel Sabbah - dovrà accettare ciò che al-Fatah ha compiuto e farsi carico di un'eredità che comprende gli accordi preliminari con Israele».
La visione del ruolo di Al Fatah proposta da Sabbah é molto lontana dalla realtà. Questa organizzazione infatti non ha saputo accettare l'accordo con Israele proposto da Barak e non ha mai rinunciato al terrorismo. La premessa di tutto il ragionamento é dunque errata: l'eventuale accordo con Fatah non garantirebbe in alcun modo l'evoluzione "moderata" di Hamas.
A questo punto il testimone passerà nelle mani israeliane. «Toccherà al nuovo governo scegliere la via del dialogo ed essere disponibile alla trattativa. E se Israele avanzerà la proposta di un accordo definitivo, l'esecutivo palestinese non si tirerà indietro. Quindi, tutto è nelle mani di Israele». Un ruolo essenziale deve essere svolto dalla comunità internazionale. «L'Europa e gli Stati Uniti sono obbligati a intervenire - ammonisce il patriarca -. E devono farlo in modo decisivo e non in maniera debole come è avvenuto fino ad ora. Continuando soltanto a dire "si può" non si è arrivati a nulla e non è stato possibile arginare la violenza, l'odio e la paura». Lo sanno bene i cristiani dei Territori Palestinesi su cui incombe l'incognita del trionfo elettorale di Hamas. Però, Sabbah è ottimista. «I primi segnali di Hamas verso i cristiani sono incoraggianti - spiega -. Il partito ne sta cercando il sostegno e ha offerto la sua protezione. Infatti, è necessario capire che adesso Hamas sta cercando di realizzare un progetto politico, non religioso: la vita sociale e la religione sono da tenere su piani distinti».
Titolo e sottotitolo della cronaca redazionale (E' riespolsa la violenza: esecuzioni nei territori.
Ucciso a Gaza City un capo della Jihad. Il gruppo: raid mirato, ma l'esercito nega Attacchi di al-Aqsa in Cisgiordania: muore un colono. Sequestro-lampo del direttore del catasto ) si concentrano sulla morte in circostanze non chiarite di un terrorista della Jihad, dimenticano invece totalmente gli attentati in preparazione e i continui lanci di razzi qassam. Ricordarli toglierebbe ogni dubbio su alcuni fatti: che la violenza non sia mai cessata e che non sia Israele a scatenarla. Ecco il testo dell'articolo (nel quale i terroristi diventano "miliziani") e le aggressioni missilistiche a Israele "bombardamenti a singhiozzo lungo i confini nord della Striscia di Gaza". :
Giornata di sangue e di tensione nei Territori, e nei servizi di sicurezza dello Stato ebraico cresce il timore che una spirale di violenza possa innescarsi in vista delle elezioni del 28 marzo.
A Gaza City è morto nell'esplosione della sua auto il comandante militare delle Brigate al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica, Khaled Dahduh, 39 anni. Le cause dell' esplosione sono ancora misteriose. La Jihad ha accusato Israele, affermando che la vettura di Dahduh sarebbe stata colpita da un missile israeliano. Una versione però smentita categoricamente dallo Stato ebraico. «L'esercito di Israele non c'entra» ha detto un portavoce. Non è escluso che l'esplosione sia stata accidentale, provocata da un ordigno trasportato nell'auto di Dahduh, quello che fra i miliziani viene chiamato «un incidente sul lavoro».
Quasi nello stesso momento in cui esplodeva l'auto di Dahduh, un colono israeliano, Eldad Abir, 48 anni, è stato ucciso dal fuoco di due armati palestinesi all'altezza dell'insediamento di Migdalim, nel Nord della Cisgiordania. Gli aggressori sono giunti a piedi davanti a una stazione di benzina all'ingresso dell'insediamento e hanno sparato colpendo l'israeliano. I palestinesi sono poi riusciti a fuggire. Poco dopo un altro israeliano è stato ferito gravemente da alcuni sconosciuti che gli hanno sparato all'uscita da un negozio dove era andato a fare acquisti a Nebi Elias, un villaggio palestinese vicino a Qalquilya, sempre in Cisgiordania. Gli aggressori si sono poi dileguati. I due attacchi sono stati rivendicati dalle Brigate al-Aqsa, il gruppo armato vicino al partito al-Fatah del presidente Abu Mazen, pesantemente sconfitto da Hamas alle politiche del mese scorso. Nel clima di anarchia che continua a prevalere nei Territori, a Gaza City è stato brevemente sequestrato il direttore del catasto palestinese, Atef Al-Khudary. L'alto funzionario è stato rapito all'uscita dal suo ufficio da tre sconosciuti armati e col volto coperto che lo hanno costretto a salire su un'automobile che si è poi allontanata a gran velocità. Si ignorano l'identità dei rapitori e il loro movente. Al-Khudary è stato liberato dopo poche ore.
Prosegue intanto il bombardamento a singhiozzo lungo i confini Nord della Striscia di Gaza fra i miliziani palestinesi che sparano razzi Qassam verso il territorio dello Stato ebraico, in particolare verso la città di Ashkelon, e l'artiglieria israeliana che risponde con raffiche di obici verso le aree da cui provengono i razzi.
I dirigenti dei servizi di sicurezza israeliani avvertono che l'indice attentati è salito ora a 70. Ritengono cioè che 70 attacchi siano in preparazione contro Israele, contro i 50 in media delle scorse settimane. Il timore è che alcuni gruppi armati palestinesi, in particolare la Jihad islamica, responsabile di sette attentati kamikaze durante l'ultimo anno di "tregua" precaria con Israele, e le Brigate al-Aqsa, per mettere in difficoltà Hamas, ora incaricato di formare il governo, possano volere attuare sanguinosi attentati prima delle politiche israeliane del 28 marzo.
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