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Il Foglio Rassegna Stampa
02.03.2006 La Jihad islamica all'attacco
vuole sottrarre ad Hamas il ruolo guida nell'offensiva terroristica contro Israele

Testata: Il Foglio
Data: 02 marzo 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Con Hamas la governo cresce il furore del Jihad islamico. Un capo ucciso»

Dalla prima pagina del FOGLIO di giovedì 2 marzo 2006:

Gerusalemme. A due passi dall’Università al Azhar di Gaza, ieri è stato ucciso Kahled Dahduh, il leader più anziano dell’ala militare del Jihad islamico, le Brigate al Quds. Stava cercando di mettere in moto l’auto e, all’improvviso, è saltato per aria. Nell’incidente non sono rimaste coinvolte altre persone. I palestinesi hanno subito accusato Israele, il capo del gruppo nella Striscia, Abu Jandal, ha promesso ritorsioni – “Gli israeliani devono sapere che pagheranno un prezzo pesante per le azioni folli condotte dal loro governo” – e fuori dall’ospedale in cui è stato porato Dahduh decine di ragazzi gridavano “vendetta, vendetta”, ma l’esercito israeliano ha negato ogni responsabilità, nonostante il leader radicale fosse il primo nella lista dei ricercati.
Nella riunione del governo di domenica scorsa, il premier israeliano, Ehud Olmert, ha infatti approvato una serie di misure volte a colpire membri del Jihad islamico, ritenuto responsabile dell’ininterrotto lancio di Qassam dalla Striscia nonché degli ultimi attacchi kamikaze contro Israele. Anche poche ore prima dell’uccisione di Dahduh dalla Striscia era appena partito l’ennesimo razzo. Ma l’esercito ha continuato a smentire per tutto il giorno ogni responsabilità, tanto che ha preso forma l’idea che si sia trattato di un regolamento di conti tra i gruppi che vogliono il controllo della Striscia e che continuano a operare anche in Cisgiordania, dove ieri due palestinesi hanno ucciso un israeliano.
Le trattative interne con il governo di Hamas non aiutano a distendere il clima. Il movimento islamico vincitore alle urne ha creato un gruppo di dialogo con tutte le fazioni palestinesi, il premier, Ismail Haniye, dice di voler trovare l’accordo con tutte le voci palestinesi, alterna parole che piacciono al rais Abu Mazen a quelle che lusingano i più radicali come le Brigate al Quds, ma il Jihad è stato il primo a rifiutare qualsiasi collaborazione istituzionale con Hamas. Ieri le Brigate al Quds hanno firmato un “patto anti tregua” con altri gruppi militari. Nessuna forma di dialogo è tollerata. Aissa Marzuq, membro del consiglio municipale di Betlemme, in Cisgiordania, a pochi chilometri da Gerusalemme, ha detto al Foglio che il suo gruppo ha boicottato le elezioni del 25 gennaio, perché così avrebbe accettato una serie di accordi, tra cui Oslo, che il Jihad non riconosce. Marzuq, occhiali fini, baffi scuri e il ciuffo brizzolato, un tipo che ha passato otto anni in carcere e oggi è ricercato dalle autorità di Israele, ha sottolineato che le municipali sono diverse, sono “un modo per aiutare le persone”, i palestinesi.
Il Jihad islamico è un gruppo armato nato negli anni Settanta nella Striscia di Gaza. Il suo leader e fondatore, Fathi Shiqaqi, fu assassinato a Malta nel 1995, c’è chi dice dal Mossad, chi sostiene da altri gruppi palestinesi. E’ un movimento più piccolo di Hamas, non ha una fitta rete di attività radicate nel sociale: la sede è a Damasco e, secondo l’intelligence, gran parte dei suoi finanziamenti arriva dallo stesso Iran che richiama il mondo musulmano a una colletta per il nuovo governo palestinese, colletta che il tour europeo del ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, vuole interrompere – l’Unione europea ha appena stanziato 120 milioni di euro per l’Anp – grazie alle pressioni internazionali.

“No agli accordi di Oslo e all’Anp”
Marzuq nega che dopo la vittoria di Hamas alle urne si sia aperta una frattura tra i due gruppi, nonostante il rifiuto a partecipare al governo. Dice che il Jihad islamico ha buoni rapporti con tutte le fazioni palestinesi, ma “la vittoria di Hamas non significa nulla per noi. Non ci sarà un cambiamento”. Spiega che il movimento islamico, ora che è entrato nella vita politica attiva, dovrà scendere a patti con l’Anp e Israele, accettare regole e accordi che il Jihad si rifiuta di riconoscere. “Tutte le potenze del mondo stanno facendo pressioni su Hamas per entrare in trattativa con Israele: questo è quello che noi non vogliamo”. Per Marzuq, “la resistenza all’occupazione israeliana è l’unica via per essere liberi. Se riuscissimo a portare avanti una buona resistenza potremmo ottenere molto”, dice con aria di sfida. “E’ necessario mantenere la propria visione”, dice, cioè continuare con “la resistenza” armata. Di seguire la strada di Hamas, essere obbligati ad accettare le regole dell’Anp o addirittura entrare in trattative con Israele non se ne parla, assicura senza esitazioni Marzuq.

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