martedi` 22 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.03.2006 Pericolo iraniano: l'obiettivo deve essere il cambio di regime
l'analisi di Robert Kagan

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 marzo 2006
Pagina: 36
Autore: Robert Kagan
Titolo: «Iran, la scommessa è sul cambiamento politico»

Un articolo di Robert Kagan sulla minaccia iraniana. Secondo l'analista il miglior modo per affrontarla sarebbe il sostegno all'opposizione democratica in vista di un cambiamento di regime:

Un attacco aereo e missilistico che distrugga il programma nucleare iraniano potrebbe sembrare la migliore di una serie di brutte scelte. Ma i costi probabili superano di molto i benefici.
Nel caso dell'Iran, l'intelligence è tanto meglio di quanto si sia dimostrata con l'Iraq? Clinton lanciò l'operazione Desert Fox nel 1998 per ridurne i programmi atomici, e a tutt'oggi ancora non sappiamo quali risultati abbia ottenuto. Un'operazione Desert Fox II in Iran, per quanto lanciata su scala più ampia, produrrebbe un risultato molto diverso? Il Pentagono è in grado di colpire con relativa tranquillità le strutture che riesce a vedere. Ma gran parte del programma iraniano è sottoterra, e di una parte di esso non sappiamo nulla. Se anche un attacco rallentasse i piani dell'Iran, non sapremmo però di quanto. E pagheremmo un prezzo. Il presidente Ahmadinejad e i mullah canterebbero vittoria e probabilmente si guadagnerebbe l'ammirazione del mondo musulmano e non solo. Anziché chiedere sanzioni contro l'Iran all'Onu, l'Amministrazione potrebbe trovarsi a doversi difendere da risoluzioni che la censurano per l'«aggressione». Poi c'è la prospettiva della ritorsione iraniana: attacchi terroristici, attività militare in Iraq, tentativi di bloccare le rotte del petrolio interrompendone le forniture. Potremmo finire peggio di come abbiamo iniziato. Ma l'inadeguatezza dell'opzione militare non significa limitarsi alla diplomazia. Che non ha migliori possibilità di successo. L'attuale regime iraniano appare impegnato a ottenere l'arma nucleare. La prospettiva dell'isolamento internazionale o di sanzioni economiche non è servita da deterrente.
Se è così, neppure concessioni maggiori convinceranno il regime ad astenersi da un programma che considera vitale. La paura di un attacco militare statunitense è probabilmente l'unico motivo per cui l'Iran abbia finto di negoziare con gli europei ma non è stato sufficiente a bloccare il loro programma.
Dobbiamo riorientare la nostra strategia. L'essersi fissati sul fatto di impedire che l'Iran abbia la bomba ci ha in qualche modo trattenuti dall'obiettivo più essenziale: il cambiamento politico. Dobbiamo cominciare a sostenere il cambiamento liberale e democratico per una popolazione iraniana che sappiamo in cerca di entrambe le cose.
Nessuno vuole vedere l'Iran con la bomba. Se l'Iran fosse governato da un governo democratico, saremmo molto meno preoccupati. Potrebbe smantellare il suo programma volontariamente ma, se anche non lo facesse, un Iran liberale e democratico sarebbe meno paranoico circa la propria sicurezza e farebbe quindi meno affidamento sulle armi nucleari per difendersi.
Bush ha fatto poco per chiedere il cambiamento politico o per sfruttare l'evidente debolezza del regime. I passi sono ovvii: comunicare direttamente con la popolazione attraverso la radio, Internet e altri media; organizzare appoggio internazionale ai sindacati e ai gruppi che difendono i diritti umani e civili oltre che ai gruppi religiosi che si oppongono al regime; fornire aperto sostegno a chi è disposto a farne uso; e imporre sanzioni; non tanto per fermare il programma nucleare quanto per far pressione sull'élite del business che appoggia il regime. Qualcuno si preoccupa di non scatenare un'altra rivolta in stile Ungheria o un massacro alla Tienanmen. Ma il popolo iraniano non starebbe peggio di quanto stia adesso. Questo non significa rinunciare alla diplomazia. Al contrario: una strategia che punti a cambiare il regime iraniano è del tutto compatibile con gli sforzi diplomatici. Potrebbe persino favorirli. Se però questa o la prossima Amministrazione decideranno che è troppo pericoloso aspettare il cambiamento politico, allora la risposta dovrà essere un'invasione, e non soltanto un attacco aereo e missilistico. Se il fatto che l'Iran possieda l'arma nucleare è davvero intollerabile, questa è la sola risposta militare.
La risposta non militare in Iran è il cambiamento politico. E' questa la direzione verso la quale indirizzare le nostre energie, la nostra diplomazia, la nostra intelligence e le nostre sostanziali risorse economiche. Sì, il tempo scarseggia, e in parte perché tanti anni sono già stati sprecati. Meglio però cominciare ora piuttosto che sprecarne altri.
(Traduzione di Monica Levy)

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT